Lectio Divina 2019/2020 - Parrocchia Sacro Cuore

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Lectio Divina 2019/2020

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Domenica 14 Giugno 2020
LECTIO DIVINA
Matteo 28,16-20

La chiesa in cammino
Siamo alle ultime frasi di Matteo; l’evangelista ha iniziato il suo scritto con queste parole: “Libro della genesi di Gesù Cristo…l’Emmanuele, il Dio con noi” (Mt.1.23) e finisce con la frase: “Io sarò con voi tutti i giorni” e con un richiamo all’Antico Testamento “il signore, Dio del cielo, mi ha consegnato tutti i regni della terra” (2 Cr.26,23). Cristo porta a pieno compimento tutta la storia della salvezza e in questi pochi versetti c’è il riepilogo di tutto il Vangelo.
Sappiamo che i Vangeli raccontano la storia di Cristo in modi diversi, secondo le difficoltà delle comunità a cui si rivolgevano, è per questo che nel finale, Matteo, evidenzia una sola apparizione del risorto, in Galilea. È la sua “Assunzione” in cui lascia, ai discepoli, il suo testamento.
Durante la salita al monte degli ulivi, dopo l’ultima cena, Gesù aveva dato appuntamento ai suoi in Galilea (Mt.26,30-35); dopo la morte si era fatto vedere dalle donne e aveva rinnovato l’invito, per i discepoli, di raggiungerlo in Galilea dove l’avrebbero veduto (Mt.28,1-10).
Il brano odierno è molto fecondo, ricco, teologico che ha bisogno di una esegesi puntuale. È l’ultimo incontro di Gesù con i suoi che prelude alla nascita di Gesù con noi.
Vers.16. Galilea – gli undici – discepoli – monte
Cos’è la Galilea per Matteo? Non è la terra dell’infanzia di Gesù ma la terra voluta da Dio come luogo di evangelizzazione. “Galilea delle genti”, dei pagani (Mt.4,12-16; Is.8,23-9,1); la terra da cui “non poteva uscire nulla di buono” (Gv.1,46); terra impura, mescolanza di genti, lontana da Gerusalemme, la città santa. Proprio qui Gesù vuole re-incontrare i suoi, Gesù è in mezzo a noi, vuole incontrarci nella nostra vita pagana, lontana dal Tempio, quotidiana. Qual è la mia Galilea dove ho re-incontrato Gesù?
Gli 11 Sono 11, uno ha tradito, ma non è questo che vuole sottolineare Matteo, ci vuole indicare che una comunità non è mai perfetta, manca sempre qualcuno o qualcosa. Io faccio parte di questa comunità, non sono perfetta; noi siamo parte di tutte le genti che arrivano a Gesù con tutti i loro diversi limiti e difetti. Se la chiesa non fosse di tutti e fosse perfetta, sarebbe una setta e non popolo di Dio.
Questi sono gli “11” che, l’ultima volta che avevano visto Gesù, era quando era stato
catturato, poi erano spariti. Undici traditori.
Discepoli
Chi è il discepolo?
La parola deriva da “discernere”, uno che impara, è il contrario dello stolto, uno che sa sempre tutto. Il discepolo è colui che è sempre pronto ad imparare.
Matteo insiste molto che c’è un solo Padre, nei cieli, un solo Salvatore, Gesù e un solo Maestro, lo Spirito santo; noi siamo tutti figli del Padre, tutti uguali, tutti pronti all’obbedienza e quindi discepoli.
I discepoli, quindi, non possono andare di qui o di là a loro piacimento ma sono chiamati ad andare “sul monte che Gesù ha ordinato”.
La Galilea è una regione montuosa e non ci è dato di sapere il luogo geograficamente certo di questo raduno, Matteo vuole mettere l’accento sul “monte”.
Nella Bibbia la chiamata si ha sul monte: il Sinai dove Dio conclude la prima alleanza con Mosè (Es. da 19 a 24; 34,1-35); il monte dove Elia comprende il senso della sua missione (1Re 19,1-18); il monte della trasfigurazione dove Gesù incontra proprio Mosè ed Elia; il monte delle beatitudini dove Cristo dà il suo statuto (Mt. 5).
Il monte è quindi il luogo dell’incontro fra la Parola di Dio e l’uomo; è il luogo dell’ascolto e dell’incontro con Gesù, un incontro che non avviene con gli occhi o con le gambe ma con le orecchie. Gesù si incontra nel segreto delle nostre camere. L’uomo è fatto di ciò che ascolta e, ascoltando, per mezzo dello Spirito, conosce il Padre, il Figlio
e i fratelli.
Potremmo dire, allora, che il “monte” è il luogo della Parola.
Vers.17 vedere – adorare – dubitare
Il vedere è il risultato dell’ascolto. Vedere il volto di Dio è il desiderio dell’uomo “mostraci il tuo volto e noi saremo salvi”. Dio è la luce del nostro volto (Mosè doveva coprirsi il volto da quanto risplendeva); Dio illumina la nostra realtà e quindi, vedendo noi stessi e i nostri fratelli, vediamo Lui.
Il “vedere” è relazionarci con: noi stessi, gli altri, Dio, ma il risultato del vedere è adorare, cioè baciare, riempirsi dell’oggetto del nostro desiderio, respirare l’altro, è comunione di vita.
“Alcuni dubitarono”. Se la fede non contenesse il dubbio, non sarebbe fede. La fede è un atto libero, un atto d’amore in cui ci assumiamo tutte le responsabilità di ciò in cui riponiamo la fiducia (es. matrimonio). La fede è un cammino di libertà per credere, dove il dubbio non è più un ostacolo ma indica ciò che ancora abbiamo da imparare, ciò che non è nostro e su cui dobbiamo interrogarci. Il dubbio è il margine in cui si gioca la nostra libertà. La fede non è mai visione ma continua vittoria sui dubbi e si ottiene adorando. Nei Vangeli non c’è traccia di esaltazione davanti a Gesù risorto ma sempre timore e faticoso riconoscimento dovuto al dubbio ed alla fede che si intrecciano tra di loro. Interroghiamoci sulle nostre esaltazioni davanti a presunti prodigi, sono più o meno proficue di un dubbio o di un interrogativo?
Noi discepoli che abbiamo ascoltato la Parola anche per più anni, che abbiamo cercato di salire il monte della Parola, abbiamo visto operare il Signore nella nostra vita? Abbiamo ancora domande da porgli e dubbi da chiarire?
Vers.18 Avvicinamento – potere
Gesù si avvicina, è sempre Lui a chiamare e a fare il primo passo. Non rimprovera per l’abbandono dei suoi discepoli davanti alla croce, ha ancora qualcosa da insegnar loro. Chi è costui? È il Kirios, il Signore del cielo e della terra, colui a cui è stato dato il “potere” (exousta) che significa “essere da”; Lui è da Dio ed ha il potere di Dio. Non se l’è dato da solo, non lo ha voluto quando gli è stato offerto dal tentatore (Mt.4,8-10), gli è stato dato dal Padre “Questi è il mio figlio prediletto, ascoltatelo” (Mt.17,15). Gesù è anche il compimento della profezia di Daniele (7,13-14): “Il figlio dell’uomo giunto presso Dio, che gli diede potere, gloria e regno…” (ripreso in Apocalisse). Gesù è colui che sta nel “seno del Padre” (Gv.1,18); è “la pietra scartata dai costruttori che è diventata testata d’angolo”; è l’Agnello dell’Apocalisse che riceve il libro con i 7 sigilli dalla mano di Dio (Ap.5,7) e diviene Signore della storia che prende nelle sue mani il progetto di Dio su ognuno di noi, vincendo il dragone.
Qual è il potere del cielo da riversare sulla terra? È quello del perdono e della misericordia che ha portato Gesù fin sulla croce mettendosi nelle nostre mani “Padre perdona loro”. Non esiste altro potere e ancora oggi, Gesù, si mette nelle nostre mani , nell’eucaristia, per aiutarci a costruire il Regno. Gesù deve essere un contagio di cui non dobbiamo avere paura.
Vers.19 Andando…fate – tutto – battezzare
Dunque (oun), dopo tutto questo, in nome del potere di Gesù, “Andando/andate” per la vostra strada, nella vostra vita quotidiana e “fate”. La nostra non è una strada misurabile in Km., il missionario è colui che fa migliaia di Km, il discepolo è colui che supera ogni distanza che lo separa dagli altri, con la forza di Cristo. “Fate miei discepoli tutte le genti”. È un “fare” per tutti, senza distinzione di culture, uomini, donne; cadono tutti i muri della storia. Ma cosa fare per “fare” discepoli? Fare amore, donare amore perché tutti sono destinati all’amore. L’aggettivo “tutto” che ricorre ben 4 volte in tre versetti indica 4 caratteristiche di Dio: Lui ha “tutto” il potere; “tutti” i popoli sono suoi; l’obbedienza va “tutta” a Lui e tutti i giorni, cioè “tutta” la storia, è sua.
Noi, i discepoli, anche se traditori, sfiduciati, dubbiosi, siamo chiamati a dar vita ad altri; noi “piccolo gregge” (Lc.12,32) siamo chiamati verso questo “Tutto” per viverlo e annunciarlo; noi siamo i chiamati a partecipare alla vita di Gesù ed al suo destino di croce e risurrezione, parlando del Regno; a far vivere all’altro la Parola attraverso la nostra umile vita perché, se non fosse così, se dessimo agli altri solo la Parola e non l’esempio, la Parola di Dio diventerebbe propaganda, slogan.
La prima evangelizzazione sta nella propria identità, nel proprio modo di essere, mentre, la prima missione, sta nel testimoniare la fraternità e la solidarietà. “Voi siete il sale della terra” bisogna vivere una vita “sensata” cioè che abbia senso e sapore. “Voi siete luce nel mondo”, siamo coloro che hanno il volto luminoso, che mostrano la bellezza di essere figli del Padre e fratelli tra loro. “Voi siete città sul monte” siamo città costruita sulla parola, un modo di vivere, senza voler omologare nessuno, lasciando agli altri la libertà della propria identità. Lo Spirito unisce nelle diversità (1 Cor) perché la comunione esiste solo fra distinti, in caso contrario vi è cannibalismo, uno mangia l’altro, uno prevale sull’altro. Se manca il rispetto per l’altro che è diverso da me, manca il rispetto per Dio che è diverso, “andare a tutti i popoli nel rispetto di tutti”.
Battezzare nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. “Nel nome di” significa “in comunione con” e “battezzare” vuol dire immergere, andare a fondo in Dio. Non siamo immersi nel nulla, come vuol farci credere il mondo d’oggi, siamo immersi in Dio. Il battesimo non è un po’ di acqua benedetta, è far capire che siamo amati da Dio e in Lui stiamo già vivendo e che amiamo i fratelli che il Padre, da sempre, ama come figli. Quello che rigenera è la Parola, ciò che capiamo ci rigenera.
Vers.20 Insegnare ad osservare – io sono – con voi – sempre
Le Parole del Signore sono “comandi/ordini”. Dio ci manda insieme per la vita e, in questa, siamo chiamati ad osservare tutti i suoi comandi, non solo ciò che più ci piace; è il “tutto” che forma l’armonia del cosmo. Quindi l’amore ha un prezzo, non è qualcosa di vago, è il principio di tutta la legge, è fatica, sudore, dolore ma noi non siamo soli ad affrontare tutto questo.
Gesù lascia i suoi apostoli ritornando per i suoi discepoli e torna come “io sono”, cioè l’Emmanuele, il Dio con noi, eternamente accanto a ogni fratello. Dio è relazione e non possiamo dire “Dio è con me” ma con “noi/voi” perché escludendo la comunità escludiamo Dio.
Mi troverete sempre, basta ascoltare la Parola e guardare il fratello. La nostra storia è fatta da tanti giorni ma diciamo che alcuni sono “si” ed altri “no”, per Dio non è così, per Lui i nostri giorni sono tutti “si” perché Lui è sempre con noi. “Io sono colui che è e che viene” (Ap.) fino al compimento del mondo cioè fino alla comunione totale “tutti i ginocchi si piegheranno nei cieli sulla terra e sotto terra e tutti sapranno che Gesù Cristo è il Signore”. È questo il punto di arrivo, tutto il mondo è destinato alla vita vera e Gesù vuole che percorriamo questo cammino.
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Domenica 10 Maggio 2020
LECTIO DIVINA
Matteo 24,15-28


Il ritorno del Signore è una difficile veglia
Per comprendere i capitoli 24-25 dobbiamo esaminare la loro collocazione. Nell’ultima settimana della sua vita Gesù aveva sconcertato i suoi seguaci nella loro interpretazione giudaica del regno messianico. Aveva parlato della sua morte e risurrezione; aveva descritto il Regno in termini molto diversi da ciò che Israele si attendeva e, soprattutto, aveva detto che “tutte le genti saliranno sul monte del Signore” (Is.2,3). Dopo tutto ciò, al posto che confermare la convinzione giudaica sulla immortalità di Gerusalemme, aveva pianto sulla sua rovina imminente.
Nel cap. 21 Gesù dice ai Giudei (Ves.43) “Perciò io vi dico che il Regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a gente che lo farà fruttificare”. Il Regno negato ai Giudei e ridato a Dio come sommo giudice, è la causa della condanna di Gesù da parte del Sinedrio: “è meglio che perisca un uomo solo per il popolo che non perisca la nazione intera” (Gv.11,50).
Siamo nella penultima e lunghissima giornata di Gesù, una giornata che è rimasta impressa negli occhi dei discepoli e che viene raccontata al rallentatore dagli evangelisti. Nel cap.22 gli Erodiani, mandati dai Farisei, vanno da Gesù per coglierlo in fallo e iniziano dicendogli: “Maestro, sappiamo che tu sei sincero e che insegni la via di Dio con franchezza, senza riguardi per nessuno” poi gli pongono alcune questioni come il tributo a cesare ed il matrimonio. Gesù risponde mettendo sempre al primo posto l’amore per il Padre e per il prossimo ma la diatriba si accende. A questo punto, siamo nel cap.23, Gesù si rivolge direttamente alla folla, davanti ai farisei e a coloro che lo denigrano, mettendo in guardia il popolo da chi si crede tanto superiore da imporre la sua legge sopra quella di Dio e concludendo “ecco la vostra casa sarà lasciata deserta!” (Mt.23,38).
Dopo questa dura invettiva (cap.24,1) Gesù lascia il tempio.
Appena fuori le mura, i discepoli, anche loro frastornati dalle parole di Gesù, gli fanno notare la bellezza e l’imponenza del Tempio quasi a dire che, in fondo, il popolo ci teneva a Dio se gli aveva costruito una così bella casa e questa era la garanzia del Regno e il simbolo che Dio era fedele al suo popolo. La risposta immediata di Gesù è che a Dio non serve un Tempio (Ger.7,14). Nulla è così come si vede, nulla è immutabile o eterno,
anche del Tempio “non resterà pietra su pietra” (storicamente questo avvenne nel 70 d.C.).
Seguiamo Gesù che si incammina sul monte degli Ulivi, sarebbe bello calarsi nei suoi pensieri, nei suoi sentimenti, nel suo silenzio. Quando si arriva sul monte degli Ulivi si staglia davanti a noi tutta Gerusalemme nel pieno della sua bellezza ed è proprio qui che, ai discepoli preoccupati che gli chiedono quando accadrà che il tempio andrà in rovina e quali saranno i segni, che Gesù inizia il suo discorso escatologico, l’ultimo dei 5 discorsi di Matteo.
Non è il “quando” e non sono i “segni” che contano, il futuro è nelle mani di Dio, ma è il “come” si percorre la strada nel tempo che Dio ci dà.
Anche noi adesso siamo in un tempo inaspettato, dove sono crollate le nostre routine e le nostre consuetudini ma non è importante sapere esattamente il giorno in cui potremo tornare “come prima” è importantissimo “come” usiamo ora questo tempo impossibile per arrivare ad un futuro “migliore”, dove “Dio è alle porte” (Vers.33).
La strada del tempo di Dio si percorre solo annunziando il suo Regno, regno di amore totale verso il Creatore e le sue creature. La missione è sempre aperta nonostante quello che succede e non è la persecuzione o qualsiasi tipo di male, che deve farci smarrire.
Apriamo una parentesi storica.
Le prime comunità cristiane vivevano nella fede di un Gesù morto e risorto e nell’attesa del suo ritorno che veniva descritto con il linguaggio dell’apocalittica giudaica: catastrofe cosmica, trionfo di Gesù e raduno dei fedeli. Alcune comunità pensavano ad un ritorno imminente, altre no.
Questa incertezza la ritroviamo anche in Paolo perché, in alcuni suoi scritti dice “il Signore verrà presto” e in altri dice di “non lasciarsi coinvolgere da falsi profeti che annunciano l’arrivo imminente del Signore” e, dieci anni dopo, nella lettera ai Romani, esorta a “svegliarsi dal sonno perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti”. Perché questo duplice atteggiamento? Perché le comunità avevano bisogno di continue cure, se dormivano ci voleva il pungolo “datevi da fare”, se correvano freneticamente avevano bisogno di una meta che desse loro la pazienza della attesa. Anche noi potremmo dire “la nostra salvezza è più vicina ora” perché è più vicina di 2000 anni.
Sicuramente il mondo, che ha avuto un principio, avrà anche una fine, come ogni creatura; siamo limitati, dobbiamo accettare questo per cogliere la bellezza mentre percorriamo la nostra strada. Allora forse la domanda è “come finiremo noi?”. Se uno ha centrato tutta la vita sull’incontro con il Signore, alla fine troverà la meta del suo cammino.
Vediamo ancora un’altra angolatura di questo discorso. Gesù, sulla croce, dice: “tutto è compiuto”. La fine del mondo è già avvenuta, è nato un mondo nuovo che non è esente dal male ma in cui siamo chiamati a cavalcare l’antico serpente con l’amore di Dio e testimoniando il Cristo.
Tutto il discorso dei cap.24-25 non fa altro che rimandare dal futuro al presente. Bisogna pensare di vivere ora senza paura, nella fiducia, nella responsabilità, nell’amore. Questa è la fine del vecchio mondo e l’inizio del nuovo.
Il primo avvertimento di Gesù è: non farsi ingannare dal male (vers.4-14), terremoti, guerre, carestie, malattie, fanno parte del limite ma, la fine del mondo è un l’annuncio del Vangelo, cioè un incontro, un trovarsi e parlarsi tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo.
Vediamo i versetti odierni.
Si parla di “vedere l’abominio della desolazione” eretto nel luogo santo e di “fuggire”. L’abominio della desolazione lo si ritrova in Daniele 12,11 e viene chiamato così l’altare pagano a Giove che, Antioco Epifane, aveva fatto erigere nel Tempio Santo degli Israeliti. Cosa c’è di peggio che mettere un idolo al posto di Dio? Questa è la fine vera dell’uomo, il massimo male che può capitarci, è veramente la fine del mondo, la fine della libertà di essere uomo.
“Chi legge comprenda”. I Giudei confidavano nella propria giustizia, sicuri della propria superiorità e dei privilegi che ritenevano avere da Dio tanto che si contaminarono attraverso la condanna ingiusta di Cristo eppure, solo 70 anni dopo, bastarono Tito e Giuliano per distruggere le loro belle sicurezze, per distruggere il loro Tempio, il loro bell’idolo.
Ogni epoca, ogni uomo deve scoprire qual è il suo “abominio della desolazione” al quale si prostra, la bestia dell’Apocalisse che è in noi.
Gesù ci dice: “attenzione” si fanno leggi che vogliono controllare tutta l’umanità, tutta la società, leggi che ti mettono con la schiena al muro se non le segui… ma se non sono giuste non le devi seguire. In passato ci sono state leggi come quelle naziste ma oggi? Ci sono sistemi di menzogna, violenza, tradimento, la finanza guida il mondo mantenendo un sistema di ricchezza sfrenata e di povertà assoluta, la giustizia è guidata dal potente e l’economia distrugge l’uomo perché lo divora, questi sono tutti idoli.
Ci vuole discernimento, non si può dividere Dio dal mondo, questa è la vera fine. Non si può relegare Dio in un tempio o in un rito; Dio vuole scendere in campo aperto, il nostro è un Dio che vuole dar battaglia agli altri idoli (Sal.143/144), è un Dio “geloso” (Dt.5,9) che non si accontenta di una chiesa o di una decima, ma vuole poter amare e lo può fare solo attraverso noi facendoci testimoni di vita.
Non possiamo dire quale sia la fine ma qual è il fine della vita, portare tutti a Dio. Questa è la responsabilità della Chiesa.
Come fare ad essere testimoni di vita? “Fuggendo”. Cioè non lasciandosi rapire nel gorgo del male, non piegando le ginocchia davanti agli idoli non accettando le leggi inique. C’è tenerezza in Dio quando dice all’uomo di non perdere tempo a portarsi dietro ciò che ritiene necessario, quando pensa alle persone che saranno rallentate per varie ragioni tra cui le donne che portano in sé la vita e a tutti ripete che sopra ogni difficoltà c’è un Dio che pensa a tutti. Ci vuole fiducia in Lui.
“Vi sarà una grande desolazione” ma “i giorni saranno abbreviati”. Sempre vi sarà, in ogni periodo storico, una grande desolazione, perché è la conseguenza delle azioni funeste dell’uomo e del limite del creato, ma tutto ha un termine, cioè nessuna prova supererà le nostre forze, nessun male sarà più forte delle capacità dell’uomo a superarlo mediante il dono dello Spirito Santo.
Vers.23-28 ancora altre avvertenze.
Non correte dietro a tutti coloro che dicono di vedere Cristo e lo annunciano con potenti miracoli. Per essere testimoni di vita non c’è bisogno di seguire sedicenti profeti. Cristo è presente proprio nella situazione reale che ognuno sta vivendo; lotta in mezzo al male del mondo; non si preoccupa di costruire oasi nel deserto dove portare in salvo i suoi seguaci ma costruisce oasi nel cuore di ogni uomo, oasi in cui rifugiarsi per parlare con Lui, per trovare forza per combattere.
La Croce è l’unico “abominio della desolazione” a cui dobbiamo piegarci, quella croce che i Farisei hanno eretto fuori dal loro tempio ma, così facendo, hanno preparato la via alla Chiesa. È lì che è scaturito il massimo dell’amore, è lì che il testimone lo vede. Se perfino un cadavere si può scoprire dal volo degli avvoltoi tanto più l’amore di Cristo vivo si può rendere presente nel nostro cuore e nel mondo e si deve rendere presente attraverso di noi al mondo.
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Domenica 26 Aprile 2020
LECTIO DIVINA
Matteo 21,18-22
Il fico sterile ed il grande comandamento
“Chi può dire dove le strade finiscono e dove iniziano i giorni…solo il tempo” (Enya) Gesù è giunto a Gerusalemme, alla sua meta, la storia e non solo la sua sta per finire ma sta anche per ricominciare, lì nella Galilea delle genti.
Nel cap.21 troviamo tre gesti simbolici, polemici e da profeta, di Gesù, infatti la domanda che molti gli pongono è “con quale autorità fai queste cose?”. Il primo gesto è l’ingresso messianico in Gerusalemme. Accolto come il messia Lui stesso si definisce “Signore” quando manda a chiedere un’asina in prestito per salirci sopra: “Il Signore ne ha bisogno” (21,3). Il secondo gesto è mirato contro lo svolgimento del culto nel Tempio, culto basato su compravendita puramente umana. Il terzo è la maledizione del fico, un giudizio su Israele ormai sterile. Sono brani scandalosi ieri come oggi e molto attuali. Ci fermeremo su questo ultimo segno che ci aprirà alla visione del secondo brano di oggi Mt.22,34-40.
In Mt.21,18-22 Gesù secca le piante e scaglia le montagne in mare, ci propone, quindi, un disastro ecologico e inoltre afferma che anche noi dovremo ripetere queste cose, e ne dovremo fare di più forti.
Apriamo una parentesi interessante sull’albero del fico che troviamo tante volte nella Bibbia. Prima di tutto è l’unico albero che mette prima i fichi e poi le foglie perché i fichi equivalgono ai fiori; in Israele gli alberi di fico danno fichi precoci pronti a giugno, fichi estivi pronti ad agosto e fichi tardivi con frutti che arrivano in primavera, quindi tutto l’anno si trovano fichi sulle piante, magari solo uno piccolo tra una stagione e l’altra. Inoltre, per Israele, l’albero del fico rappresenta colui che accetta la volontà di Dio e che, anche nelle avversità, porta frutto. È l’albero domestico che sta sulla porta di casa indicando che, in ogni luogo, ci devono essere frutti dolci. Un fico infruttuoso è, invece, dannoso perché succhia la vita cioè priva altre piante dei minerali del terreno, senza rendere nulla. Ricordiamo la parabola in Lc.13,6-9, dove il padrone della vigna, avendo un fico che
non portava frutti, dà l’ordine di tagliarlo ma, il vignaiolo, interviene dicendo “lascia che lo curi, se poi non porterà frutti lo potrai tagliare”.
Qui Gesù si pone proprio come il padrone della vigna.
Perché Gesù non gli ha fatto fare frutti e, invece, lo ha seccato? Ha fatto un contro-miracolo e dice anche a noi che dovremo fare questi contro-miracoli e se non ci riusciremo dobbiamo pregare per ottenere questa fede!
Se il testo ci appare paradossale è perché la realtà lo è ancora di più.
Nel tempio, il Signore, non trova un dolce fico, cosa trova al posto della dolcezza dell’amore? Mercanteggio e ladri. Il nostro mercanteggiare con Dio attraverso le nostre offerte e preghiere è una rapina perché speriamo di portargli via qualcosa (mi dai, ti do), ma in Lui tutto è dono gratuito d’amore inoltre. Nel Tempio tutto si nasconde dietro tante belle funzioni. Il nostro fico, che non ha frutti è come quel tempio, si nasconde dietro tante foglie ma è anche come l’uomo che, abbarbicato alla terra, la sfrutta per il suo interesse personale e continua a coprirsi le nudità, la sterilità, la vergogna, la propria identità con le foglie come Adamo ed Eva (Gen.3,7), uccide il fratello come Caino (Gen.4,8), mentre il suo ergersi verso l’alto vorrebbe unificare terra e cielo Torre di babele (Gen.11,1).
È, quindi, molto importante che questo fico secchi.
Siamo alla mattina dopo l’ingresso in Gerusalemme, la mattina dopo la purificazione del tempio da parte di Gesù. Siamo due giorni prima della Pasqua ebraica, un giorno prima della condanna di Gesù. Un mattino di dispute e contese che porteranno alla morte di Gesù.
Mentre entra in città Gesù ha fame. Di che cosa ha fame il Signore? Lui che è amore ha fame di amore, ha fame della nostra libertà di amare, di autenticità, della nostra felicità di essere fratelli, “amerai il Signore tuo Dio con tutto cuore e il prossimo come te stesso”.
Chi non ama il Padre, non ama i fratelli e viceversa, è come un fico che, sotto il suo bel fogliame, nasconde aridità. Questo albero mette in mostra la nostra religiosità, i nostri bei riti, la nostra realtà che ci dice che non sappiamo amare e servire. Gesù ha fame del nostro cuore e per questa fame morirà in croce.
“Il tempo è compiuto”, ogni momento è quello giusto per dare frutti, tanti o pochi che siano, e non è più tempo per gli interessi privati, per l’odio, per il possesso, per la violenza, la concorrenza, la distruzione degli altri e, quindi, di sé stessi.
Gesù tra quelle foglie cerca l’uomo, “dove sei?” (Gen. 3,9) ma non lo trova perché l’uomo non sa più realizzarsi in una relazione positiva con gli altri. Noi sprechiamo le energie nostre e del creato per produrre beni che creano prestigio e non condividiamo nulla creando ceti e divisioni, tutto ciò è rapina ed inganno che fa crea un mondo spietato, arrogante e prepotente che cresce nei suoi difetti in maniera esponenziale. La maschera di foglie di fico con cui si copre l’uomo è la maschera della stupidità degli uomini che continuano a non accettare come dono di Dio i beni che hanno. Tanto più l’uomo si sente onorabile (come i farisei ed i dottori della legge anche del nostro tempo) tanto più dà valore solo a questo tipo di mondo, ingannando sé stesso e gli altri. Ad esempio per uscire dalla crisi attuale sono state fatte delle proposte per lavorare 7 giorni su 7, dividendo ulteriormente le famiglie, quando Dio dice che ci vuole il riposo del sabato (domenica) giorno fatto per stare insieme, per amare Dio e i fratelli. L’uomo vuole essere come Dio (la torre di Babele, arroganza e prepotenza) ma non vuole seguire un Dio che è come l’asinello che porta in groppa Gesù cioè umile, mite e servizievole.
Ed ecco allora la maledizione del fico: “quel fico si seccò”; maledizione profetica, rivelatoria che ci indica che siamo nella maledizione dell’avere e non nella benedizione dell’essere, non sappiamo essere uomini. Questo albero ci svela la nostra verità di maledetti ma anche quella di un Dio che ci cerca tra le nostre foglie, che non si accontenta mai fino a quando non ci ha trovati, fino a diventare per noi maledizione sull’albero della croce.
Vers.20 i discepoli domandano il perché del fico seccato. Sono stupiti e perplessi, è il momento critico di ogni credente quando gli diventa difficile riconoscere Dio in ciò che succede. È il momento della prova in cui si è invitati a fidarci ancora di più senza avere riscontri. “Grazie a me si trova frutto” (Os.14,9), ciò che non è possibile per natura è possibile per grazia…è impossibile ad una vergine o una sterile, partorire; è impossibile ad un cieco nato, vedere; è impossibile ad un morto da tre giorni risorgere… Ma la risposta di Gesù risulta ancora più strana del suo contro-miracolo infatti si mette a parlare di fede:: “Se avrete fede e non dubiterete…” il luogo della fede è il dubbio, se non si entra nel dubbio, se non ci si pone delle domande, non si entra nella fede ma solo nella creduloneria. La fede è comunione con Dio che mi dà la possibilità di fare le cose con il Signore. La fede mi dà occhi diversi, mi illumina, mi fa vedere la mia inutilità e inconsistenza sotto tutte le mie foglie appariscenti. Ma c’è un ulteriore gradino nella fede, posso “spostare le montagne”. Questa espressione la ritroviamo già dopo l’episodio della trasfigurazione, quando i discepoli non riescono a vincere i demoni: “se aveste fede quanto un granellino di senape…” Il monte è il luogo della gloria di Dio (Abramo, Mosè, Trasfigurazione…), la fede è quella che mi fa capire che il monte di Dio si getta nel mare per noi, nell’abisso della maledizione per salvarci, il Golgota. La vita cristiana è una vita impossibile perché noi pensiamo da uomini ma ,“i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is.55,8). Noi concepiamo la vita, l’amore, la gioia per natura così come siamo sicuri che l’albero del fico dia i fichi; Dio ci dona la vita, la gioia, l’amore in un universo di grazia. I beni visibili sono un segno per quelli invisibili, sono cartelli stradali che indicano una meta ma noi, durante tutta la vita, cerchiamo di avere, comprare, ottenere solo i cartelli stradali, restando fermi senza percorrere la via soprannaturale della grazia.
Come fare allora? Qui entra in gioco la preghiera. Cosa si deve chiedere? Bisogna chiedere la fede che ci illumini sulla verità di Cristo e la nostra e, la fede, si ottiene sempre perché, chiederla, vuol dire dare fiducia a Dio, avere già fede.
La storia in cui siamo coinvolti è la storia d’amore fra la vita e la morte, fra la luce e le tenebre, se accogliamo Gesù lui rovescerà i nostri tavoli, la nostra religiosità e ci spoglierà di tutti i nostri orpelli; non è una storia indolore.
“Mi hanno dato gli occhi e mi hanno detto Guarda. Mi hanno dato il cuore e mi hanno detto Ama. Ma non mi hanno detto che con gli occhi avrei pianto. Ma non mi hanno detto che con il cuore avrei sofferto.” (Enya)

LECTIO DIVINA
Matteo 22, 34-40
‘Amerai’
1. Il punto
La Lectio passata eravamo rimasti sulle condizioni per seguire Gesù: lasciare e andare dietro. Il giovane triste perchè ricco di sé s’era quindi fatto da parte, scegliendo altra via.
Oggi siamo fermi sul fico sterile (capo 21) e sul comando dell’amore (22). Il collegamento può essere questo: seguire Gesù non è dunque solo una comodità (giovane triste) ed un’intenzione; è qualcosa che deve portare frutti nuovi, arrivare alla vita. Perché ci sono molti (Matteo 21) che dicono e non fanno, e questo non è cammino di fede col Maestro.
Ma se la fede è opera e non solo teoria, allora cosa bisogna ‘fare’? Come dice Matteo 22, occorre ‘amare’, solo amare, non altro. Che è poi quello che non riusciamo invece a fare, noi chiusi nei nostri individualismi. Israele aveva una religione di 613 tra comandi e divieti, dunque cercare di capire qual’era l’unicum necessarium non era solo un’esigenza avversativa al suo insegnamento, ma un misurarsi su quel che davvero chiede la sequela.
Al capo 22 Matteo raccoglie in sequenza alcune rappresentazioni di quel che significa entrare nella vita nuova. All’inizio c’è la parabola del banchetto nuziale, che dice che il Regno sarà una compagnia e renderà gioia. Poi c’è la querelle coi sadducei sulla donna che sopravvive ai 7 fratelli e poi muore pure lei (almeno questo): un modo per superare i dubbi relativi all’oltre. Poi c’è questo passo che potremmo chiamare l’indicazione del primato dei valori, ovvero la via della totalità. Infine c’è il confronto su di chi è figlio Gesù, ossia sulla ragionevolezza del suo ardire di voler essere Maestro di chi pensava di sapere.
2. I particolari
Gesù nei dialoghi è una forza, non parla per dire. Ai sadducei, dice la narrazione letterale, ‘ha chiuso la bocca’: gli ha messo la mascherina, come dovremmo fare a certe espressioni malevole. Alla domanda tendenziosa, all’indagine fatta non per capire ma per contrad-dire, risponde dritto al bersaglio dell’unica verità da capire: amerai, due volte amerai.
Israele come noi aveva molte regole, fatte emergere dalla vita: muoviti così, meglio non fare cosà. Alcune tradizioni umane, altre più profonde riconducibili a Dio e dunque ad una alleanza che andava rispettata. Tra le diverse norme di comportamento, era dunque evidente l’esigenza di una priorità. Pure noi spesso siamo chiamati dalla coerenza ad indicare un’opzione, a selezionare qual è la nostra scala di valori. Qual è la nostra?
Colui che è esperto di legge, giustamente domanda un comandamento. La regola del vivere, ciò che garantisce futuro (‘osserva dunque le norme che oggi ti dò, perchè tu viva’), non è dunque qualcosa che è lasciato alla libera iniziativa dell’uomo, ma è imperativa. Co-mando, invio insieme, dice che non c’è vita se non c’è regola. Ma dice pure che l’uomo trova la ragione del suo essere (comandamento ‘grande’) non dentro ma fuori di sé. E’ un altro da lui, che può consegnargli una parola autorevole; è una ob-audientia, un ascolto di chi sta fuori e non delle velleità che mi muovono dentro, che rende giustizia. Se invece di pensare a come stiamo, ci scoprissimo responsabili dell’altro, potremmo capire già.
Il vino nuovo, la parte ‘migliore’ che va scelta come Maria rispetto a Marta, è l’amore. Gesù rimanda ad una regola che già c’è, lo ‘shemà Israel’: la signoria di Dio, il comandamento anti-idolatra che riscatta la libertà dell’uomo da ogni schiavitù, perché nel riconoscere l’Unico riesce a relativizzare gli altri poteri ed è sicuro che il suo Regno è liberante come un esodo dall’Egitto (Dt 6,4): osservanza del cuore, dunque autentica.
Amerai. Segnale indicativo (‘da questo vi riconosceranno’), tempo futuro, come a dire di qualcosa che l’uomo riuscirà a fare domani, ma oggi gli è dura. Amare è una scuola, un cammino, non una cosa scontata. Sta più nella forza per-formativa del comando, come ogni dinamica di fiducia: ce la farai, te lo dico io, ed è questo che ti muove e ti rassicura. Con tutta la mente, sottolinea Matteo a differenza dei sinottici. Come a dire di una parola creativa, di una profezia che nemmeno l’uomo immagina. E’ nella testa, la chiave dell’amore, ossia in quel che vedi e pensi e decidi. Ed è bellissimo questo Dio, onnipotente infinito creatore di mondi, che umilmente come un innamorato sceglie solo di farsi amare. Mettendosi nella condizione di chi deve ‘dipendere’ sempre dalla risposta o meno dell’altro. Dio che da tanto attende che io mi muova, che non chiede altro che questo.
C’è un ‘duplice’ amore, come diceva santa Teresa di Lisieux. Ed è questa la novità del Vangelo rispetto alla Legge. Pure l’amore al prossimo era antico: ‘ama il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore’ (Lev 19,18). Ma Gesù questo lo farà davvero, non come i farisei. E quando racconterà del buon samaritano (‘fa tu lo stesso’, Lc 10), o dopo aver lavato i piedi (‘perché facciate anche voi’), in quello che per san Bernardo è il vero sacramento eucaristico, o dicendo del giudizio futuro (‘quel che
avrete fatto a uno di questi piccoli’, Matteo 25), allora rivelerà quel ‘di più’ che offre e domanda: ‘come’ Io vi ho amati.
Un primato, l’amore a Dio, non è mai senza un’altra mozione che è ‘simile’, distinta ma non minore. È la kelal gadol, la regola d’oro che Matteo al capo 7 ricorderà come misura di giustizia. Fai agli altri quel che vorresti fosse fatto a te, e viceversa. Norma di immedesimazione, percezione empatica dell’intimità non tua ma dell’altro. E consegna di una affezione, che non può essere vera se non è quella che te provi per te stesso. Lo stesso fortissimo senso di appartenenza con il quale ti concentri su te, l’altro è tua proprietà.
Da questi 2 comandamenti ‘dipende’ tutto. Il verbo, krematai in greco, è come i 2 cardini che reggono in piedi la porta. Legge e profeti, come Mosè ed Elia sul monte. Mi domando: perché l’amore è così importante? E cosa significa amare? O meglio: chi si è chiamati ad amare? Di solito ami quel che non hai, e non ti accorgi di chi ti ama. Ma non è questa la distinzione che conta, è l’altra relativa ai farisei, che si radunano insieme ma non per amore. Gli esperti della legge che pensano di fare abbastanza, e non hanno compreso che l’amore è il vero movimento. La nuova chiesa di Matteo, ha forma dall’amore totale.
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Domenica 5 Aprile 2020
LECTIO DIVINA
Matteo 19,16-30
Se vuoi. Lasciare per trovare
1. Ritiro

Era scritto, già quando abbiamo corretto il calendario, che non dovessimo fare questo ritiro pasquale. Siamo rimasti l’otto marzo solo all’inizio della quaresima, al deserto delle tentazioni e al monte della trasfigurazione. In spirito dunque ci collochiamo in queste due situazioni extra-ordinarie ancora un attimo, perché ci rappresentano il punto di partenza e la mèta di un percorso che è stato davvero penitenza. Lo facciamo oggi accompagnando Mauro, che ora sta con Mosè ed Elia e ‘conversa’ con loro. E’ un tempo santo questo, all’inizio della settimana della Vita nuova.
Perché siamo qua? E dove andiamo? Ci riuniamo, e pure tra noi c’è un dialogo che ci col-lega, perché siamo alla ricerca di un senso. Ci serve fiducia per andare avanti, e scopriamo che condividendola nasce anche affezione. La vita riparte, quando la consegni al Mistero. Gesù è in viaggio, nella sua vita e sempre, verso Gerusalemme. Dalla depressione del Giordano e da Gerico sale (1100 metri da -400 a +700) al Santo monte. Anche noi siamo arrampicatori, solo sui crinali alti si scorge orizzonte. La questione sulla quale siamo chiamati ad elevarci, è quella della ‘ricompensa’: se è vero che i primi saranno ultimi, e che seguire Gesù chiede tutto, allora deve valere la pena, deve esserci un’energia che ci con-vince a farlo, perché invece noi pensiamo a noi. Ecco allora la domanda chiave di Gesù, al capo 20,29: ‘cosa volete che Io faccia per voi?’
2. Matteo 19
Inizialmente si ragiona di matrimonio, celibato e ricchezza. E’ posta l’esigenza di scelte radicali, se si vuole essere discepoli del Maestro. Non è una fede di comodità, quella che è proposta, non secondo il mondo. Tutti vogliono sempre qualcosa, e noi ci scopriamo ogni volta inadeguati rispetto alle soglie indicate, ma magari questo significa che quel che viene offerto vale, non è solo acqua fresca. Dio dona il centuplo, e la vita vera. Non c’è una adesione, senza corpo.
La pericope che interessa è divisa in più parti: a. un dialogo sulla necessità di essere liberi (16-22); b. la scoperta che la ricchezza non è sostegno ma rischio (23-26); c. l’intuizione che la libertà apre il futuro (27-29); d. la nuova classifica del campionato, primi ultimi (30). Tutto ritmato intorno all’espressione ripetuta due volte, ad indicare due passaggi di uno stesso cammino: se vuoi. La volontà ha a che fare con la libertà, ed ambedue servono per andare avanti: a. per entrare (nella vita) e b. per arrivare (essere perfetto, compiuto). Lasciare dunque, come chiesto al giovane inquieto, non significa perdersi ma piuttosto trovare, in spirito di non dipendenza.
3. Entrare nella vita
Che farò di buono, per avere la vita eterna (16)? Dare futuro alla fame di vita, questo è il fine. Non vivere solo un attimo, trovare quella felicità che è ciò che muove, questo è associato dal giovane all’esigenza di fare. E questo intraprendere che uno agisce, deve essere buona, non qualsiasi cosa. Gesù risponde anzitutto a questo, orientando come fanno gli ebrei il valore alla persona non alla cosa: buono è Uno, colui che è Dio. Per questo il Maestro domanda perché o per chi ‘buono’: forse il giovane ha compreso di essere dinanzi non solo all’uomo, ma di aver trovato il Messia. Mi piace, questa cosa: la bontà è sempre di qualcuno, non di qualcosa.
Così poi Gesù fa compiere al giovane il primo passo: la vita è un ‘entrare’ (17). Se vuoi entrare nella vita, significa che non stare fuori, sulle tue, devi muoverti. La vita è andare verso, accedere o meglio essere introdotti, coinvolti in un mondo. Non puoi continuare solo ciò che già fai, se ti convinci te ne accorgi proprio dal fatto che cambiano le cose. E così la seconda Tavola della Legge con i suoi comandamenti (18), indirizzati alla relazione, sintetizzati da quello della prossimità dell’amore (19). Aver a che fare con la vita eterna, con Dio, significa non essere distanti dall’altro, vivere una vicinanza che è il vero sacramento del Regno. In tempi di distanziamento sociale, è paradossale come il Vangelo misuri i metri della vita, rimandi ad una alterità.
Sempre mi sorprende questa domanda divina di giustizia, questa aderenza all’umano così diversa dalle nostre estasi mistiche. Ma il nostro giovane su questo ha camminato, tutti questi comandamenti li ha ‘custoditi’ (20). Non dimenticate questa parola: custodire. Il bene non va lasciato a sè, la fede ha necessità di custodia. Occorre non spegnere il lucignolo, non sedersi sulla cattedra di Mosè, tenere di riserva l’olio delle vergini sagge: la spiritualità è una palestra dei movimenti interiori, o sei inerme. Come questo giovane, che ha fatto ma non è felice, non ancora. Così domanda: di che cosa è privo? E’ un interrogativo di fondo: l’uomo si riconosce nel bisogno, si definisce a partire da quel che non ha. Come nell’amore vince chi fugge, così viviamo di desiderio.
4. Essere im-perfetto
Ecco allora il secondo passo: se vuoi essere perfetto. Ossia se vuoi arrivare al compimento, alla pienezza, non fermarti per strada, lasciare a metà. Non devi accontentarti del poco, puoi tutto, di più. E non è una opzione preferenziale per i religiosi, è per tutti. Anche a chi vive come laico nel secolo, è indicato un orizzonte di perfezione. Perché la vita cristiana è di per sé cattolica, globale e senza mezze misure. Che tocca la vita, non solo di intenzione. E non è una pienezza cui devi adeguarti ma non ce la fai, vorresti tenere qualcosa per te. E’ la custodia di tutto quello cui tieni, ma offerto, vissuto come dono e per questo ritrovato. La vita non trattenuta come possesso da mantenere (‘noli me tangere’), ma come ricezione e condivisione di quel che hai.
La libertà è la chiave, altrimenti vivi tutto come dipendenza, anche quello che pure ti è stato dato, e come timore di perdere, mentre invece trova la vita chi la perde per una causa. Il grande paradosso del Vangelo, quello che sa bene chi è capace di rinunciare a molto per quel che gli preme di più. Vende quello che ha e se ne va pieno di gioia, colui che ha trovato il tesoro nascosto nel campo del cielo, perché ha compreso che il suo cuore è là dove è la sua attesa. E’ seguire persone (21) non velleità: ciò che fa vivere è vita di Altro, è l’eucaristia di Q-qualcuno.
Ma il giovane si s-collega (22), c’è una resistenza che viene dall’attaccamento. Gli è impedito il futuro (vita eterna), perché non è libero del suo presente. Il distanziamento (23) vero lo fa l’uomo, quando decide per sé e non si spende: aveva molti beni. E’ il proprio, a scapito del comune, il grande problema del mondo. E quando Gesù lo denuncia, i discepoli sentono che davvero sta cambiando la vita (25): l’inganno delle ricchezze gli faceva credere che conta chi ha, invece si va avanti se si è liberi, se non c’è qualcosa che appesantisce. Dunque pongono loro l’interrogativo sul che fare: chi dunque può essere salvato? Al passivo, perché all’uomo non è dato.
5. Molte volte tanto
Se rinuncio a stare con, se decido di percorrere sentieri miei, sono davvero libero come penso? Ovvero quando ho trovato il coraggio e ti sono venuto dietro, cosa me ne è venuto (27)? La domanda di Pietro è relativa alla cor-rispondenza, al contraccambio e dunque alla convenienza della scelta che apparentemente ci depriva, non ci garantisce. Lasciare per ritrovare (29) è la grande promessa, e la vera annunciazione all’uomo è quella parola che Gesù pronuncia: tutto è possibile. Richiama quel che l’angelo disse a Maria: nulla è im-possibile.
Così i discepoli, quelli che vanno dietro perché sono fissati-raggiunti-esortati-attratti da uno sguardo di benevolenza (26), comprendono che nella nuova creazione, o più ancora nella ri-generazione (28), pure per gli ultimi c’è una opportunità di arrivare primi, e viceversa può esserci un capovolgimento di situazioni, te che davi per acquisita una sequela scopri che hai davanti altri passi. Mai dire mai, nella rinuncia o nella scelta, tenersi sempre ancora aperti in cammino.
6. Mai senza l’altro
Cosa significa andare avanti, non tornare indietro (come il salto in lungo)? Cosa ci lega davvero, se non condividiamo una vita? Saremo un giorno felici, nel Tutto e non nel particolare?
E come essere liberi, ma camminando insieme? Come coniugare questo difficile equilibrio tra autonomia e coinvolgimento? Perché è vero che c’è più gioia nel donare, che nel ricevere?
Bella la pedagogia di Gesù, risponde alle domande con altre. Non sempre le risposte muovono, spesso lasciano seduti; mentre dobbiamo camminare, essere ancora inquieti come il giovane. Allora l’ ‘im-perfezione’ che non ci fa essere come l’ideale, forse è solo una forza che ci tende?
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Domenica 22 Marzo 2020
LECTIO DIVINA
Matteo 18,15-20

Come sempre raccordiamo il brano di oggi con il capitolo precedente partendo da Mt.16,28 “alcuni qui non gusteranno la morte prima di aver veduto il figlio dell’uomo venire nel suo Regno”. Non è una Parola che ci indica che qualcuno avrà una vita eterna ma è una Parola che assicura, a tutti coloro che lo desiderano veramente, che vedranno il regno di Dio già qui, ora. Stiamo vivendo un momento difficile di quarant’anni di deserto, anche solo 40 giorni bastano, ma Dio ci invita a vedere il bello, il Suo Regno , che sta crescendo ed è il cuore di Gesù vivo, è la natura intorno a noi, è il desiderio di stare di nuovo insieme, è la speranza che non si spegne, sono gli occhi che sorridono sotto una mascherina o quelli stanchi di ore e ore passate a curare i malati in ospedale, o la musica che si trasmette da un balcone all’altro come una ola di ringraziamento a chi si sacrifica per gli altri, la mano che si alza in segno di saluto o coloro che decidono di perdonare un amico o un familiare e alzano la cornetta del telefono. Sotto quella mascherina che dà timore, la bocca resta chiusa così non possono uscire cose malvage all’anima e dal cuore (Mt.15,19) e si fa quel digiuno che non sapevamo mai come fare. La bocca è chiusa ma “gli orecchi ci hanno aperti” per ascoltare la voce del Signore e non è questo, forse, un “gustare” la morte, un anticipo di quando sentiremo e vedremo faccia a faccia il nostro Signore?
Nel capitolo 17 c’è l’episodio della trasfigurazione. Pietro, Giacomo e Giovanni sono chiamati a riconoscere che Gesù è il Signore. Ognuno può farsi la domanda: chi è Gesù? E poi darsi una risposta, ma tutti possono sapere che cosa dice di lui Dio: “questi è il mio figlio prediletto, ascoltatelo!”.
La vita, quella di Gesù, dei discepoli e la nostra, continua e si viene a contatto con sofferenze di ogni genere. È la fede che aiuta a sconfiggere il male, è la fede la vera forza dell’uomo (o generazione incredula! Mt.17,17), al fondo della strada non c’è mai il buio ma la forza della risurrezione (Mt,17,23).
Un altro tema trattato nel cap.17 è quello dello scandalo verso la legge: Gesù potrebbe dare scandalo rifiutando di pagare la tassa al tempio come ogni buon Ebreo, ma Lui decide di non darlo.
C’è scandalo e scandalo, un conto è portare avanti la verità, la giustizia e la libertà un conto è rinunciarvi per un bene più grande che è proprio quello di non essere pietre d’inciampo per altri che non capiscono.
Anche qui, il tempo che stiamo vivendo, è un buon esempio per capire. Ci stanno chiedendo di rinunciare alle nostre libertà, perfino ai nostri guadagni che ci servono per vivere, alla messa che nutre l’anima o all’ amicizia che ci dà forza, per un bene più grande, la salute di tutti.
Il cap.18 si apre sullo stesso tema e introduce il 4° discorso di Matteo, quello ecclesiale.
Chiesa e croce non sono distinguibili, la comunità è chiamata a seguire Gesù che si sta recando, volontariamente, verso Gerusalemme, verso la Croce.
Come si deve costruire una comunità che vuole seguire Gesù?
Deve essere semplice come un bambino e saper perdonare vivendo da fratelli. Solo così Gesù può venire in mezzo a noi a sanare perché, la volontà del Padre, è quella di salvare tutti (Mt.18,14).
Vers.15-20
15 Se il tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e riprendilo tra te e lui solo. Se ti ascolta, hai guadagnato un fratello.
Quando fu scritto questo brano evangelico la chiesa era una serie di piccolissime comunità sparse su un vasto territorio che si comportavano come un’unica famiglia, “uno per tutti e tutti per uno”. Cosa accade in una famiglia in cui uno dei membri rischia di perdersi? Tutti cercano di intervenire per non farlo uscire dalla strada maestra. Matteo ci dice che, spesso, tutta la comunità era solidale nei problemi di questo genere.
Oggi le comunità cristiane sono diventate grandi e i sentimenti di fraternità si sono allentati. Davanti alle situazioni difficili molti dicono o pensano “non posso farci niente” e giocano a scarica barile o a Ponzio Pilato. Gesù invece ci invita alla “ricerca” (pecora perduta) e ci interpella per chiederci “non posso fare nulla di fronte al male che sta devastando la mia comunità?”.
Quindi l’espressione “se pecca contro di te” non vuol indicare una offesa personale, uno sgarbo, un diverbio, questo va sempre perdonato come ci insegna il Padre Nostro, ma un vero e proprio passo falso, un peccato grave che potrebbe degenerare incrinando irrimediabilmente la comunità stessa e fare del male anche a chi lo compie.
“Fuggite il male con orrore” invita Paolo ai Romani (vers.12,9) perché una comunità di credenti deve diventare una comunità di fratelli che si aiutano con stima, fiducia, rispetto, affetto e, ben venga, profonda amicizia. Siamo abituati ad avere uno sguardo che coglie il fratello in fallo, che giudica, che vede solo il male nell’altro, “Guarda prima la trave nel tuo occhio!” è il monito di Gesù. Lo sguardo di Dio salva e noi, prima di misurarci con il fratello che pecca, dobbiamo misurarci con lo sguardo del Padre il quale “non gode della morte del peccatore ma vuole che desista dalla sua condotta e viva” (Ez.18,23)
Allora si può fare qualcosa per i fratelli? Sì: correggere. La Correzione è un guadagno perché non si perde un fratello. La Correzione è illuminare, è un gesto d’amore.
Sant’Agostino: “amore per la persona, odio per il male”.
Per fare una buona correzione fraterna bisogna conoscere in profondità le persone, conoscerne la storia, l’ambiente sociale, culturale, le capacità, i talenti, i progetti, i desideri, le fragilità, in caso contrario le paragoniamo a noi e le critichiamo.
Dio ha affidato l’uomo all’uomo e continua a chiederci: “che ne è di tuo fratello?” ma noi spesso continuiamo a rispondere come Caino: “sono forse io custode di mio fratello?” (Gen.4,9). Noi dobbiamo essere sentinelle per i fratelli (Ez.33,7-9) ma spesso ci comportiamo da ficcanasi o da guardoni come il “grande fratello” televisivo. Nel colloquio con l’altro, “la sentinella”, non si comporterà da persona perfetta ma da fratello peccatore che intende aiutare un fratello peccatore come lui.
La correzione fraterna non parla di “ammonire” ma di “convincere” il fratello. Ci vuole una parola amica e anche forte che parta dall’affetto, una parola che indichi la strada di Dio, che porti alla salvezza attraverso il ragionamento e l’umanità.
Vers.16-17
Se non t’ascolta, prendi con te una o due altre persone perché ogni cosa venga risolta sulla parola di due o tre testimoni. E se nemmeno questi ascolterà, dillo alla Chiesa; e se rifiuta di ascoltare la Chiesa, consideralo come un pagano e un pubblicano.
Gesù ci rimanda alla prassi giudaica (Lev.19,17) perché è una prassi d’amore che parla di aiutare chi sbaglia. E’ un tema difficile quello della correzione fraterna, non sempre si riesce nell’intento allora ci si mette d’accordo in due o tre, cioè si fa una sinfonia di voci diverse per far trionfare la pace e far ragionare il fratello. Ma questo spesso non basta e allora si può arrivare a chiedere l’aiuto di tutti.
Tutto si deve tentare per amore dell’altro tenendo presente che, da parte del fratello peccatore, c’è sempre la libertà di non accettare l’aiuto. Anche se la correzione non sembra portare frutti non bisogna voltare le spalle a chi, con il suo comportamento, si è posto fuori dalla comunità, ma bisogna continuare a pregare incessantemente perché la correzione può anche fallire ma, non per questo, fallisce la speranza o la grazia di Dio (Figliol prodigo).
Vers.18
In verità vi dico: tutto quello che avrete legato sulla terra, sarà legato in cielo; e tutto quello che avrete sciolto sulla terra sarà sciolto in cielo.
Se non perdoniamo leghiamo il perdono di Dio.
Questo versetto risponde alla domanda: cosa succede se si perdona o meno, se si assolve o condanna il fratello? È un testo pastorale e non dottrinale. Non è indifferente perdonare o no; la situazione di un fratello che si allontana dalla comunità o che ne viene allontanato, è ratificata dal cielo perché non è una decisione solo umana, Gesù è presente ogni volta che la comunità si riunisce nel suo nome. C’è quindi uno stretto legame tra il nostro modo di comportarci e quello di Dio; il nostro agire impegna Dio nel senso che il Padre non bypassa la libertà dell’uomo deresponsabilizzandolo.
Vers.19-20
Inoltre in verità vi dico: se due di voi sulla terra s’accorderanno a domandare qualsiasi cosa, sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli. Perché là dove sono due o tre adunati nel nome mio, io sono in mezzo a loro.
Non sono versetti avulsi dal contesto. Matteo riprende il tema della preghiera che si fonda sulla comunione in Gesù; probabilmente nella comunità di Matteo si era diffuso un modo di pregare individualistico, egoistico, che creava divisioni e contrasti e l’evangelista vuole ricordare la coesione interna che ci vuole per fare comunione con Cristo. L’accordo, l’unanimità che hanno i fedeli, qui in terra, nel rivolgersi al Padre nei Cieli trova l’immediata accoglienza perché, in tal caso, vi è una perfetta armonia tra cielo e terra. È posta così la teologia della preghiera comune: non basta che sia fatta da più persone, queste devono essere in sinfonia fra di loro, in pace e concordia venendo, in tal modo, riconosciuti tutti come un unico figlio dal Padre. Ma questa concordia non si radica nella buona volontà personale ma in Cristo. È l’essere in Cristo che fa dei membri di una comunità, una cosa sola; il verbo che viene usato.
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Domenica 8 Marzo 2020
LECTIO DIVINA
Matteo 16,24-28

Nel cap. 14 Pietro si fa avanti per camminare sulle acque. Ci mostra una fede ancora molto grezza, una fede che vuole copiare il suo maestro con spavalderia: “se può farlo lui lo posso anch’io”, ma non capisce che, l’unica potenza che ha, passa attraverso la Parola di Gesù “vieni”.
Ancora Pietro, nel cap.15, ci mostra quanto sia difficile e per niente scontato, capire il messaggio del Vangelo e Gesù gli spiega che è dal cuore dell’uomo che escono le malvagità che rendono l’uomo immondo cioè non-mondo, sporco, ma anche fuori dal mondo, ma che è sempre e solo dal cuore che nasce la compassione, il patire con l’altro, quel desiderio di amore che alimenta la fede, poi Gesù dimostra a tutti che è proprio grazie alla compassione che i muti parlano, gli zoppi camminano, i ciechi vedono per la gloria di Dio.
Cap.16 Nonostante i miracoli che si susseguono c’è sempre qualcuno disposto a sparlare, sempre qualcuno che vuole altri “segni dal cielo”, ma non per essere rassicurato ma per indurre in errore Gesù e tutti coloro che lo seguono. Gesù risponde, alla generazione perversa che ha intorno, che l’unico segno di cui hanno bisogno è quello di Giona cioè quello della conversione. Se convertiamo il cuore accogliamo la strada che Dio ci pone davanti, in caso contrario chiediamo a Dio di fare la nostra volontà credendo di sapere cosa è meglio per noi. Questo comportamento è dell’empio cioè di chi non è pio, non è di Dio.
Gesù si sposta di continuo, ancora una barca, una Chiesa in germe che prende il largo ma si preoccupa solo di non avere preso qualcosa da mangiare; ancora una Parola di Gesù non capìta perché la fede è poca e ci si preoccupa sempre prima del corpo e poi dello spirito.
Sono capitoli che riportano un dialogo serrato tra Gesù, i discepoli, gli scribi, i farisei e i sadducei che rappresentano i dotti, i ricchi e i potenti, la folla fa da sfondo ma non entra nei discorsi, non assorbe, non si schiera, vuole solo miracoli. Forse è così anche per noi. Più che discepoli che si interrogano o persone che si oppongono, come aveva fatto il fariseo Paolo, seguiamo Gesù per “ottenere” qualcosa in cambio, per sentirci a posto con le regole che ci siamo dati e non vogliamo farci mettere in discussione. Forse la nostra fede non è né calda né fredda (Ap.).
Dal cap.16,13 si apre l’ultimo tema del vangelo di Matteo, quello della Croce.
Ancora una volta è Pietro la nostra guida nella difficile arte di seguire Gesù.
Tutto inizia da una domanda di Gesù: “Chi dicono gli uomini che sia il figlio dell’uomo?” e dalla risposta netta e precisa del nostro fratello Pietro “Tu sei il Cristo il figlio del Dio vivente”. La risposta di Pietro è un motto dell’anima, una confessione che viene direttamente dallo Spirito di cui, forse, anche Pietro è rimasto sorpreso.
Gesù non è solo un grande personaggio, Gesù è qualcosa di Altro; non discende dal passato, dal “sangue e carne”, ma dal cielo; Gesù è unico, originale, non soggiace alla logica degli uomini. Se il discepolo non è attento lo può far diventare una divinità umana conforme al senso di grandezza che gli uomini seguono. Bisogna rinunciare a fare dei
paragoni con altri grandi uomini che stanno, o sono stati, sotto la legge umana ma bisogna anche rinunciare a paragonarlo alla nozione di Dio che è in noi perché Dio non si può imbrigliare nelle nostre idee, è sempre “oltre”.
È “da quel momento”, dopo aver elogiato Pietro per la sua risposta, che Gesù si mette a parlare della “via messianica”, cioè la Croce. “Ecco è nata una cosa nuova”, la Croce è qualcosa che non interessa la folla, lo si vedrà bene nella salita al Calvario, ma interessa coloro che vogliono seguirlo perché sarà parte integrante del vero discepolo.
Quanti di noi accolgono Gesù e la sua croce ma non vogliono accogliere la propria croce!
Ed ecco allora la ribellione di Pietro che è anche la nostra: “non sia mai o Signore!” dice Pietro e noi diciamo “perché proprio a me!”, “ho pregato tanto e Dio non mi ha esaudito!”, sono buona, sono fedele, vado a messa, faccio l’elemosina…
Nei Vangeli si mette in evidenza la progressione messianica nel disegno di salvezza e quando si arriva al tema della passione questo diventa centrale e costante.
“Doveva” andare a Gerusalemme, “doveva” soffrire, “doveva” essere ucciso, “doveva” risorgere, esprime una necessità di ordine teologico, è il piano di Dio portato avanti
volontariamente da Gesù e dimostrato dalle scritture.
Un conto è diventare come Dio e camminare sulle acque con potenza, un conto è accettare una croce che porta ad un servizio e al martirio.
Pietro dimostra di non accettare la croce e per questo viene messo in riga da Gesù che usa lo stesso imperativo usato nel racconto delle tentazioni: “vai dietro”, stai dietro di me. Non ci è permesso dire a Gesù ciò che deve o non deve fare, siamo chiamati ad andargli dietro.
A Pietro vengono comunque date le tre prerogative che sono proprie del Messia e questo per guidare la Chiesa: Pietro è la roccia attorno a cui si deve formare la comunità; ha le chiavi cioè l’autorità; lega e scioglie cioè proibisce e permette o separa e perdona. Pietro è debolezza e grazia proprio per indicare una chiesa santa e peccatrice.
Vers.24 Matteo esplicita, ancora una volta, per tutti coloro che vogliono farsi discepoli, quali sono le esigenze del discepolato. A quel tempo cosa si intendeva per croce? Era la pena di morte che Roma infliggeva agli emarginati ed ai banditi. Prendere la croce e seguire Gesù voleva dire accettare di essere emarginati ed esclusi dal sistema; dove Gesù parlava di essere fratelli dei poveri e dei malati, il sistema di allora, come di oggi, parlava di caste, di ceti e quindi di divisione, di subordino, di schiavitù. Per questo Gesù è stato perseguitato e per questo lo saranno tutti coloro che in Lui credono o che tentano la sua strada “Nessuno ha un amore più grande che dare la vita per i suoi amici” (Gv.15,13). Paolo VI- portare la croce vuol dire affrontare la vita con coraggio, senza mollezza e senza viltà; vuol dire trasformare in energia morale le difficoltà immancabili della nostra esistenza; vuol dire saper comprendere il dolore umano e finalmente saper veramente amare!”. Il segreto è guardare a Gesù non alla croce. La fatica della croce convive con la gioia della sequela, del seguire la volontà di Dio.
Vers.25-26 “Chi perde troverà”. Chi vive dietro beni e ricchezze non è mai sazio, chi si dona agli altri si dimentica di sé e trova la felicità. Ma solo chi perde la vita per Gesù, “per causa mia” costruisce il regno, infatti nessuno può pagare il prezzo a Dio per la sua vita.
Dare un bel gioco ad un bambino e poi richiederlo indietro può suscitare capricci a non finire, così è per l’uomo. Dio ci fa dono della vita e noi subito ce ne appropriamo e non vogliamo spenderla per gli altri. “Il corpo è mio e lo gestisco io” era il motto delle femministe degli anni 70 ed è così anche per chi sostiene l’eutanasia. Ma di chi è questo corpo e questa vita? Siamo sicuri che le nostre siano sempre le scelte migliori per noi o che, tenendoci stretta la vita, non la sprechiamo? (Parabola dei talenti). Il segreto della vita è spenderla, donarla perché si rigeneri, lasciarla morire perché possa risorgere. Al contrario delle tabelline, quando si sottrae lì si moltiplica.
4
Morire per vivere. Una delle contraddizioni più forti del Vangelo, ma è soprattutto un morire all’uomo vecchio, cioè la persona che ci siamo costruiti da soli, per far vivere l’uomo nuovo, la persona che si fa costruire da Cristo.
Vers.27 Questo è un vers. Escatologico. Ciascuno raccoglierà secondo quanto ha seminato, chi il 30, chi il 60, chi il 100 per uno.
Il mondo è sotto il giudizio di Dio e la croce ne è il vessillo ma la salvezza eterna è dovuta solo alla determinazione personale di vivere sotto il giudizio di Dio. “Dio renderà a ciascuno secondo la sua opera” cioè non chi dice “Signore, Signore” entrerà nel regno ma chi fa la Parola cioè chi costruisce la sua casa sulla roccia di Cristo e di Pietro.
Vers.28 Questo versetto, invece vuole invitare a vedere la venuta di Cristo nella nostra vita; a percepirla nelle persone o situazioni in cui ci troviamo solo così non si gusta la morte. Ascoltare e fare la Parola è vivere da figli di Dio in terra e questo è già Regno che vince la morte, che traspare al di là di ogni croce. Immediatamente dopo c’è la trasfigurazione che è l’anticipo di ciò che sarà perché uno è “più dove ama che dove abita” e se ama Dio “la sua vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Rm.6,4; Ef.2,6).
La sequela è un impegno costante in cui, come diceva Papa Giovanni Paolo a Cracovia, non si può usare un divano ma dei solidi scarponi perché la strada è irta e sassosa.
Le meschinerie non servono. Vediamo tutti questi talk-show dove la gente si accusa in pubblico per cose prive di senso, ma sono verità perché ognuno di noi si comporta così nel suo piccolo. Non sono questi i grandi quesiti dell’uomo, non sono queste le grandi croci, non sono queste le cose che servono al Regno
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Cammino di Lectio 23-2-2020
 

Lectio divina – Matteo 14, 22-36 - Gesù cammina sulle acque
 
Si va avanti senza fondamento – ma tenendosi per mano
 
 
1.    Canto di un Maestro errante
 
 
+ Mi chiedo dove andiamo, cosa stiamo costruendo. La spiritualità è reale, non fantasia; ma noi più che aderire alla barca che è la Chiesa, vediamo il fantasma pure nell’Io sono
 
+ Prima di questo (capo 14), il martirio di Giovanni: la fede agli inizi è dura. E poi la moltiplicazione dei pani, l’energia che serve: trovare una Promessa che riempie, dà forza
 
 
2.    La solitudine del monte (vv 22-23)
 
 
+ Dinanzi alle urgenze, per Gesù la I esigenza è ritrovare se stesso. Nel luogo del Mistero, ad attendere una Trasfigurazione. C’è Qualcuno sul Monte che ci sostiene, quando noi a mare
 
+ Non si serve del pane per consolidare consenso, invia i discepoli altrove. Vorrebbero restare sul posto del molto, ma anticiperanno la Grazia, c’è un’altra sponda dopo il vuoto
 
 
3.    Il cammino liquido (vv24-25)
 
 
+ Tra resistenze evanescenti e fatica ad andare avanti, la notte è preludio di un giorno nuovo. Quali sono gli impedimenti, e come accade che invece il Camminatore avanza?
 
+ E’ possibile che l’irreale sia la lettura che facciamo di Colui che pure è, perché il Mistero suscita timore più che pace. Quali sono le paure che fanno vacillare la barca della Chiesa?
 
 
4.    E’ il Nome, l’Esser-ci, la Parola, che rasserena (vv 26-27)
 
 
+ Gesù tacita l’ansia ri-volgendosi a loro, è l’unico modo che non fa sentire soli. Dio è questo, è Presenza, pure in mezzo alle onde. Non temere, è paradossale, fa vincere il timore
 
+ Così Pietro trova il coraggio di osare, ‘farete cose più grandi di queste’ diceva Gesù. ‘Se sei Tu’, tutto si gioca sulla credibilità che ha per noi avere a che fare con Lui o essere senza
 
 
5.    La fede incerta, Pietro ci prova poi si affida (vv 28-29)
 
 
+ C’è una inadeguatezza (oligo-pistia, fede piccola) tra ciò che potremmo e ciò riusciamo, e la velleità di Pietro di far fare al Maestro deve divenire la docilità a lasciarsi fare da Lui
 
+ Dinanzi all’abisso che può inghiottire, anche la fede vacilla. Forse è un avviso alla Chiesa, che il potere sulla morte ce l’ha solo Dio non l’uomo. Ma il limite educa,  rimanda all’Altro
 
 
6.    Tienimi stretto, il dubbio mi tradisce (vv30-31)
 
 
+ Quando guardiamo a noi affondiamo, quando ci consegniamo c’è salvezza. Non c’è ebbrezza più forte, di quando ti senti salvato. La fede cresce nel pericolo, non nel comodo
 
+ Siamo noi stessi a minare le nostre sicurezze, uomini di poca fede, quando non siamo più convinti. Il pericolo funge da reagente, restituisce alla fede il suo vero carattere evolutivo
 
 
7.    Il vento non dura, dinanzi all’autorevolezza di chi è Dio (vv32-33)
 
 
8.    A traversata compiuta, una umanità risanata (vv 34-36)
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Cammino di Lectio 9-2-2020
 
Vangelo di Matteo 13, 1-17 – Dio fa fatica a comunicare come noi
 

 
1.    La teoria dei mondi vitali
 

 
+ la casa, l’ufficio, la chiesa, il regno, ossia l’influsso dell’ambiente
 
+ ‘non so dove sto andando, ma sto andando lontano’ (Musil)
 
 
2.    Il punto al quale siamo arrivati
 

 
+ Gesù annuncia ma la gente non si convince, tutto rimane com’era
 
+ il seminatore ‘uscì’, non si può restare fermi ma ci si mette in movimento
 
 
3.    La strategia del paragone
 
 
+ tutta questione di somiglianza, come l’uomo con Dio in Genesi
 
+ la vita intera è una parabola, tra fase ascendente e discendente dove sto?
 
 
4.    Le immagini per dire il reale
 

 
+ parabole del discernimento (semente-zizzania) o della divisione
 
+ parabole della crescita (senapa- lievito)
 
+ parabole del ritrovamento (tesoro-perla) o della sorpresa
 
+ parabole della purificazione (rete-zizzania)
 
 
5.    Un itinerario per capire
 

 
+ struttura parabola-motivo-spiegazione, non più neutrali dinanzi a Lui
 
+ differenza voi-loro e discepoli-folle e casa-lago, ovvero schierarsi
 
+ la questione del comprendere e non comprendere – ‘intendete bene’
 
+ il criterio distintivo della giustizia – non solo capire ma essere così
 
 
6.    Gli stadi evolutivi della fiducia
 

 
+ il seme come si presenta – si sviluppa – si perde – si salva
 
+ tollerare la mescolanza – il seme perso non è un problema
 
+ il libro delle epifanie segrete – aprirsi per intendere enigmi
 
+ nel mondo c’è una divisione – Lui vince perdendo
 
+ il regno si farà – ma è ambivalente (non toglie il male)
 
+ brucia i sogni illusori – fa distinguere ciò che è regno e ciò che non
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LECTIO DIVINA QUOTIDIANA
 
Dal 27/1/2020 al 9/2/2020
 
 
Breve esegesi capitolo 12
 
Gesù è un umile ed un semplice per questo capisce le situazioni e guarisce di sabato perché, la Signoria di Dio, si manifesta nell’amore e l’amore non potrà mai essere spento, ogni uomo valuta la legge secondo cosa ha nel cuore. Chi rifiuta coscientemente la verità conosciuta, chiedendo segni ulteriori, è imperdonabile mentre chi fa la volontà di Dio diventa familiare di Dio.
 
 
L.27/1 Mt.11,25-27. Ti benedico perché tu ti riveli ai “piccoli”
 
M.28/1 Mt.11,28-30. Venite a me e troverete ristoro
 
M.29/1 Mt. 12,1-8. Misericordia, io voglio, e non sacrificio
 
G.30/1 Mt. 12,9-14. Quanto è prezioso un uomo
 
V.31/1 Mt. 12,15-21. Nel nome di Gesù spereranno le genti
 
S.1/2 Mt. 12,22-24. Cieco o muto Gesù mi guarisce
 
D.2/2 Presentazione del Signore. Lc.2,22-40 Vieni, Signore, nel tuo Tempio santo
 
L. 3/2 Mt. 12,25-28. È giunto tra voi il Regno di Dio
 
M.4/2 Mt.12,29-32. Chi non raccoglie, con me, disperde
 
M.5/2 Mt. 12,33-37. La bocca parla dalla pienezza del cuore
 
G.6/2 Mt. 12,38-42. “Ora qui c’è più”
 
V.7/2 Mt. 12, 43-45. Uno spirito “immondo” non trova sollievo
 
S.8/2 Mt.12,46-50. Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?
 
D.9/2 VII T.O.A. Lectio Divina al Sacro Cuore Mt.13,1-17 la fatica di Dio nel seminare
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MATTEO 11,7-24

7) Mentre quelli ( discepoli di Giovanni il Battista) se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni (Battista) alle folle: che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8) Allora, che cosa siete andati a vedere? Nel deserto? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9) Ebbene cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi più che un profeta. 10) Egli è colui del quale sta scritto: ecco dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. 11) In verità io vi dico, fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. 12) Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. 13) Tutti i profeti e la legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. 14) e se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. 15) Chi ha orecchi, ascolti! 16) A chi posso paragonare questa generazione? È simile ai bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: 17) “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!” 18) E’ venuto Giovanni che non mangia e non beve, e dicono: “è indemoniato”. 19) E’ venuto il figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie”. 20) Allora si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: 21) “Guai a te, Corazin! Guai a te Betsaida! Perché, se a Tiro e Sidone fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. 22) Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. 23) E tu, Cafarnao, sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché sa a Sodoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! 24) Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sodoma sarà trattata meno duramente di te!”.
 
 
Esegesi “il dramma dell’amore non amato”.
 
Anche il brano di questa domenica ci pone Gesù in cammino verso Cafarnao e la Galilea lungo il lago di Tiberiade per le città dei discepoli.
 
Giovanni ha avuto coraggio e umiltà di accettare il rischio di seguire il progetto di Dio ed ora, poiché è un profeta che Dio ha messo sulle strade dell’uomo per indicare Gesù che viene, dal carcere, si domanda se Gesù è veramente il messia tanto atteso dal popolo ebraico, ma le stesse opere di Gesù, che ripercorrono le promesse dell’A.T., glie lo confermano.
 
Vers,7-10. La vita del Precursore è intrecciata con quella del Salvatore come la “Voce di uno che grida nel deserto” e la “Parola” che arriva come risposta. Giovanni come un rabdomante della verità si pone in questione e si mette in ascolto.
Giovanni, in prigione, ha concluso la sua missione, Gesù, al contrario, la sta iniziando.
Dal dubbio di Giovanni “Sei tu colui che deve venire?” alla certezza di Gesù su Giovanni “chi siete andati a vedere?” ed al suo elogio.
Interroghiamoci anche noi, chi andiamo ad ascoltare? Cosa crediamo di Dio? Noi chi siamo? Canne sbattute dal vento? Uomini che se ne stanno al calduccio nelle proprie case?
Noi forse sì. Siamo dubbiosi, noi frusciamo o facciamo rumore per un nulla o ancora cambiamo direzione col vento o, ancora, ci nascondiamo; non è così per Giovanni che, come una sentinella, si mette in ascolto davanti ad un volto.
Per la terza volta Gesù pone la domanda: “Cosa siete andati a vedere?” non una canna, non un uomo qualunque ma un profeta, cioè un uomo che non ha paura di denunciare il peccato ma sa anche annunciare il perdono divino.
Siamo ad una svolta decisiva, è il momento di prendere posizione davanti alla proposta di Gesù ma, di fatto, è l’ora del dramma, è l’inizio della passione.
 
Gesù, per dare più valore alle sue parole, intreccia due frasi prese dalla Thorà (legge) e dai profeti, rivolgendole a Giovanni: “Ecco io mando il mio angelo e preparerà la via davanti a me” ( Malachia); “Ecco, io mando un angelo davanti al tuo volto per custodirti la via” (Esodo 23,20).
Giovanni è paragonato all’angelo che fece uscire il popolo dall’Egitto e poi lo condusse fuori anche da Babilonia. I primi due esodi sono immagini del terzo quello che, dalla Giudea, porta verso il Giordano per la purificazione dal peccato prima della venuta di Gesù.
 
Vocaboli essenziali sono “preparazione” e “custodia” della via; non ci può essere una senza l’altra. Noi ci prepariamo per essere poi custoditi?
 
Vers.11. Giovanni è il più grande tra tutti i mortali, è più grande di Abramo, di Mosè… in lui tutta la storia confluisce ed arriva al compimento ma anche “il più piccolo del regno dei cieli” è più grande di lui.
questo, come anche il versetto 12, è difficile e ha molte diverse interpretazioni.
 
Dobbiamo sempre tener presente che Gesù sta parlando alle folle. Giovanni è come una montagna ma rimane sempre e comunque un uomo mentre chi è nel Regno è già a casa; Giovanni sulla terra sta battezzando con acqua, chi è nel Regno è già stato battezzato dallo Spirito, già partecipa della natura di Dio.
Perfino Gesù, lasciandosi battezzare da Giovanni, “non è più grande del maestro” ma, come Dio, appartiene al Regno ed è il più grande di tutti.
 
Vers.12. Ci sono tante interpretazioni di questo versetto ma nessuna è definitiva.
Il Regno non inizia con Giovanni ma è con lui che inizia una cosa nuova, è un qualcosa che si fa strada tra la violenza del mondo, un mondo che vuole “rapire” il Regno; questo “rapire” può essere inteso sia verso Erode, che incarcera Giovanni per metterlo a tacere, ma, in modo paradossale, può venire interpretato come Regno in cui entrano solo gli esattori e le prostitute (Mt.21,31), cioè persone scartate dal Fariseo osservante. Loro entreranno altri, pur credendosi superiori, no.
L’uomo, poi, deve far violenza su sé stesso per entrare nel Regno, altrimenti il mondo lo distoglierà dalle sue intenzioni (Mt.31,46 e seg. “io vi conosco entrate…io non vi conosco).
Il vero “violento” è il mondo ma, il mite, il profeta, colui che il mondo non sopporta, è il violento evangelico, tanto forte da portare il male su di sé porgendo l’altra guancia e salendo sulla croce. Gesù, sulla croce “dei violenti farà bottino” (Is.53,12).
 
Vers.13-15. Giovanni è la porta che apre a Cristo, dopo di lui la Parola è compiuta, “e il verbo si fece carne” (Gv.1,1). Non si va a Cristo se non passando attraverso il suo profeta. “Se volete comprendere…ascoltate”. Bisogna ascoltare il Battista per poter, anche noi, capire Gesù: “chi sei tu?”.
 
Dopo aver lodato il Battista Gesù passa a giudicare “questa generazione”.
 
Vers.16-19. Gesù si guarda sempre intorno mentre parla, fa esempi prendendo spunti da ciò che succede intorno a Lui e ne trae degli insegnamenti.
Sappiamo che Gesù amava i bambini, “lasciate che vengano a me” ed ora il suo sguardo si posa su un gioco in una piazza.
“A chi paragonerò questa generazione?” il tempo è al presente.
Sotto l’ipoteca del male passato e guardando ad un futuro ancora tutto da scoprire, che cosa siamo?
Siamo bambini che giocano con la vita mimando il pianto ed il riso; ci scandalizziamo per alcune situazioni ma poi bisticciamo, non siamo mai d’accordo e, alla fine, non prendiamo alcuna responsabilità e stiamo a terra, seduti.
Gesù ci invita a ridere ed a piangere, a mostrare emozioni, con decisione; bisogna sapersi schierare e sapere seguire le decisioni altrui se queste risultano migliori delle nostre, senza sederci o astenerci. Ma, in fondo, l’uomo sa benissimo ciò che vuole: vuole fare ciò che vuole e non avere scocciature, quindi, come un bambino dispettoso, distrugge il gioco di Dio e alla fine sé stesso.
 
Solo i figli della Sapienza conoscono il dono di Dio; è un richiamo al discernimento. Dio ci offre di partecipare ad un banchetto di nozze ma per accettare la gioia di Gesù bisogna saper prima accettare il lamento di Giovanni.
 
Vers.20-24. “Guai a te!”. Guai a chi rifiuta il gioco di Dio. Guai a chi non crede pur conoscendo Gesù.
Gesù come sempre condanna il male e non chi lo fa. La chiesa è come Corazim, Betsaida o Cafarnao, è il luogo in cui più si può incontrare Gesù, ma noi ci accorgiamo dei suoi continui prodigi?
Le minacce di Dio sono come quelle di una mamma e quindi sono degli avvertimenti: se vai col male, ti farai male!
Le città nominate sono quelle natali di alcuni suoi discepoli e Cafarnao era il luogo di che Gesù aveva chiamato “la sua città”. In queste città aveva fatto più miracoli, aveva annunciato il Regno, ma erano rimaste cieche ed ingrate, Gesù non trova in loro alcun pentimento per i peccati.
Indirettamente Matteo ci mostra come il ministero di Gesù, sia in Giudea che in Galilea, sia stato un fallimento, un insuccesso che però ha generato una salvezza universale.
 
La punizione. Noi associamo l’obbedienza al premio e la trasgressione alla punizione ma, per Dio, non è così, la punizione è per la salvezza, per la felicità, quella alla quale l’uomo aspira, l’Eden.
Il male è l’unico vero problema dell’uomo perché, buttandoci nella disperazione, ci toglie la speranza e ci fa passare l’inferno.
 
La salvezza è relazione, pienezza di vita e, il vero peccato, è non desiderarla.
La Bibbia è tutto un libro che parla di salvezza, Dio ci salva non solo dall’Egitto, che è il male subìto, ma anche dall’esilio che è la conseguenza del male che facciamo, alla sola condizione che lo desideriamo con tutto il cuore.
La giustizia di Dio non è come la nostra, non fa e non accresce il male, il suo giudizio è la Croce, lì vince il male portando con sé il malvagio; Dio non tollera l’ingiustizia ma, la sua giustizia, dà la grazia e il perdono che guarisce.
Dio ama perdutamente, senza condizioni, è questa la sua libertà, la nostra è accettare tutto questo. Chi fa il male è schiavo, è nell’inferno dei suoi bisogni.
 
In ognuno di noi c’è conoscenza e ignoranza, libertà e schiavitù, amore ed egoismo, il paradiso e l’inferno, ma è così che si costruisce il Regno, sulla pietra angolare del Cristo.
 
In ognuno di noi c’è Corazim, Betsaida, Tiro, Sidone, Cafarnao o Sodoma, ma in ognuno c’è un seme del Regno che cresce. La nostra casa potrà avere delle parti di paglia, altre di legno ma ci sono anche pietre preziose, tutto verrà forgiato dal fuoco del giudizio di Dio che farà rimanere solo ciò che è eterno e prezioso. Più avremo costruito con amore più la nostra casa resterà per la gloria di Dio e la nostra.
 
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FRATERNITÀ
 
 

Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla tutte le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi di fronte a Dio. ed è per Lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale, per opera di Dio, è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto:
 
Chi si vanta si vanti nel Signore
 
(1Cor.1,26-31)
 

 
 
SACERDOTI E LAICI CHE CAMMINANO INSIEME
 
 
 
 
Cosa possono avere in comune dei monaci che vivono chiusi in un monastero, dei sacerdoti che vivono nelle chiese e dei laici che vivono immersi nel mondo?
Cosa c’è in questa nostra proposta di cammino che vi ha attirato e vi attira, sì che continuiate a camminare qui mentre molti altri sono passati e poi hanno continuato a cercare il Signore Gesù per altre strade?
 
“La spiritualità dei monaci o dei preti non è diversa dalla spiritualità dei laici, è solo un modo diverso di viverla…il cristiano nel mondo può trarne profitto ispirandosi ad essa” (P. Miquel).
 
Spiritualità è:
 
-         Unificazione. Il consacrato è colui che cerca di mettere Dio prima di tutto e sopra tutto, come perno attorno a cui tenere unito ogni altro affetto, ogni altro aspetto della vita.
 
-         Preghiera/ ricerca di Dio. La vita consacrata è una vita cristiana che più che sul FARE vuole concentrarsi sull’ESSERE. Si preoccupa di fare esperienza di Dio, prima e più che partire ad annunciare: “Ciò che abbiamo veduto e udito…lo annunciamo anche a voi” (1 Giov.1,1).
 
-          Silenzio. È il silenzio che custodisce la preghiera e la ricerca di Dio. E’ il silenzio che custodisce la cella del cuore di ognuno dai tumulti e dalle “sirene” del mondo.
 
-         Parola di Dio. E’la voce che riempie il silenzio, l’anima della nostra preghiera, il respiro della nostra giornata, il luogo in cui incontrare il Cristo. La Parola è l’unico vero dono che i consacrati possono offrire a chiunque li avvicina.
 
-         Nascondimento/ marginalità. La preghiera non fa rumore, non va in televisione, non appare. La vita del consacrato è insignificante per la logica del mondo. È una vita “inutile”. Il consacrato sceglie di vivere ai margini del mondo, “addossato al deserto”, vicino al mondo tanto da sentirne i lamenti e le richieste di aiuto, ma lontano tanto da sentire la solitudine e l’aridità del deserto.
 
-         Comunione. Solitudine e nascondimento non significano “isolamento”; il consacrato è “separato da tutti e a tutti unito”.
 
-         Povertà. Per fedeltà a Gesù Cristo, prima di tutto, perché è Lui la nostra unica vera ricchezza. “I consacrati siano poveri a tutti i livelli…amino con passione la provvisorietà, credendo perdutamente nella provvidenza” (P. Arturo).
 
Questi sono alcuni valori cristiani particolarmente importanti per i monaci, i sacerdoti o i consacrati in genere, ma valgono per ogni credente che vuole essere “monaco dentro”. Sono questi i valori da condividere con chi vuole fare un cammino con Cristo.
 

PICCOLE FRATERNITÀ DELLA PAROLA
 

Le fraternità della Parola sono formate da laici, singoli o in coppia, che attraverso il contatto quotidiano con Cristo, ascoltato nella Parola, vogliono nutrire una profonda comunione con Dio e si impegnano a costruire rapporti di autentica fraternità tra loro e con tutta la Chiesa e, in uno stile sobrio di vita, essere aperti a comunicare ad altri i doni ricevuti della Parola e della Comunione. Noi siamo piccole fraternità della Parola
 
-         Piccole. Ci sentiamo piccoli davanti a Dio che si è degnato di chiamarci e di farci dono di Sé; piccoli davanti al mondo, perché esiguo il numero di persone che tentano un cammino di santità che è controcorrente nella nostra società secolarizzata.
 
-         Fraternità. Pur vivendo ciascuno nel proprio ambiente familiare, sociale e parrocchiale, ci impegniamo a tessere rapporti di fraternità umana e di fede così forti da costituire una nuova famiglia spirituale, la “famiglia di Gesù” (Mc.3,31-35).
 
-         Della Parola. La Parola di Dio che ci “ha rigenerati” (1 Pt. 1,23), donando vigore alla nostra vita di fede e chiamandoci alla comunità, ogni giorno “dilata il nostro cuore per farci correre sulla via dei comandamenti di Dio” (Sal.119,32).
 
Dobbiamo guardare alle prime comunità cristiane, come ci sono presentate dagli Atti degli Apostoli e dalle Lettere di San Paolo, come modello di vita cui tendere, attingendo nutrimento e stimolo per la nostra vita spirituale e per il cammino comunitario, così da poter interpretare e vivere tribolazioni e conflittualità.
 
 
VALORI FONDANTI DELLE PICCOLE FRATERNITA’

 
Parola di Dio, comunione, missione sono le 3 parole cardine che devono orientare il cammino di fede che stiamo portando avanti da 20 anni.
 
-         Parola di Dio. Tutto inizia dal desiderio di incontrare Cristo ogni giorno per lasciarsi afferrare da Lui: “corro per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo” (Fil 3,12).
- Parola di Dio Pregata nella Lectio Divina: non solo letta, studiata, ma masticata e pregata per scoprire il volto di Cristo che ci interpella a lasciarsi cambiare la vita.
 
- Parola di Dio celebrata nella Liturgia delle ore: questa Parola diventa il nostro modo di parlare con Dio, supplicarlo, ringraziarlo insieme a tutti i fratelli nella fede sparsi sulla Terra.
 
-         Comunione. La Parola, oltre a svelare il volto di Cristo, ha incominciato a svelarci il volto della Chiesa: non una Chiesa teorica, ma concreta.
 
Così la Parola ci apre alla comunione:
 
- con la Chiesa: perché più ti attacchi a Cristo e più ti accorgi che il rapporto con Lui non è mai esclusivo ma inclusivo; mai un amore che ti chiude ma sempre ti apre e ti fa respirare con tutta la Chiesa.
- tra di noi: perché il Signore ti mette accanto dei fratelli e sorelle ben precisi, non solo per trovare un appoggio umano, ma per costruire una comunità che accolga il grande dono della Comunione e lo incarni in gesti concreti. La fraternità, più che una scelta, è una chiamata: “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv.15,16) e questo si vede nell’Eucaristia che rigenera la comunità. La comunione è fatta di condivisione:  in Cristo io sento l’altro come parte di me e posso condividere con lui tutto, perché niente è mio: aprire il cuore nel bene e nelle difficoltà ed anche i beni materiali: “avevano un cuor solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà ciò che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune” (At.4,32)
 
-         Povertà. Vivere solo di ciò che è essenziale ci permette di condividere perché tutti abbiano il necessario: “Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno” (2Cor.8,15) e così si diventa anche imitatori di Cristo che “da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor.8,9). Poveri come Cristo fu povero e perché Cristo fu povero.
In questa nostra società del benessere l’essenzialità è segno e testimonianza credibile della sequela di Cristo.
 
-         Missione. È una esigenza dell’amore quella di dilatarsi aprendosi agli altri. Come non è amore quello di una coppia che non si apre alla vita, così non è amore quello di un credente o di una comunità che non si apra agli altri per condividere  i doni ricevuti da Dio.
Quale forma di missione?
 
La prima e fondamentale forma di missione è la testimonianza della comunione che viviamo tra noi come sbiadito specchio ma pur sempre presenza della Trinità su questa terra. A livello personale, poi, la missione non è uguale per tutti: a ciascuno è stato fatto un dono, un carisma da mettere a frutto nella propria Parrocchia. Ma, se una preferenza va data alla nostra missione, è quella di portare sempre più persone alla Parola di Dio, testimoniandola ed annunciandola in qualunque situazione o attività ci si trovi, con un passaparola che diventa quella “predicazione informale” a cui ci invita Papa Francesco. (EG127).
 
-         Apertura delle piccole fraternità. Dobbiamo “allargare lo spazio della nostra tenda” (Is.54,2) per annunciare la gioia e la bellezza del Vangelo che salva. Ciò che il Signore ha costruito tra noi, con i doni della Parola e della comunione, ci permette di dire agli altri: “vedi e vieni!” (Gv.1,46). Come Pietro e Giovanni nel tempio anche noi “non abbiamo né oro né argento, ma quello che abbiamo lo doniamo”.
Abbiamo la Parola, abbiamo la Comunione, siamo chiamati a testimoniarlo con umile gioia aprendoci ad altri che condividono la stessa passione.
 
-         Un equilibrio da trovare. La comunione e la missione sono da costruire con equilibrio, attenti a non cadere in una chiusura intimistica che farebbe morire la fraternità per asfissia o in una apertura dispersiva che fa perdere l’identità e fa morire la fraternità per dissanguamento.
 
 
COME SI ENTRA IN UN CAMMINO DI PICCOLA FRATERNITA’

 
Ogni cammino di santità o e totalizzante o non è tale.
 
-         In questo cammino si entra in “punta dei piedi”, l’atteggiamento di chi ha tutto da ascoltare e da imparare. Si entra in un clima di preghiera e di silenzio, no alle discussioni, si allo scambio spirituale che mira alla conversione personale.
 
-         Questo cammino prevede degli incontri quindicinali di Lectio Divina per familiarizzarsi con la Sacra Scrittura ed impegnarsi, a livello personale, ad accostarla ogni giorno.
 
-         Per provare a fare fraternità bisogna impegnarsi, al di là dell’incontro, ad aiutarsi concretamente, farsi visita, pregare gli uni per gli altri, perdonarsi, “portare i pesi gli uni degli altri” (Gal.6,2).
 
-         Avere atteggiamenti di serietà e rispetto verso tutti i fratelli e preparando ogni incontro con impegno e preghiera, arrivando puntuali e giustificando le assenze, poiché la propria assenza impoverisce la fraternità.
 
-         Dopo un anno, chi intende continuare, verificherà con il parroco il proprio cammino valutandone la sincerità e le difficoltà cercando, il più possibile, di lasciare altre appartenenze a movimenti, associazioni o impegni pastorali tali da precludere la possibilità di assumersi gli impegni di questo cammino. Questo è il Discernimento.

 
Non siamo un gruppo di amici con i quali si sta bene ma fratelli in cammino che tentano di diventare “un cuor solo e un’anima sola” (At.4,32); tutti uguali come discepoli ai piedi dell’unica Parola quindi non contano cultura, estrazione sociale, età, intelligenza…
 
Noi siamo una piccola comunità in ascolto del Signore che solo può donarci la grazia per vivere tra di noi e con Lui.
 
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LECTIO DIVINA DEL 08 DICEMBRE 2019

Matteo 5, 1-12
 
Il Decalogo della Chiesa – non più ‘non fare’ ma ‘fa questo’ (e vivrai, Lc 10)
 
I.            Oggetto
 
+ duplice canale: parola-azione
+ sul monte, come l’Alleanza del Sinai (nuovo Mosè)
+ ora Dio dona la Legge nuova, o il Cuore della legge: lo Spirito di carità
+ è una catechesi battesimale, la regola di vita di colui che è di Cristo
+ il tempo presente: la I e ultima beatitudine sono al presente, il Regno è già in opera
+ il tempo futuro: le altre all’orizzonte, perché la felicità è una promessa
+ il numero: otto beatitudini, la IX è consequenziale all’VIII (da III a II persona, voi)
+ lo schema: la I e l’VIII ‘di essi è’, le altre a modo chiastico VI antitesi (eventi-animo)
 
II.          Soggetto
 
+ è il ‘progetto’ di Dio, un ordine di valori diverso
+ dove ha valore ogni ‘iota’ anche minimo, anzi viene portato a compimento
+ così che il deficit è indicato come orizzonte, perché sarà occasione di ri-scatto (pasqua)
+ ‘beatì’: essere nel cuore di qualcuno è un posto magnifico, non altro dà gioia
 
+ questa è la magna charta del Regno, il Regno è lo stato nuovo delle relazioni
+ la offre ai discepoli che si avvicinavano, sono coloro che vogliono imparare
+ e lui ‘insegnava’, un imperfetto che esprime un’azione non finita, anche ora insegna
+ usa l’indicativo che diviene imperativo, una morale indiretta mai direttiva

+ sono i nuovi poteri che capovolgono il mondo, sei beato stando male se non finisce là
+ sei beato in ragione di una ‘giustizia’ che viene da un Altro, ed equipara il tuo ‘manque’
+ ti fa felice ciò che non hai, e la differenza cristiana sta nell’esserlo ‘a prescindere’ (senza)
+ una proposta totalizzante, nel senso che non capisci se non metti all’opera (pratica)
 
III.       Beatitudini
 
+ altre: beati quelli che ascoltano, beati gli invitati
+ immacolata: kaire’, rallegrati maria (trovato grazia)
+ beati ‘perché’: c’è una ragione alla gioia (il signore è con te)
+ la storia rimane faticosa, ma ha una meta di novità

a. povertà
- anawim, colui che non basta a se stesso, il vuoto che però può ricevere ancora
b. tristezza
- chi attende consolazione malgrado tutto, sapendo che il male non è più definitivo
c. mitezza
- la terra sarà loro, perché non credendo nella forza del potere, sono già del Regno
d. giustizia
- sicuri che Dio verrà, che c’è una giustizia che recupera
e. misericordiosi
- troveranno quello che già investono per primi
f. puri di cuore
- il cuore è la sede della coincidenza tra intenzioni ed azioni
g. pacifici
- la pace non è mai pacifica, ma serve alla comunione
h. perseguitati
- tutto si gioca ormai sulla ricompensa
 
IV.         Lettera aperta
 
- la tentazione di essere laici e non credenti
- la scorciatoia di pensare che si potrebbe essere felici senza bisogno di Dio
- i ruoli sempre più chiari che giochiamo, le figure che temiamo noi per-bene
- cosa ci muove davvero? Avevamo capito male?

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LECTIO DIVINA DEL 24 NOVEMBRE 2019

 
Matteo 4, 18-25
 
Gesù parte dalla Galilea – Territorio impuro
 
perché commistione di genti.
 
Da qui iniziano la guarigione e la comunione.
 
 
X. Questioni previe
 
 
- qual è la mia Galilea, lo spazio confuso dentro il quale si sta facendo strada una salvezza?
 
- la commistione non rischia di lasciarci dove eravamo, se non facciamo un passo oltre?
 
 
a.    Cafarnao (vv 12-16)
 
 
- la città, il mare, le reti, la curva delle genti
 
- Giovanni consegnato, la con-catenazione
 
 
b.   Cominciò (v 17)
 
 
- un nuovo inizio, arkomai
 
- seguire, una relazione di discepolato
 
 
c.    Camminando (vv 18-20)
 
 
- stiamo crescendo verso la nascita, non verso la perdita
 
- come il bambino nel grembo, c’è già ma è nascosto
 
 
d.   Andava in giro (vv 23-25)
 
 
- questa estensione comporta una crescita
 
- è la qualità della decisione di sé, che consente di riconoscere l’altro
 
 
Y. Questioni orizzontiche
 
 
- servono relazioni generative, capaci di promuovere vita
 
- la pedagogia del pellicano, la strategia della lepre
 
 
a.    Il fatto
 
 
- vide-chiamò, la dinamica della proposta
 
- lasciarono – seguirono, la dinamica della risposta
 
 
b.   Il senso
 
 
- chiama a coppie, chiama alla fraternità
 
- pescatori di uomini, di fratelli non di cose
 
 
c.    La missio
 
 
- subito, perché c’è un istante, ovvero il rischio dell’indecisione
 
- seguirono lui, perché si segue e si diventa chi si ama
 
 
d.   L’orbe
 
 
- le folle lo seguivano, l’inarrivabilità è un alibi
 
- dov’è la conversione, se non c’è un cammino? Dov’è la comunione, se non c’è un incontro?

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LECTIO DIVINA 2019-2020
 
 
 
LE TENTAZIONI
 
Mt.4,1-11
 
 
Una parentesi sul termine tentazioni o tentare.
Nell’A.T. la tentazione era un preciso procedimento secondo il quale, uno dei contraenti di un patto o alleanza, veniva esaminato per comprovare la sua fedeltà. Noto è il libro di Giobbe dove satana prova più volte la fedeltà a Dio di Giobbe stesso.
 
Le tentazioni o seduzioni o prove, sono un brano che si trova in tutti e tre i Vangeli sinottici ma, mentre in Marco è appena accennato, Matteo e Luca cercano di darci una descrizione degli eventi vissuti interiormente da Gesù, durante la sua intera esistenza, coinvolgendolo nell’intera sua persona, corpo e spirito.
 
Questo brano è letto durante la liturgia quaresimale e, nel Vangelo di Matteo, è incastonato tra le origini di Gesù con i Magi che aprono le vie per andare al Cristo ed il battesimo di Gesù il cui padrino è Dio stesso, e la chiamata dei primi quattro discepoli con le beatitudini, quasi a dirci che la strada per Dio è irta di difficoltà ma ci porta al Regno di fraternità e di gioia.
 
Prima di fare l’esegesi sui versetti chiediamoci cosa è il male, cosa si intende per tentazioni di Gesù, e qual è il male del nostro tempo.
 
Non dobbiamo dividere il mondo in buoni e cattivi, il male è qualcosa in cui tutti siamo sommersi; con una visione della fisica direi che è la materia oscura di cui è circondato l’universo e che non riflette luce; siamo deboli, cadiamo negli errori e questi si sommano anche se non lo vogliamo.
C’è un male del singolo. Tante piccole trasgressioni, più o meno gravi, che lacerano in tanti modi diversi le famiglie o le nostre relazioni personali. Sono azioni antievangeliche che tolgono autenticità alle persone togliendo la gioia del Regno.
C’è un male collettivo. Tante singole deviazioni di diverse persone che si uniscono generando situazioni corrotte come gli odi raziali, interessi loschi, mafia, tangenti, traffico droga, potere, politica sporca e guerra. Sono fiumi di fango che travolgono o violenza istituzionalizzata e, spesso, per vivere si passa all’omertà, altro grave male nella storia umana.
La creazione è sfruttata, mentre Dio ce l’aveva affidata perché noi la proteggessimo; anche i bambini, le donne e gli uomini subiscono violenze e sfruttamenti anche qui da noi oggi, a partire dagli ultimi, dai piccoli, e la nostra coscienza accetta tutto pur di non essere turbata. È il male dell’indifferenza. Ci scandalizziamo, sì, facciamo qualcosa, no.
C’è, quindi, un male culturale che trova giustificazioni al male del mondo e addirittura lo legittima. Le ideologie che sono giustificazioni teoriche del male e che partono, spesso, da intuizioni giuste, sono attrattive sulla gente perché passano per dottrine moderne, mettono a tacere la morale.
Il male aggredisce le realtà buone per corromperle e rovesciarle.
 
La tentazione è quindi sottile, attuale e ci lascia nella nostra finta quiete, con le nostre idee di perbenismo tanto lontane dalle idee evangeliche, (es. i migranti).
Ma cosa pensa Dio del male?
“La risposta costituisce spesso la pietra di inciampo della fede: Dio conosce il male, ne valuta fino in fondo il marcio, lo detesta e, proprio per questo, lo ha già avvolto nella sua misericordia redentrice e rinnovatrice che annuncia, il Figlio fatto uomo, a tutti coloro che vogliono uscire dalla “generazione malvagia e perversa”…Dio preferisce non rimuovere il male con un gesto di potenza, bensì entrare in esso con la carne del suo figlio, proclamando il perdono e la redenzione e subendo su di sé le conseguenze del male per redimerlo nella sua carne crocifissa”. “Vincere il male con la forza, con la vendetta e con la rivendicazione, sono anche queste ideologie molto lontane da Gesù che vince il male con il bene offrendo sé stesso fino al dono della vita”. “È la misteriosa legge della Croce, il principio secondo cui il male non viene eliminato, ma trasformato in bene sull’esempio e per la forza della morte di Cristo”. (card. Martini)
 
Brano evangelico
 
Satana, la personificazione del male, nella Bibbia viene ricordato con almeno 20 nomi diversi tra questi c’è beliar, colui che non vale niente, o il re delle mosche, o l’accusatore (Giobbe)…
Lui non si presenta a Gesù, e neanche a noi, come un nemico ma come un alleato che vuole aiutarlo nel suo programma e cioè, per Gesù, farsi riconoscere come figlio di Dio. Alla fine, Gesù, dirà “vattene satana” e lo dice a tutti coloro che lo riconoscono Figlio ma non si fanno fratelli, infatti l’uomo ha la vita ma, non accettandola come dono, la pretende, come possesso, e così facendo la toglie ai fratelli lasciando che il suo orgoglio ed il suo potere abbiano la prevalenza sulla relazione.
 
Le tre tentazioni sono tutte un “rubare” ciò che invece ci è donato; sono l’antidio.
 
Guardiamo Gen.3,6: il frutto proibito era buono, gradito e desiderabile.
Il possesso delle cose è buono per darci sostentamento, il pane
Il possesso delle persone  è gradito per darci sicurezza e supremazia, il miracolo nel tempio.
Il possesso di Dio è desiderabile per l’autosufficienza, chi adora altro o altri non adora Dio.
 
La via di Dio è quella di farsi fratelli, amare e condividere, la via del diavolo è quella della supremazia, dell’egoismo e della divisione e, non ci illudiamo, queste due vie attraversano ogni cuore.
Le tentazioni non sono peccato ma si presentano sempre come proposte per il meglio solo che, i mezzi che usano, schiacciano.
 
Gesù rifiuta ogni ideologia:
il messianismo economico che trasforma le pietre in pane
il messianismo miracolistico che vuole disporre di Dio
il messianismo politico che vuole dominare tutto e tutti e si fa dio.
 
Le cose, le persone, e Dio sono i tre bisogni dell’uomo ma ci sono due modi per soddisfarli: rubando o ricevendo in dono da Dio, possedendo o condividendo con i fratelli.
 
“Vattene” è la Parola che Gesù dice a satana; “Va’ dietro a me” è la Parola che Gesù dice a Pietro, a noi, alla Chiesa perché sa che non abbiamo ancora capito nulla e capiremo solo se staremo alla sua sequela.
 
La lotta di Gesù non è durata 40 giorni ma per tutta la sua esistenza, ce lo ricorda Matteo quando nomina i farisei, i sadducei ed i dottori della legge che gli si oppongono proprio attraverso queste tentazioni l’ultima delle quali sarà la proposta di scendere dalla croce “se è figlio di Dio”. In questo brano gli evangelisti ci danno un anticipo del grande rifiuto che ogni uomo rivolge a Gesù durante tutta la sua vita.
 
1° tentazione vers. 1-4
 
Dal libro del Sir.2,1 “Figlio se ti presenti a servire il Signore, preparati alla tentazione”.
Gesù è portato dallo Spirito nel deserto come Adamo dopo la cacciata dall’Eden e come il popolo in cerca della terra promessa.
Gesù si fa trovare nei deserti della nostra vita, nella solitudine, nei sogni infranti, nella fame e sete di giustizia; l’inferno è in noi e, dove ci sono i cocci della nostra vita, Lui cammina con noi per ridarci vita.
Le tentazioni sono qualcosa che ci passa dentro quando perdiamo un po’ l’equilibrio, la vista, ma sono anche educazione, purificazione, lotta che produce speranza oltre ogni speranza; il tentatore, invece, è il grande accusatore, ci divide da Dio e ci fa di-sperare.
Dobbiamo metterci, allora, in condizione di digiuno e di preghiera, in ascolto di una Parola che ci mette in comunione con Dio. Digiunare non vuol dire avere un controllo sul cibo ma avere fame di vita, di Colui che solo sa sfamarci.
I 40 giorni rappresentano la vita intera infatti per tutta la vita dobbiamo sfamarci di Dio perché i nostri “bisogni” non finiranno mai: pane, cose, identità, riconoscimento sociale…
Si dice “dai nemici mi guardi Iddio che dai nemici ci penso io”, il male peggiore è fatto per i fini migliori.
Se sei il figlio di Dio”. L’uomo affamato da troppe cose è tentato di non riconoscere gli altri, di non pensare alla condivisione, alla solidarietà e alla comunione. La tentazione avviene cercando il bene. Ma quale? Quello per me o per il prossimo?
Il se del versetto non è dubitativo è un “giacché sei il figlio di Dio fai diventare queste pietre pane…”, noi diciamo: “se esiste un Dio perché non toglie la fame dal mondo?”
E’ il messianismo economico che pone l’organizzazione della vita personale e sociale come principio di salvezza. Mi salvo solo se ho la pancia piena. È la tentazione di porre una alternativa tra pane e Parola, materia e Spirito, uomo e Dio.
Gesù risponde con uno “sta scritto”. Se ascolto la Parola del Padre, vivo da figlio e da fratello e questo mi assicura già qui ed ora tutto ciò di cui ho bisogno, ivi compresa la vita eterna. Sappiamo fidarci della via che Dio ci mette davanti ogni giorno e che nulla ci mancherà, anzi ci darà 100 volte tanto e saremo saziati?.
 
2° tentazione vers.5-7
 
Il diavolo usa ancora le scritture per tentare Gesù. Nel IV libro di Ezra – apocrifo – si predice che il Messia apparirà improvvisamente nel punto più alto del tempio. Questa era l’aspettativa del popolo.
La tentazione è: “fai quello che tutti si aspettano, fai anche un grande prodigio, e il popolo ti crederà”; è la risposta alla domanda che il popolo fa in Dt.6,16: “ma Jhwh è in mezzo a noi si o no ?”. Per noi la tentazione si potrebbe tradurre così: giacché sono intelligente, colto, sapiente, capace ma soprattutto buono e non faccio niente di male e il mio progetto è giusto, posso buttarmi in una qualsiasi impresa, Dio mi darà una mano”.
E’ la tentazione di chi vuole possedere Dio o di chi è così insicuro da andare sempre in cerca di prodigi e apparizioni. È la ricerca dei doni e non del Donatore o si chiede a Dio di fare la nostra volontà.
Gesù risponde ancora con un “è scritto non tentare dio”.
Con la prima tentazione Gesù si è affidato al Padre, nella seconda il diavolo lo sfida a fidarsi ancor più del Padre citando il salmo 91,11 “Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi”, è come se dicesse: “se non ti butti non ti fidi poi così tanto!”. È la tentazione di dire a Dio: “Fammi questo che ti chiedo! Se non me lo fai è perché non mi ascolti!”.
Ma la fede è altra cosa, è amare ed ascoltare. I doni che riceviamo sono segni di un amore gratuito, che previene le nostre richieste e, sfidare, è diffidenza cioè avere una fame insaziabile di conferme, significa non credere. Quanto è comune questa fame nella nostra vita?
 
3°tentazione vers.8-11
 L’ultima tentazione porta Gesù su un monte altissimo. Nell’antichità il monte era la residenza degli dei. Il tentatore dice a Gesù: “fai valere la tua condizione divina” come se ne vantano i faraoni, gli imperatori e i re.
Gesù si scontra con l’idolo del potere che è dentro ognuno di noi, la tentazione di volere a tutti i costi ciò che crediamo di meritarci e, possibilmente, avere ancora di più. Noi diciamo “lei non sa chi sono io!”.
Gesù risponde ancora attraverso la Scrittura prendendo delle frasi dal Deuteronomio e dall’Esodo ma soprattutto ci ricorda che tutti i nostri sogni di potenza non sono altro che il grande idolo d’oro con i piedi di argilla che, quando meno ce lo aspettiamo, cade in mille pezzi.
Vattene satana” Matteo usa un appellativo del diavolo tipicamente ebraico per indicare che tutto il popolo è nel male.
Gesù vuole restare umano, molto più umano di noi che amiamo i primi seggi nelle sinagoghe, e questo per rimanere fedele al Padre. Non è un messia secondo il pensiero umano, ma è un Messia che ha scelto di farsi povero, debole, umiliato, rigettato, servo e non padrone (2 Cor.8,9, Fil.2,6-7).
La Croce, come un seme piantato nel nostro deserto, è l’unica arma di Gesù e il nostro unico scudo di salvezza.
Gesù ci lascia una via, al sorgere delle tentazioni non si entra in dialogo col male, non si indugia nell’ascolto del nostro io, non si confida nella nostra forza e non si deve temere, ma ci si lascia condurre dallo Spirito nel deserto armati solo della Parola di Dio, senza temere, perché gli angeli, già al servizio di Dio, ora sono anche al servizio dell’uomo come segni e messaggeri d’amore.
Qual è il potere che bramiamo nella nostra vita, quale seggio non vogliamo lasciare nella nostra sinagoga?



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LECTIO DIVINA DEL 27 OTTOBRE 2019

 
Matteo 2, 1-12
 
Nasce Gesù, e la Chiesa – I Magoi maestri del discernere
 
 
A.  Il contesto
 
B.   Il Vangelo        ‘Ero cras’: verrò presto, domani ci sarò: le antifone ‘O’
 
C.   La pericope    ‘O Emanuel, Rex gentium, Oriens, Clavis David, Radix Iesse,
 
D.  L’attualità         Adonai, Sapientia’
 
 
  Accendiamo la lampada, segno dell’attesa del Signore. La sua luce illumini il nostro cammino e ci indichi la via che conduce a Cristo.
 
 
  ‘Pertanto il Signore stesso vi darà un segno.
 
   Ecco: la vergine concepirà, e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele’ (Isaia 7,14)
 
 
A.  Il contesto
 
 
+ il passaggio dalla comunità primitiva al nuovo popolo di Dio
 
 
+ la novità di Cristo risorto presente in una storia che ri-comincia
 
 
B.   Il Vangelo
 
 
+ Vangelo della Chiesa e del martirio, Vangelo dell’annunciatore-costruttore
 
 
+ Vangelo del primato, del passaggio dalla exousia di Cristo a quella della Chiesa
 
 
C.   La pericope
 
 
+ nato Gesù: c’è già, ma va scoperto – l’avete fatto a me – quando mai ti abbiamo visto
 
 
+ IV scenari: - la stella – le Scritture – l’adorazione – l’altra via
 
 
D.  L’attualità
 
 
+ il Vangelo del fare, delll’osservanza pratica (il concreto del reale storico)
 
 
+ ‘insegnate ad osservare’ (Mt 28,20), imparare a guardare (le stelle, le Scritture)
 
 
 
  ‘Ciò che ci unisce è la volontà di portare la sua Novità nel mondo, di guardare gli uomini e le cose con gli occhi del Vangelo, e di rendere visibile il nostro essere Una cosa sola, parte gli uni degli altri, un unico Corpo che comunica con il suo agire.
 
  Tra i frammenti dell’esistere che si susseguono, l’eu-anghellion rende evidente l’orizzonte di senso che solo una fede può dare, è il luogo di un racconto diverso del mondo.
 
  Siamo nel mezzo di un cammino che ci ha spinto ad uscire dalle nostre vecchie case per costruirne una nuova, e non farci cogliere impauriti dalla tempesta del cambiamento. Sappiamo che questo cammino ha senso solo se fatto insieme qui, fra di noi.
 
  Ciò che ci rende forti è il nostro essere una rete. Ciò che ci indebolisce è il nostro non esserlo abbastanza. Ciò che ci rende forti è la verità. Ciò che ci rende deboli è il pensiero di poter fare tutto da soli. Ciò che ci rende forti è la consapevolezza del limite’
 
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LECTIO DIVINA QUOTIDIANA
 
DAL 28/10 AL 10/11
 
 
Piccola esegesi dei versetti di Mt.1,1-4,22
 
Siamo nei capitoli dell’infanzia di Gesù; non è una biografia ma una meditazione sulla sua identità e missione.
Queste pagine vogliono rispondere alla domanda “chi è Gesù”
L’autore ci presenta dei personaggi che sono solo abbozzati, riempire i vuoti non arricchisce i testi, dobbiamo accettare questi silenzi perché ci aiutano a concentrarci sull’essenziale. Mettiamo al bando, quindi, sia i vangeli apocrifi che presunte rivelazioni, non riempiamo i silenzi dei Vangeli con storie di pietà popolare.
 
Gesù vive per molti anni la vita quotidiana e anonima degli uomini. Lo Straordinario è che Dio è che abbia vissuto la vita ordinaria dell’uomo, è questa la vera rivelazione.
 
Dal 3,1 al 4,17 l’evangelista riassume la predicazione di Gesù mettendola in parallelo con quella di Giovanni il Battista: “Convertitevi è vicino il Regno di Dio”. Giovanni, accettando di battezzare Gesù, dimostra di sottomettersi al progetto di Dio che è ciò che dovrebbe fare ogni uomo.
 
La salvezza non è un fatto scontato, persino il figlio di Dio è tentato. Non solo il pagano o il peccatore devono convertirsi ma anche i giusti.
 
La tentazione è sempre attuale, sottile, inquietante, non è la scelta tra Dio e il potere o Dio e la ricchezza essa è : prima il potere e la ricchezza e poi Dio.
 
Solo dopo aver lottato contro le tentazioni nasce in noi il senso della comunità che è quello di seguire il solo “Maestro” stando “dietro” e percorrendo la strada che Gesù ci propone.
 

 
L. 28 /10 Ss. Simone e Giuda. Lc.6,12-19. Per tutta la terra si diffonde il loro annuncio
 
M.29/10 Mt.1,11 Cosa implica essere figli di…la vita viene da lontano, nella Sapienza e nel peccato passando attraverso le prove più dure
 
M.30/10 Mt.1,12-25 Giuseppe, come sposo accetta la vita, è arrivato il tempo di Dio. Gesù un nome deciso nei secoli ma cosa vuol dire essere giusti?
 
G.31/10 Mt.2,1-23 La famiglia di Nazaret conosce l’esilio, sono sempre gli innocenti che pagano il prezzo dei potenti ma il Signore ci fa alzare e ci porta verso un oltre.
 
V. 1/11 Tutti i Santi. MT.5,1-12° Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore
 
S. 2/11 Defunti. Gv.6,37-40 Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi
 
D. 3/11 XXXI del T.O. C. Lc.19,1-10 Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.
 
L. 4/11 Mt.3,1-6Siamo tutti pensati e annunciati da Dio ma ci si converte solo grazie alla testimonianza di un altro.
 
M. 5/11 Mt.3,7-8 La testimonianza porta in sé i frutti
 
M. 6/11 Mt.3,9-10 Il cuore più indurito è nelle mani di Dio
 
G. 7/11 Mt.3,11-12 Gesù viene
 
V. 8/11 Mt.3,13-15 Lasciare fare a Gesù, il solo che conosce ogni giustizia
 
S. 9/11 Mt.3,16-17 Gesù è il “Figlio”
 
D.10/11 XXXII T.O. C. Lectio Divina al Sacro Cuore Mt.4,1-11. Le tentazioni dell’uomo e della Chiesa.     
 
 
 
LECTIO DIVINA QUOTIDIANA
 
Dall’’11/11 al 24/11
 
 
L.11/11 Mt 4,1 Gesù ripercorre la storia del suo popolo
 
M.12/11 Mt. 4,2-3 Nel momento della debolezza il tentatore si avvicina
 
M. 13/11 Mt. 4,4 Solo la parola è in grado di nutrirci
 
G. 14/11 Mt. 4,5-6 Solo la Parola ci fa uscire da noi stessi
 
V. 15/11 Mt. 4,7 Come e quando tentiamo Dio?
 
S. 16/11 Mt.4,8 Quale Gloria ricerchiamo
 
D. 17/11 XXXIII T.O.C.
 
Lc.21,5-19 Il Signore giudicherà il mondo con giustizia
 
L. 18/11 Mt.4,9 La Parola distrugge gli i doli
 
M. 19/11 Mt.4,10-11 La resistenza salva
 
M. 20/11 Mt.4,12-13 Siamo capaci di lasciare la nostra Nazaret per andare sulla strada di Dio?
 
G. 21/11 Mt.4,14-15 tutte le genti saliranno sul monte del Signore
 
V. 22/11 Mt.4,16 quante volte il Signore ci ha fatto passare dalle tenebre alla luce
 
S. 23/11 Mt.4,17 come passare dal peccato al Regno di Dio?
 
D.24/11 Mt.4,18-25 XXXIV Cristo re C. Dalla Galilea impura è iniziata la via della guarigione.  
 
 
 
 
 
LECTIO DIVINA QUOTIDIANA
 
Dal 25/11 all’8/12
 
 
Piccola esegesi sul capitolo 5
 
Qual è la novità cristiana?
 
Le beatitudini sono un messaggio per la Chiesa di sempre; sono un ideale per tutti; sono indicative di una prassi non di un generico cambiamento di mentalità. Questo è il Regno arrivato in terra ed è per questo che le beatitudini provocano dibattiti e confronti col resto del mondo (cap.5)
 
 
L. 25/11 Mt.5,1 Sentiamoci discepoli chiamati
 
M. 26/11 Mt.5,2-4 Devo affidarmi totalmente a Dio nell’umiltà.
 
M. 27/11 Mt.5,5-6 Che fame e sete sento?
 
G. 28/11 Mt.5,7-8 Come sono i miei rapporti con gli altri?
 
V. 29/11 Mt.5,9-10 Porto la pace anche a costo di fallimenti e delusione?
 
S. 30/11 Sant’Andrea ap. Mt.4,18-22 per tutta la terra si diffonde il loro annuncio.
 
D.  1/12 I Avvento A. Mt.24,37-44 Andiamo con gioia incontro al Signore.
 
L.  2/12 Mt.5,11-12 Siamo coscienti che essere discepoli è anche parlare a nome di Dio?
 
M.  3/12 Lc.10,21-24 Nei suoi giorni fioriranno giustizia e pace.
 
M.  4/12 Mt.15,29-37 Abiterò nella casa del Signore per lunghissimi giorni.
 
G.  5/12 Mt.7,21.24-27. Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
 
V.  6/12 Mt.9,27-31. Il Signore è mia luce e mia salvezza.
 
S.  7/12 Mt.9,35-38-10,1. Beati coloro che aspettano il Signore.
 
D.  8/12 Immacolata Concezione. Lectio divina al Sacro cuore Mt.5,1-12 “Fai così”.
 
 
LECTIO DIVINA QUOTIDIANA
 
Dal 9/12 al 22/12
 
 
Piccola esegesi sui capitoli 6-7
 
Il fariseismo, per Matteo, indica una malattia dello spirito e una degenerazione della religiosità, noi diremmo cristiano vero o falso.
I veri discepoli di Gesù non hanno sempre in bocca il suo nome ma tutti si accorgono che hanno un comportamento diverso. Si rivolgono al Padre con immensa fiducia e cercano la giustizia di Dio cioè accettano il prossimo così com’è.
Le folle restano stupite di fronte alle Parole di Gesù. Ma noi siamo ancora capaci di stupirci?
 
 
L. 9/12 Mt. 5,13-26 Solo la “nuova” giustizia ci può fare sale e luce.
 
M. 10/12 Mt. 5,27-32 la nuova alleanza è come un matrimonio.
 
M. 11/12 Mt.6,1-15 carità e preghiera: i due pilastri dell’uomo.
 
G. 12/12 Mt. 6,16-23 cos’è il digiuno? È saper andare contro il consumismo
 
V. 13/12 Mt. 6,24-34 non affannarsi, consumare il tempo che Dio ci dà per il regno
 
S. 14/12 Mt. 7,1-11 temiamo solo il giudizio di Dio
 
D. 15/12 III Avvento A. Mt.3,1-12 vieni Signore di giustizia e di pace
 
L. 16/12 Mt.7,12-14 se vogliamo amare, amiamo per primi
 
M. 17/12 Mt. 7,15-20 anche noi possiamo diventare falsi profeti
 
M. 18/12 Mt. 7,21-29 i fiumi straripano ma la Parola salva
 
G. !9/12 Mt. 8,1-4 “Lo voglio, sii sanato”
 
V. 20/12 Mt.8,5-13 la guarigione deve aumentare la nostra fede
 
S. 21/12 Mt. 8,14-17 lasciamoci guardare da Gesù
 
D. 22/12 IV Avvento A. lectio divina al Sacro Cuore. Mt.8,18-22 come seguire Gesù
 
 
LECTIO DIVINA QUOTIDIANA
 
Dal 23/12/2019 al 12/1/2020
 
 
Piccola esegesi sui capitoli 8-10
 
Mt.8,1-9,34
Sono due capitoli narrativi strettamente connessi al discorso della montagna. Gesù e il Signore in Parole (discorsi), opere (miracoli), per i poveri e per i peccatori.
I miracoli sono il segno del nuovo Regno che viene instaurato in modo universale e verso cui gli uomini camminano liberamente in compagnia di Gesù e vengono da Lui perdonati. Questo scandalizza qualcuno, scandalizza chi si crede giusto e puro, chi non ha carità.
 
Mt.9,35-10,42 Discorso missionario
Gesù andava per città e villaggi, il discepolo non ha una missione diversa dal maestro.
Tutti siamo missionari e lo siamo nella misura in cui diventiamo luce per gli altri ma per diventare luce bisogna avere il coraggio nella persecuzione.
 
 
L. 23/12 Mt. 8,23-27 Gesù, il timoniere nelle tempeste della vita
 
M.24/12 Mt. 8,28-34 la potenza di Gesù può spaventare, alcune volte preferiamo il tran tran della vita.
 
M.25/12 Natale del Signore. Lc. 2,1-14. Oggi è nato per noi il Salvatore
 
G.26/12 Santo Stefano Mt.10,17-22. Alle tue mani Signore affido il mio spirito
 
V.27/12 S. Giovanni Ap. Gv. 20,2-8. Gioite giusti nel Signore
 
S.28/12 S.s. Innocenti martiri. Mt.2,13-18. Chi dona la sua vita risorge nel Signore
 
D.29/12 S. Famiglia Mt.2,13-15.19-23. Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie.
 
L.30/12 Mt.9,1-9 quand’è che abbiamo sentito “seguimi”?
 
M.31/12 Mt.9,10-13 molte volte seguimo la “nostra” legge e la riteniamo divina
 
M.1/1/2020 Lc.2,16-21 Maria SS. Madre di Dio. dio abbia pietà di noi e ci benedica.
 
G.2/1 Mt.9,14-17 la salvezza non si compra a caro prezzo, è già stata pagata
 
V.3/1 Mt. 9,18-26 non abbiate paura.
 
S.4/1 Mt. 9,27-38 apriamo le porte a Gesù con la coscienza che, con Lui, entreranno le folle
 
D.5/1 II di Natale Gv.1,1-18 il verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi.
 
L.6/1 Epifania del Signore. Mt.2,1-12 ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della  terra.
 
M.7/1 Mt.10,1-10. Guarite, risuscitate, sanate, cacciate.
 
M.8/1 Mt. 10,11-15. La terra è impura, lasciamo andare il mondo.
 
G.9/1 Mt. 10,16-20. La pace è lo Spirito che dà il coraggio di andare contro corrente.
 
V.10/1 Mt.10,21-25. Fuggire da ciò che è morto e perseverare nella luce.
 
S.11/1 Mt. 10,26-33. La “verità” di Gesù non si può nascondere. La paura non deve sconfiggerci.
 
D.12/1 Battesimo del Signore. Lectio Divina al Sacro cuore Mt.10,34-42 la chiesa è lotta di accoglienza.
 
 
LECTIO DIVINA QUOTIDIANA
 
Dal 13/1/2020 al 26/1/2020
 
 
Piccola esegesi capitolo 11
 
Siamo nella seconda sezione narrativa. Per Matteo, dopo i discorsi sul regno, il messaggio deve passare attraverso un evento una storia.
Attraverso brevi dialoghi, miracoli e controversie, il filo conduttore è il giudizio. Ognuno dà un suo giudizio su Gesù, ma anche Gesù giudica svelando le ragioni profonde del dissenso e la gravità del giudicare e svela che, il Dio della Terra e del Cielo, preferisce gli umili ed i semplici.

 
L.13/1 Mt.10,34-36. La Parola costringe a prendere posizione e, il discepolo, è spesso considerato un disturbatore dell’ordine del mondo
 
M.14/1 Mt.10,37-39 ci sono molte forme di coraggio ma la più importante è mettere Gesù al primo posto.
 
M.15/1 Mt.10,40-42 saper andare fuori e accogliere dentro.
 
G.16/1 Mt.11,1 il messaggio del Regno si fa storia
 
V.17/1 Mt.11,2-3 una Storia che esce dal carcere
 
S.18/1 Mt.11,4-6 cosa ci fa fratelli? Gesù che unisce vecchio e nuovo
 
D.19/1 II T.O.A Gv.1,29,34. Ecco Signore io vengo per fare la tua volontà.
 
L.20/1 Mt.11,7-8 cosa ricerchiamo nella vita? Cosa guardiamo negli altri?
 
M.21/1 Mt.11,9-10 non solo a Giovanni è stato chiesto di portare testimonianza a Gesù ma a ognuno di noi.
 
M.2271 Mt.11,11 L’appartenenza al regno supera ogni altra grandezza.
 
G.23/1 Mt.11,12 siamo costruttori o demolitori del Regno?
 
V.24/1 Mt.11,13-15 noi accettiamo le scritture?
 
S.25/1 Conversione di S. Paolo ap.Mc.16,15-18. Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo.
 
D.26/1 V T.O.A. Lectio Divina. Mt.11,16-24 non siamo capaci di vedere l’opera di Dio
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