Lectio Divina 2023/2024 - Parrocchia Sacro Cuore

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Lectio Divina 2023/2024

CALENDARIO LECTIO DIVINA 2023-24


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Introduzione e Ap. 1, 1-8
1Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai
suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve. Ed egli la
manifestò, inviandola per mezzo del suo angelo al suo servo
Giovanni, 2il quale attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù
Cristo, riferendo ciò che ha visto. 3Beato chi legge e beati coloro che
ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi
sono scritte: il tempo infatti è vicino. 4Giovanni, alle sette Chiese che
sono in Asia: grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, e
dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, 5e da Gesù Cristo, il
testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo
sangue, 6che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a
lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. 7Ecco, viene con le
nubi e ogni occhio lo vedrà , anche quelli che lo trafissero , e per lui
tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen! 8Dice il Signore
Dio: Io sono l'Alfa e l'Omèga, Colui che è, che era e che viene,
l'Onnipotente!

Giovanni attesta - Ogni occhio lo vedrà

I PARTE
Il termine Apocalisse ha il significato di accettazione del cambiamento, rivelazione, svelamento.
In primo luogo si tratta di un testo destinato all’Assemblea liturgica e si configura come una
preghiera, una narrazione, ci predispone all’ascolto di ciò che presto dovrà accadere.
Il libro dell’Apocalisse rappresenta un cammino di discernimento sapienziale nel dramma della
storia.
Riguardo alla struttura il principio ordinatore è il settenario, il numero 7 è usato con molta
frequenza. Troviamo un Prologo, le Lettere alle 7 Chiese, 5 sezioni in successione (7 sigilli, 7
trombe, 7 visioni, 7 coppe, ulteriori 7 visioni) e la parte finale. Nello svolgersi della narrazione è
rappresentata la salvezza, non la perdita, si cerca dunque di leggere il presente tra passato e
futuro.
Vediamo alcuni dei personaggi:
- l’evangelista Giovanni, autore del quarto Vangelo, recluso nell’isola di Patmos;
- Dio, che conduce la Storia, attraverso un processo che porta alla salvezza;
- Cristo crocifisso che spinge in avanti la Chiesa nonostante tutte le circostanze;
- Gli Angeli, forze attive, che orientano la Storia verso il Bene;
- La Chiesa;
- Animali (tantissimi)
Il tempo dell’Apocalisse è un tempo di conversione, che è in rapporto con forze contrarie, e che
tende con fiducia verso la fine.
È l’ultimo libro della Bibbia, ha quindi a che fare con una storia che origina da Gesù, storia che
non ha perso il suo senso ma indica la meta, si protende verso il mondo nuovo, ci chiede di
essere saldi nella prova, di avanzare liberi dalle circostanze avverse, è capace di riunire i dispersi
e ci dà speranza di futuro.
E’ il libro dei perseguitati, ci aiuta a comprendere che c’è un ordine superiore, ci anticipa che la
Giustizia di Dio sarà ristabilita e ci guida nella continua riflessione sul perché del male nella
storia con l’orizzonte di Gesù. Il libro rompe l’identità ebraica e in esso è presente l’impero che
ha ripreso le persecuzioni dei Cristiani.
Il Libro ci pone degli interrogativi: è meglio demonizzare le posizioni contrarie o rinunciamo ad
esserci e ci ritiriamo nel privato? Ci salva la resistenza “creativa” a ciò che è avverso; dobbiamo
evangelizzare il negativo e trovare ragioni di vita anche nelle situazioni difficili; al di là della
paura, della violenza, del fallimento, dobbiamo sforzarci di superare l’aggressività con la
creatività.
L’Apocalisse parla per Immagini, è un teatro, un mondo di rappresentazioni, serve a sognare ed
anche a lottare, perché la vita non è comoda, ma epica.
E’ un libro celebrativo, in cui viene scritto di nuovo il Cantico dei Redenti.
Giovanni sa che c’è un principio, la Genesi, che porta la Creazione, e una fine, l’Apocalisse, la
via è la Chiesa.
L’Apocalisse è dunque il libro del “già” e del “non ancora”; in mezzo si trova l’economia del
Bene, l’Incarnazione, la consapevolezza che Dio c’é. Non è un Libro che parla del futuro, ma di
ciò che è già in corso.
Dobbiamo leggerlo con atteggiamento di sacralità, ascoltare con attenzione e pensare che è
rivolto proprio alla mia persona; è una luce che mi guida e mi apre alla speranza mentre
cammino nel deserto.
II PARTE
“Beato chi legge e chi ascolta” E’ rivolto all’Assemblea liturgica. Giovanni si fa mediatore e si
rivolge a tutte le Chiese. Si conclude con una adesione. Tutte le beatitudini tratteggiano la figura
del vero Cristiano.
Il Libro è Rivelazione e Profezia, non predizione del futuro, ma lettura del presente.
E’ consolazione, perché scritto per noi, che ci troviamo alle prese con le difficoltà della Storia
umana, difficoltà che ci stringono, che ci trascinano e che riguardano anche l’intimo di ogni
singola persona.
Giovanni svolge un servizio profetico. Gesù é nel contempo soggetto e oggetto della
Rivelazione.
Il Libro riguarda le cose che debbono accadere tra breve, tutte le cose, quelle dell’umanità e
quelle dei singoli. È già realtà e ci guida a guardare la Storia partendo dalla fine.
Nell’Apocalisse la missione di Giovanni è quella di incoraggiare gli altri Cristiani. Egli si fa
messaggero.
Nel versetto 3 di questo Capitolo 1 troviamo la prima delle 7 beatitudini che caratterizzano il
vero cristiano: “Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno
tesoro delle cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino!”
La seconda beatitudine è al versetto 13 del Capitolo 14: “Beati i morti che da ora innanzi
muoiono nel Signore”.
La terza è al capitolo 16, versetto15: “Beato chi è vigilante e custodisce le sue vesti”; la quarta
beatitudine è nel capitolo 19 versetto 9: “Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze
dell’Agnello”.
La quinta beatitudine si trova al versetto 6 del capitolo 20: “Beato e santo è colui che partecipa
alla prima resurrezione”; la sesta è al versetto 7 del capitolo 22 “Beato chi custodisce le parole
della profezia di questo libro”; infine la settima è al versetto 14 del capitolo 22: “Beati quelli che
lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte della città”.
Il 7 è simbolo di pienezza e totalità.
Nei versetti 4 e 5 del Capitolo 1 Giovanni usa uno stile epistolare verso le 7 Chiese rivolgendosi
così a tutto il popolo cristiano, ovunque esso si trovi. Usa una formula di saluto da parte sua e di
Gesù Cristo e lo chiama “testimone fedele”, perché ha adempiuto la sua missione, “Primogenito
dei morti” perché è il primo a risorgere, “Principe dei Re della Terra” tutti devono rendergli
conto; “A Colui che ci ama…sia la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”, il verbo è coniugato
al presente, ci ama ora! E’ quindi un concetto sempre valido, senza distinzione di tempo.
Nel versetto 7 troviamo la sintesi di tutta la predicazione cristiana; termina con “Amen”, ci sarà
dunque la conversione di tutte le nazioni della Terra e si ricomporrà tutta la storia umana: “Io
sono l’Alfa e l’Omega”. A Lui la gloria!

SPUNTI DI RIFLESSIONE:
Qui e ora è in gioco la nostra conversione, siamo tutti associati nella tribolazione ma manca in
noi la novità e la creatività. L’Apocalisse, con la sua forza espressiva, non retorica, richiama la
nostra attenzione e serietà.
Chiudiamo con una riflessione di Kierkegaard sulla differenza tra teatranti e Cristiani: i primi
sono consapevoli di recitare, i Cristiani recitano, invece, senza conoscere la trama; essi devono
quindi sforzarsi di capire il senso del loro agire quotidiano; oggi di fronte al fallimento delle
strategie e degli orizzonti globali i Cristiani possono offrire una piccola cosa: “dare un senso”
attestando la Parola.

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mappa sette chiese e struttura apocalisse


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Lectio Divina
Ap. 1, 9-20
9Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e
nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a
causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. 10Fui preso
dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce
potente, come di tromba, che diceva: 11"Quello che vedi, scrivilo in un
libro e mandalo alle sette Chiese: a Èfeso, a Smirne, a Pèrgamo, a
Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa". 12Mi voltai per vedere la
voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri
d'oro 13e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo, con un
abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro. 14I capelli
del suo capo erano candidi, simili a lana candida come neve. I suoi
occhi erano come fiamma di fuoco. 15I piedi avevano l'aspetto del
bronzo splendente, purificato nel crogiuolo. La sua voce era simile al
fragore di grandi acque. 16Teneva nella sua destra sette stelle e dalla
bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio, e il suo volto era come
il sole quando splende in tutta la sua forza. 17Appena lo vidi, caddi ai
suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse:
"Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo, 18e il Vivente. Ero morto, ma
ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. 19Scrivi
dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono
accadere in seguito. 20Il senso nascosto delle sette stelle, che hai visto
nella mia destra, e dei sette candelabri d'oro è questo: le sette stelle
sono gli angeli delle sette Chiese, e i sette candelabri sono le sette
Chiese.

Il figlio dell’umanità–“Ero morto ma ora vivo”

Con Apocalisse noi siamo chiamati a capire i piani di Dio che ci interpella sui fatti di oggi. E’
quindi Libro del Presente, non libro per carpire i misteri di Dio.
Si può passare attraverso tante tribolazioni, ma sempre e comunque si compie il piano di Dio. Ci
sentiamo beati soltanto stando in contatto con Dio, con la Sua protezione ed il suo aiuto.
Qui Giovanni parla in prima persona e possiamo individuare tre soggetti nella sua narrazione:
Giovanni stesso,il lettore,
la Chiesa universale, identificata nelle 7 Chiese.
Per la lettura del Libro occorre un atteggiamento di pazienza e di calma, ispirato da benevolenza,
non critico ma pieno di gratitudine: la posta in gioco è la felicità, ovvero la beatitudine.
Giovanni, perseguitato e mandato in esilio a Patmos, ci parla come “fratello e compagno nella
tribolazione”; solidale quindi con noi nella sofferenza, nel Regno, in quanto la sua regalità è la
nostra libertà, e nella costanza in Gesù, ad indicare la sua perseveranza: benché prigioniero ed
esiliato, la sua anima è dunque libera e sovrana.
Ci troviamo in un luogo di sofferenza, dove attraverso la fede si “sogna”.
E’ rapito in estasi: l’esperienza dell’esilio si rivela intensa e positiva pur nella sua durezza, anzi
la fede ne esce raddoppiata, a riprova del fatto che molto spesso sono proprio le difficoltà a
fortificarci, costituiscono ricchezze e diventano chiavi per aprire nuove porte. E questo avviene
nel settimo giorno, riservato al Signore in memoria del Suo riposo dopo la Creazione.
E qui arrivano le prime domande/riflessioni:
- Quali esperienze di “esilio” ci hanno fortificato?
- E noi, ci fermiamo, nel giorno della domenica, a vedere gli altri e ad ascoltare la voce di Dio?
- Cosa rappresenta per noi, la Domenica?
Prima di tutto Giovanni ascolta…:Dio è una voce potente alle sue spalle che arriva
inaspettatamente; il senso è che dobbiamo essere pronti alla sorpresa, Dio ci chiama quando
meno ce lo aspettiamo, è dietro di noi e “dietro” nasconde il futuro, è un luogo dimenticato,
non visibile, nel quale non guardiamo più.
Ci scuote con voce di “tromba”, il suono dell’allarme, l’allerta delle sentinelle di allora.
A quel punto Giovanni si volta, ed il suo voltarsi indica che anche noi dovremmo “voltarci”,
per ascoltare la voce di Dio: si noti che il termine “voltarsi” origina dal greco ed ha il
significato di convertirsi. E’ necessario quindi prima convertirsi per poter vedere Dio, nel
senso di offrire la nostra disponibilità. Una volta voltato, Giovanni vede sette candelabri
d’oro ed in mezzo a essi il Figlio dell’Uomo: qui tutti simboli che si riferiscono al divino: i
candelabri erano sempre accesi nel tempio ed il Cristo è al centro, è Lui che illumina la
Chiesa. Nella descrizione del Suo aspetto, la veste lunga fino ai piedi, la cintura dorata, i
capelli candidi come la neve, gli occhi di fiamma ardente, i piedi di bronzo incandescente, la
voce potente, le sette stelle nella mano destra, troviamo una serie di simboli che rimandano
al divino e sono, qui, attribuiti al Cristo, elemento di grande importanza e difformità rispetto
al mondo giudaico nel quale erano invece ricondotti a Dio. Dalla Sua bocca esce una spada
affilata, a significare che la Sua parola é efficace e tagliente, ed il Suo volto è splendente.
Nel vederlo Giovanni cade in ginocchio, non può sostenere la potenza della visione, ma il
Cristo dice: “Non temere, io sono il primo e l’ultimo, e il vivente”. Il Cristo si presenta: è un
Dio di pace, è l’Alfa e l’Omega, nulla può essere fatto senza di Lui, ed è simbolo di vita.
Esiste la morte ma Cristo ha le chiavi della Vita e della Morte; le sette stelle rappresentano
la luce e sono gli Angeli delle sette Chiese: per gli Ebrei ogni città aveva il suo angelo
custode e ogni comunità aveva il suo capo; gli angeli possono quindi simboleggiare le
comunità concrete, cioè noi stessi.

Riflessioni conclusive su alcune espressioni:
- “Rapito in estasi” significa essere “contemplativo”, capace cioè di riconoscere la prassi
che guida la Storia e comprenderne anche le contraddizioni;
- “compagno” in greco significa sincrono, partecipe di una comunione nella realtà nuova
del Vangelo, nella quale ci si espropria di sé per avere cura degli altri;
- “Ho il potere sulla morte”; non c’è alcun limite per Cristo;
- Giovanni è testimone: ci dà speranza di futuro, con la sua attenzione alla memoria, alla
narrazione di ciò che ha vissuto.

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Lectio Divina
Ap. 2, 1-7
1All'angelo della Chiesa che è a Èfeso scrivi: "Così parla Colui che
tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette
candelabri d'oro. 2Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua
perseveranza, per cui non puoi sopportare i cattivi. Hai messo alla
prova quelli che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati
bugiardi. 3Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome,
senza stancarti. 4Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo
primo amore. 5Ricorda dunque da dove sei caduto, convèrtiti e compi le
opere di prima. Se invece non ti convertirai, verrò da te e toglierò il tuo
candelabro dal suo posto. 6Tuttavia hai questo di buono: tu detesti le
opere dei nicolaìti, che anch'io detesto. 7Chi ha orecchi, ascolti ciò che
lo Spirito dice alle Chiese. Al vincitore darò da mangiare dall'albero
della vita, che sta nel paradiso di Dio".
Cristo e la sua Parola – “Conosco le tue opere”

In questo brano accadono cose…E’ quindi un brano illuminato da una luce di complessità.
Ci invita a porci delle domande: dove sta la nostra Chiesa? Qual è il tuo sogno?

Si introduce lo schema che si ripeterà nelle lettere alle sette Chiese ed in cui Dio parla in prima
persona, con autorità, mettendo a fuoco l’ora che sta vivendo quella comunità. La Chiesa di
Efeso, fondata da Paolo ed affidata a Timoteo e Tito si caratterizzava per il sincretismo tra la
fede cristiana ed i culti pagani di quei territori, dedicati in particolare alla dea Artemide.
L’incipit è la manifestazione di identità, il titolo di Colui che parla e che così si identifica; quindi
per prima cosa si rivela e poi si si rivolge; passa dalla comunione alla relazione. I suoi attributi
caratterizzano chi è Lui, ma non lo esauriscono nella Sua completezza. Il fine della lettera è la
revisione del Suo rapporto con la chiesa.
Parla Colui che tiene le sette stelle nella mano destra e cammina in mezzo ai sette candelabri
d’oro: ha nella sue mani la nostra storia ed è vicino a noi.
Prende l’iniziativa parlando ed esprime un giudizio sulla chiesa di Efeso, sia per gli aspetti
positivi per i quali c’è un riconoscimento che per quelli negativi. Dice “Conosco le tue opere, la
tua fatica, la tua costanza”; le opere sono fatti concreti con i quali si manifesta la fede ed il fatto
che Dio le conosca indica che la fatica non si è persa, non è andata sprecata; “hai riconosciuto i
falsi apostoli…hai sopportato molte cose per amore del mio nome e non ti sei stancato” e qui
l’amore è un accrescitivo, indica la cura, la passione nelle opere; Efeso va avanti con
perseveranza, soffre con sopportazione in nome della verità nella quale l’uomo trova la
guarigione, senza sentirsi inadeguato o parziale.
La parte negativa del giudizio riguarda l’abbandono del primo amore, la perdita di qualcosa, un
fallimento, non c’é più anima, energia, manca la passione originale. E viene indicata, in tre
passi, la terapia: ricorda, convertiti, e compi le opere di “prima”, Cos’è questo prima? Il senso è
che bisogna ripercorrere i propri passi, rivalutare le proprie azioni e cogliere le grandi
opportunità offerte dai cambiamenti per rinascere, ricostruire.
Si apre una riflessione sui Nicolaiti, coloro che pensavano di poter peccare senza incorrere nel
castigo divino; la Chiesa di Efeso li detestava, ovvero li disprezzava e non li riconosceva; questa
non assimilazione è la comprensione del grande rischio di abituarsi al peccato.
Come per tutte le altre lettere, la parte conclusiva è una “promessa, ed esprime un’esortazione
che, in un certo senso, è anche una minaccia, spiega cioè cosa accade se si verifica una
determinata condizione: toglierò il candelabro, ovvero la luce e non sarai più chiesa.
La promessa indica il collegamento tra Parola e lo spirito: se fai così ti renderò partecipe della
mia comunione e non ti lascerò solo. Ed è per “chi ha orecchi…”; c’è l’esigenza di una
sensibilità appropriata, di un discernimento sapienziale. E chi vince avrà l’albero della vita, che è
nel Paradiso di Dio; ecco la promessa di un mondo nuovo, della pienezza di vita, del “tutto”.

Spunti di riflessione:
- Qual è il nostro cuore? Un cuore comodo? Terreno?
- Non c’è vita evangelica se non c’è relazione; pensiamo al “fai da te” spirituale che non
implica relazione;
- la fede è il luogo privilegiato dell’incontro, della condivisione;
- la mano di Gesù tiene sette candelabri: mi stringe, mi conforta, mi custodisce,
rappresenta l’esserci di qualcuno accanto alla mia solitudine;
- le sette stelle rappresentano le luci, ci dicono che c’è ancora una speranza;
- la Chiesa è la presenza di Gesù nel mondo, fino alla fine, al compimento, dove trova
senso il tutto, dove l’amore nuovo rende tutto possibile.


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Ap. 3, 14-22
14All'angelo della Chiesa che è a Laodicèa scrivi: "Così parla l'Amen, il
Testimone degno di fede e veritiero, il Principio della creazione di Dio.
15Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi
freddo o caldo! 16Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo,
sto per vomitarti dalla mia bocca. 17Tu dici: Sono ricco, mi sono
arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un
miserabile, un povero, cieco e nudo. 18Ti consiglio di comperare da me
oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e
perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli
occhi e recuperare la vista. 19Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li
educo. Sii dunque zelante e convèrtiti. 20Ecco: sto alla porta e busso. Se
qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò
con lui ed egli con me. 21Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio
trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono.
22Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese"".
Giudizio d'amore - “Ecco, sto alla porta e busso”

Nello schema semi-circolare delle 7 chiese dell'Asia, (in cui della seconda e della sesta viene
dato un giudizio positivo, mentre le altre ricevono un giudizio negativo), la settima, la chiesa di
Laodicea, è quella cui viene dato il giudizio più negativo rispetto a tutte le altre.
Come per le altre lettere alle chiese, anche per questa ultima lettera, dobbiamo sforzarci di
acquisire uno sguardo apocalittico (di rivelazione), che dia un senso più profondo alla nostra vita
e ci aiuti ad intenderla come un'esperienza che, attraverso la Bibbia, ci faccia cambiare
prospettiva.
Analizziamo i punti della struttura letteraria che caratterizza le lettere:
1 (destinatario) Per quanto riguarda la connotazione della Chiesa di Laodicea, cui è rivolta la
settima lettera, ricordiamo che essa fu fondata nel 200 a.C. Si trattava di una città molto ricca,
dedita al commercio di oro e tessuti pregiati, famosa per la scuola di medicina ed in particolare
per gli studi di oftalmologia, nonché dotata di fonti termali curative.
Trovandosi su suolo altamente sismico, nel 60 d.C. fu rasa al suolo da un terremoto, ma grazie
alle sue ingenti ricchezze, fu ricostruita, restaurata ed abbellita in completa autonomia, senza
ricevere alcuna sovvenzione da parte dell'impero.
2 ( titoli di chi parla) Colui che sta parlando è l'Amen (avverbio ebraico “così sia fatto” -
promessa di Dio assolutamente garantita).
Testimone fedele e verace (che non rinnega mai le sue promesse e parla sempre in verità).
Principio della creazione (Originatore, Creatore e Centro di ogni cosa),
3 (valutazione) Secondo lo schema consueto delle 7 lettere, qui avrebbe dovuto esserci l'elogio,
ma in realtà viene espresso un giudizio piuttosto duro, di verità, sempre mirato alla salvezza,
ispirato comunque dall'amore di Dio. Due i principali orientamenti del giudizio: da un lato il
ridimensionamento finalizzato a dominare il delirio di onnipotenza della Chiesa di Laodicea e
dall'altro la sua corretta collocazione in una nuova posizione, cioè nelle mani di Dio, nei suoi
piani a noi ignoti.
4 (messaggio di lode o di rimprovero) “Conosco le tue opere”, cioè so cosa vali, non sei caldo né
freddo, ma “tiepido” e questo è molto negativo: sinonimo di abitudine, di indifferenza, di
inerzia, di assenza di slancio e passione; meglio essere freddi, nel senso che è più facile
convertire il peccatore o il non-credente, o caldi, ferventi nella fede. La mediocrità ed il
vivacchiare senza amore sono totalmente rigettati dal Signore.
Altro nodo estremamente critico è la ricchezza e la prosperità che, riferita però soltanto ai beni
materiali, ci fa sentire falsamente autosufficienti, ci illude di non avere bisogno di nulla, ci
impedisce di tessere relazioni e ci riduce ad una vita di mere apparenze. “In realtà”, - si rivolge
alla Chiesa - “ proprio tu, che commerci in oro e tessuti preziosi, hai bisogno di oro puro e vesti
bianche (beni spirituali) e proprio tu che sei famosa per la produzione del collirio di Frigia, in
effetti sei cieca.
Insomma, a volte proprio le cose che ci fanno sentire forti sono quelle nelle quali siamo più
fragili.
5 (ammonimento) La lettera si conclude ricordando che il rimprovero è teso alla salvezza e
ispirato dall'amore: Dio sta sulla porta e bussa; se ascoltiamo attenti, e apriamo quella porta, Dio
si siederà alla nostra tavola e starà con noi.
6 (promessa) Premio sarà la nostra "santità", la possibilità di sedere accanto a Dio, di essere nel
suo Spirito, e di essere noi stessi, completi, realizzati, senza false umiltà, senza apparenze e con
tutto lo slancio di cui il mondo ha bisogno.

Domande-spunto di riflessione:
- Dio ci chiede dove siamo..andiamo verso l'incontro con Dio ? Siamo sul terreno della verità?
- Dio che vede oltre le apparenze, cosa vede di me? Sotto i miei punti di forza, quali mie fragilità
vede?
- noi fino a che punto siamo “innamorati” di Cristo? Vogliamo essere santi?
Quando Gesù busserà alla mia porta, andrò all'incontro con lui? O accamperò scuse? (sono
troppo giovane, sono troppo vecchio, adesso devo fare altre cose..)
Nel senso, voglio “guarire”?
Voglio essere felice?
Voglio diventare “santo”?

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Lectio Divina
Ap. 4, 1-11
1Poi vidi: ecco, una porta era aperta nel cielo. La voce, che prima
avevo udito parlarmi come una tromba, diceva: "Sali quassù, ti
mostrerò le cose che devono accadere in seguito". 2Subito fui preso
dallo Spirito. Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono Uno stava
seduto. 3Colui che stava seduto era simile nell'aspetto a diaspro e
cornalina. Un arcobaleno simile nell'aspetto a smeraldo avvolgeva il
trono. 4Attorno al trono c'erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano
seduti ventiquattro anziani avvolti in candide vesti con corone d'oro sul
capo. 5Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; ardevano davanti al
trono sette fiaccole accese, che sono i sette spiriti di Dio. 6Davanti al
trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al
trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi, pieni d'occhi
davanti e dietro. 7Il primo vivente era simile a un leone; il secondo
vivente era simile a un vitello; il terzo vivente aveva l'aspetto come di
uomo; il quarto vivente era simile a un'aquila che vola. 8I quattro esseri
viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi;
giorno e notte non cessano di ripetere: " Santo, santo, santo il Signore
Dio, l'Onnipotente, Colui che era, che è e che viene!". 9E ogni volta che
questi esseri viventi rendono gloria, onore e grazie a Colui che è seduto
sul trono e che vive nei secoli dei secoli, 10i ventiquattro anziani si
prostrano davanti a Colui che siede sul trono e adorano Colui che vive
nei secoli dei secoli e gettano le loro corone davanti al trono,
dicendo: 11"Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria,
l'onore e la potenza, perché tu hai creato tutte le cose, per la tua
volontà esistevano e furono create".

Dal trono al Libro – “Tu sei degno o Signore”

Abbiamo qui un brano complesso e di difficile interpretazione, ma il messaggio chiaro è che Dio
si vuole manifestare a noi e questo è ciò che conta.
Il senso della composizione ed il cuore del messaggio richiede una lettura approfondita ma è
interessante ciò che Dio dice a Giovanni; lo invita a salire “lassù”. Salendo in alto ed entrando
“nella porta aperta del cielo” è possibile ascoltare la voce di Dio ed entrare nel mistero degli
avvenimenti della Storia. La tromba sottolinea che la voce ascoltata è quella di Dio.
La visione del Trono è particolarmente significativa e ricorre moltissime volte nell’Apocalisse;
Dio ed il trono sono descritti in tutto lo splendore che li circonda, simile a quello delle pietre
preziose; il trono è anche avvolto dall’arcobaleno, che, nelle Scritture non esprime solo
luminosità ma è anche segno di pace e alleanza: annuncia che le forze della distruzione non
avranno mai l’ultima parola sulla storia. L’ultima parola è quella di Dio, che è sempre dalla
nostra parte. Diaspro, cornalina e smeraldo, i primi due minerali rosso e l’ultimo verde: i colori
della vita.
Ventiquattro anziani seduti sui loro seggi fanno corona al trono di Dio. Chi rappresentano?
Rappresentano tutto il popolo di Dio che si riunisce per ascoltare la manifestazione di Dio.
Le vesti candide e le corone d’oro sul capo alludono alla vittoria che essi hanno conseguito al
termine del cammino della vita.
Dal trono escono lampi, voci e tuoni: i segni classici che accompagnano la manifestazione
divina e che mettono in risalto la volontà di comunicazione di Dio e la Sua potenza. Sono gli
stessi segni con i quali Dio si è manifestato a Mosè, ammonendolo di non avvicinarsi al luogo
sacro. Giovanni sottolinea che davanti al trono ci sono sette fiaccole accese, i sette spiriti di Dio.
In mezzo al trono vi sono quattro esseri viventi, simbolo dei quattro evangelisti:
- il primo è simile a un Leone, segno di fuoco, simbolo della forza e della nobiltà (S. Marco);
- il secondo è simile ad un vitello, simbolo di fecondità (S. Luca);
- il terzo simile ad un uomo, simbolo di razionalità (S. Matteo)
- ed il quarto, infine è simile ad un’aquila che vola, simbolo della dinamicità del mondo (S.
Giovanni).
Come i ventiquattro anziani anche i quattro esseri viventi sono in atteggiamento di adorazione e
hanno il compito di rendere omaggio a Colui che è seduto sul trono; intonano l’inno di lode e di
ringraziamento: “santo, santo, santo…”
Considerazioni conclusive e spunti di riflessione:
- Giovanni mette al centro della storia il trono di Dio; dobbiamo quindi essere riconoscenti
a Dio che si è manifestato a noi e attendere con gioia e fiducia il giorno in cui, di nuovo,
Lo incontreremo;
- Giovanni dice: “Lo vidi”; non è confuso, lui vede con chiarezza; sarebbe bello avere la
sua lucidità e determinazione;
- Cosa significano anni di conflitto e poi un negoziato? Le tenebre non sono eterne, c’è una
speranza;
- Ci chiediamo “cosa possiamo fare di più?” Ogni gesto non va sprecato se vogliamo dare
un senso alla nostra vita;
- La parola “santo” in greco significa “diverso”; vuol dire che Dio non è come lo
immaginiamo; è tutt’altro; dobbiamo riconoscere la sua spiritualità, come Mosè che si
toglie i sandali; questo è il giusto approccio.

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Lectio Divina
Ap. 5, 1-14
1E vidi, nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto
sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. 2Vidi un
angelo forte che proclamava a gran voce: "Chi è degno di aprire il
libro e scioglierne i sigilli?". 3Ma nessuno né in cielo, né in terra, né
sotto terra, era in grado di aprire il libro e di guardarlo. 4Io piangevo
molto, perché non fu trovato nessuno degno di aprire il libro e di
guardarlo. 5Uno degli anziani mi disse: "Non piangere; ha vinto il leone
della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi
sette sigilli". 6Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri
viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato; aveva sette
corna e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la
terra. 7Giunse e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul
trono. 8E quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro
anziani si prostrarono davanti all'Agnello, avendo ciascuno una cetra e
coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi, 9e
cantavano un canto nuovo: "Tu sei degno di prendere il libro e di
aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con
il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, 10e hai
fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno
sopra la terra". 11E vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e
agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e
migliaia di migliaia 12e dicevano a gran voce: "L'Agnello, che è stato
immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione". 13Tutte le creature nel cielo e sulla terra,
sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che
dicevano: "A Colui che siede sul trono e all'Agnello lode, onore, gloria
e potenza, nei secoli dei secoli". 14E i quattro esseri viventi dicevano:
"Amen". E gli anziani si prostrarono in adorazione.

Un leone che è un agnello – “E hai riscattato
per Dio”

14 gen 2024 (Ritiro al Santuario Maria della Visitazione di Santa Marinella)

1^ PARTE
Dio è Colui che chiama, siamo in un luogo dove Dio parla e la Voce è anche quella degli stessi
uomini, la Voce non è attribuibile soltanto direttamente a Lui.
Nell’Apocalisse si gioca il destino della Chiesa, é connesso alla Storia, in quanto gli uomini sono
chiamati a formare la realtà, non solo a pregare. E’ necessario dispiegare il rotolo che contiene il
progetto di Dio sulla storia umana, svelarne e comprenderne il contenuto.
Distinguiamo 4 parti in Ap. 5:
1-4 il Libro
5-7 l’Agnello
8-10 il Regno
11-14 la Potenza dell’Agnello
1-4 Nell’Apocalisse ricorre tantissime volte l’espressione ” vidi”. La riflessione è quindi basata
sulle immagini più che sui ragionamenti, ma spesso l’Uomo non comprende qual è la strada, non
capisce e non segue i segni.
Anche questa prima immagine è introdotta dalla forma verbale “Vidi …”
Il Signore che siede sul trono ha, nella mano destra, il rotolo che contiene il disegno di Dio, il
suo progetto; si tratta della stessa mano con la quale il popolo d’Israele è stato liberato dalla
schiavitù dell’Egitto. Il trono esprime la presenza di Dio, è un mistero che noi uomini fatichiamo
ad intercettare. Ed il fatto che Dio siede sul trono sta a significare che Lui “opera” celatamente,
muove, suscita…
Il rotolo è scritto “dentro e fuori”, vale è dire che è completo, definitivo, ricapitola tutte le cose e
non c’è nulla da aggiungere; rappresenta il dispiegamento del destino dell’uomo, ha l’autorità
sulla nostra salvezza ed è uno specchio, interessa anche il Cielo.
Il libro è sigillato con sette sigilli e si aspetta qualcuno che possa aprirlo. Tutto ciò che ci
circonda, il mondo, la vita, è un messaggio rivolto a noi, che però non comprendiamo. Noi non
siamo in grado di accedere al mistero, rimaniamo radicalmente impotenti, soltanto Uno, Gesù, lo
disvelerà, scendendo dall’alto verso gli uomini.
Il numero 7 (sette) rappresenta la totalità, il compimento, il fine ultimo del nostro vivere che
attende di essere rivelato e che l’Uomo, da solo, non riesce a comprendere. Per questo Giovanni
piange: è il pianto di tutti gli uomini, che subiscono gli eventi senza capirne il significato.
5-7 Ma uno degli anziani rassicura Giovanni: il Leone della tribù di Giuda ha vinto e potrà
aprire il Libro e i suoi sette sigilli; ecco la Novità, l’inedito, la profezia messianica. Cristo
vincerà, dunque bisogna aspettarsi la venuta di qualcuno forte e vincitore, un leone nobile e
potente.
Ma in mezzo alle 4 creature viventi (i 4 evangelisti) e ai 24 anziani (simboli del nuovo e del
vecchio Testamento – 12 gli apostoli e 12 le tribù di Israele), ecco che appare la visione
dell’Agnello. Il Leone è dunque l’Agnello: di nuovo la profezia messianica secondo la quale il
Leone e l’Agnello pascoleranno insieme. L’Agnello è in piedi, vivente, e vince perché dà la vita
sulla Croce, si mette in gioco, dà energia, continuità e futuro. L’Agnello ha 7 corna, simbolo di
energia e potenza, e 7 occhi, simbolo di attenzione e concentrazione; essi rappresentano i 7 spiriti
di Dio, fonte della multiforme sapienza di Dio partecipata all’Uomo. L’Agnello giunge e prende
il Libro dalla destra di Colui che è seduto sul Trono; l’Agnello, dunque riceve il dono del Libro
dal Padre, unico ad averlo e a conoscerlo, e nello stesso tempo é “datore” perché offre la vita
riscattando l’umanità.
8-10 I quattro Viventi, simbolo degli Evangelisti, sono attenti e liberi, rappresentano la Corte
celeste che esercita la mediazione tra Dio e la Chiesa; insieme ai 24 anziani si prostrano davanti
all’Agnello e offrono le coppe delle preghiere dei Santi, i loro desideri, che costituiscono il
grande movente della Storia. Cantano un canto nuovo, diverso da quello di prima; ancora il senso
del cambiamento. E il loro canto dice che l’Agnello è degno, cioè capace di aprire i sigilli del
Libro. Siamo al punto di svolta che segna un destino: si sta preparando un Regno sacerdotale, in
cui ciascuno di noi, attraverso il Battesimo, assume il suo compito e diventa strumento di
salvezza; ancora una volta il richiamo ad uscire dai pantani dell’egoismo e a diventare
protagonisti di un mondo nuovo.
11-14 Gli angeli e tutte le creature riconoscono all’Agnello 7 attributi: la potenza, la ricchezza,
la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode e introducono una grande liturgia del Cielo e
della Terra.
Spunti di riflessione:
- nella continua cronaca dell’effimero da cui siamo circondati, in cui sacro e profano si
confondono creando in noi tanto disordine, (pensiamo agli “influencer”, agli algoritmi di
cui è intrisa la tecnologia che condiziona la nostra vita) riusciamo a riportare al cuore la
trama che si nasconde sotto la superficie?
- Riusciamo a trovare quel qualcosa che riscatta il destino dell’uomo?
- Riusciamo ad essere parte del regno di sacerdoti e a dare, come offerta, un senso nuovo e
diverso alla nostra vita?
II PARTE
La Parola di oggi è profetica rispetto alla Storia che stiamo vivendo, in particolare nella terra
d’Israele e in tutte le terre in guerra. E noi, perché ci siamo? Dobbiamo cercare di purificare le
nostre immagini, sostituendole con quelle dell’Apocalisse, che vengono dal Signore e ci
riconducono a Lui.
In Ap. 5 tutto è sottomesso e inquadrato nella Parola di Dio. Ricordiamo che in Ap. 4, 1, nella
grande liturgia di Dio, si vede una “porta aperta nel cielo”. Tutti noi siamo chiamati a salire; i 24
Vegliardi rappresentano coloro che hanno camminato con Dio e le quattro Creature Viventi
simboleggiano tutto il Cosmo. Il pianto di Giovanni è il pianto di tutta l’umanità, il pianto degli
innocenti per le guerre, le distruzioni, le sofferenze, le guerre insensate.
Ma attualizzando la visione profetica dell’Apocalisse, e riconoscendo le differenze che
confliggono, che non si accettano, e che dovrebbero invece essere riconosciute come ricchezze,
sforziamoci di riunirci tutti nell’unica e sola Liturgia di Dio; cerchiamo di non schierarci dall’una
o dall’altra parte, se non da quella di Dio. Cerchiamo di mettere a tacere le ideologie,
poniamoci dal solo punto di vista delle vittime, dei bambini innocenti, in particolare, e andiamo
nella direzione della PACE.
Sfuggiamo, insomma, alla disumanizzazione e guardiamo “l’altro” non come un nemico, ma
come un essere umano e un fratello.

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Lectio Divina
Ap. 6,1-17
1E vidi, quando l'Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, e udii il primo
dei quattro esseri viventi che diceva come con voce di tuono: "Vieni". 2E
vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli
fu data una corona ed egli uscì vittorioso per vincere ancora. 3Quando
l'Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che
diceva: "Vieni". 4Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che
lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra e di far sì che
si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande
spada. 5Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente
che diceva: "Vieni". E vidi: ecco, un cavallo nero. Colui che lo
cavalcava aveva una bilancia in mano. 6E udii come una voce in mezzo
ai quattro esseri viventi, che diceva: "Una misura di grano per un
denaro, e tre misure d'orzo per un denaro! Olio e vino non siano
toccati". 7Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto
essere vivente che diceva: "Vieni". 8E vidi: ecco, un cavallo verde.
Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli inferi lo seguivano. Fu
dato loro potere sopra un quarto della terra, per sterminare con la
spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra. 9Quando
l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che
furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che
gli avevano reso. 10E gridarono a gran voce: "Fino a quando, Sovrano,
tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il
nostro sangue contro gli abitanti della terra?". 11Allora venne data a
ciascuno di loro una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora
un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e
dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro. 12E vidi, quando
l'Agnello aprì il sesto sigillo, e vi fu un violento terremoto. Il sole
divenne nero come un sacco di crine, la luna diventò tutta simile a
sangue, 13le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come un
albero di fichi, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i frutti non ancora
maturi. 14Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e
le isole furono smossi dal loro posto. 15Allora i re della terra e i grandi,
i comandanti, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si
nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; 16e dicevano ai
monti e alle rupi: " Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di
Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, 17perché è venuto il
grande giorno della loro ira, e chi può resistervi?".

Ap. 8,1-2
1Quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per
circa mezz'ora. 2E vidi i sette angeli che stanno davanti a Dio, e a loro
furono date sette trombe.

Dalla morte alla preghiera dei santi – “E vidi:ecco un cavallo nero”

I parte (Ap.6.1-17)
Riprendiamo il tema dei sette sigilli: abbiamo ormai tutti gli elementi, la Storia è nelle mani di
Dio, ma gli uomini devono fare le scelte giuste. Evochiamo per esempio la vicenda di Davide e
Saul nella quale contro il parere di tutti, Davide fa la scelta di non uccidere Saul e di rispettarlo.
Quindi tutto dipende, nell’immediatezza della decisione da prendere, dal fatto che la scelta da noi
operata sia secondo lo spirito di Dio.
L’Apocalisse ci parla di catastrofi e di possibili crolli delle ideologie. Ci dice, in sostanza che gli
orgogliosi di tutti i tempi hanno i piedi di argilla e che una piccola pietra, un imprevisto, può far
crollare i colossi.
Siamo profeti se capiamo il bene che si nasconde dietro il male.
I primi 4 sigilli ricordano lo schema di Zaccaria 6, 1-8; il ritmo è veloce, ed il numero 4 indica la
totalità, le dimensioni dello spazio e del tempo. Cavalli e cavalieri simboleggiano le forze del
cielo e le forze della terra; il cavallo, nella Scrittura, è simbolo delle forze che attraversano la
Storia, forze più potenti dell’Uomo, e l’Uomo può agire in maniera positiva o negativa. In altre
parole Dio permette il Bene ed il Male, che non sono assoluti, perché entrambi consentono
all’Uomo di procedere nella Storia.
Gesù rompe i sigilli, ma chiama noi, gli uomini, a vedere fin dove possiamo arrivare.
Viene seguito uno schema:
- apertura del sigillo da parte dell’Agnello
- voce di tuono dell’Essere Vivente che dice “Vieni”
- Vidi…
Ci sono delle difficoltà dovute alle diverse interpretazioni esegetiche;
Giovanni (e con Lui tutti gli uomini) è chiamato …”Vieni” per avvicinarsi e capire cosa
succede;
il primo cavaliere ad apparire, all’apertura dei sigilli, è quello che cavalca il cavallo bianco.
Viene descritto con un arco in mano e una corona in testa: questa immagine è una delle più
controverse; secondo alcuni sarebbe Dio stesso, secondo altri potrebbe rappresentare
l’Anticristo, la menzogna, ciò che inganna l’uomo e porta guerre, carestia e distruzione.
Il secondo cavaliere è in sella ad un cavallo rosso ed ha una grossa spada in mano:
rappresenta la violenza dei grandi carnefici, non solo militare ma in senso generale.
Il terzo è un cavallo nero, simbolo di fame, carestia e morte e colui che lo cavalca ha una
bilancia in mano, mentre una voce in mezzo ai quattro viventi indica le misure di orzo e
frumento per un denaro che doveva servire a sfamare un’intera famiglia per una giornata,
laddove invece vino e olio restano “non danneggiati”; è una metafora dell’ingiustizia sociale
e del sistema che lascia indenni i ricchi, a scapito dei più poveri.
Il quarto è un cavallo verdastro, colore della malattia, della peste che porta alla Morte, così si
chiama il cavaliere da cui è cavalcato: si tratta di quella religiosità che dà per scontata la
salvezza, alimentando false speranze; dobbiamo sempre dare la priorità a Cristo.
I quattro cavalieri rappresentano l’umanità che potrebbe operare verso il Bene e invece va in
un’altra direzione: è pronta a schiacciare “l’altro” e a procedere in questo modo, fino ad
arrivare alla fine del mondo. Ma essi hanno un limite, potranno distruggere con la fame, la
morte e la violenza soltanto un quarto della Terra.

Ecco gli interrogativi:
- Noi riconosciamo i personaggi della Storia che sono andati verso il Bene?
- E riconosciamo coloro che fanno il Bene nella nostra vita?
All’apertura del quinto sigillo si odono le voci e si vedono sotto l’altare, le anime di coloro che
hanno pagato col martirio la fedeltà a Dio. Le voci chiedono giustizia, chiedono che il loro
sangue versato sia vendicato. A ciascuno viene data una veste candida, è l’amore di Dio che,
superando ogni limite, li fa crescere. Dio li sente.
- ma noi? Di quante guerre dimenticate non ci interessiamo? I libri di storia ci raccontano
le guerre dal punto di vista dei loro vincitori; nei Libri di Dio, invece, si parla sempre e
soltanto dei perdenti (es. Sap. 3. 1-8).
I Santi chiedono: “Fino a quando aspetterai, o Signore..” come nei Salmi di lamentazione. I
martiri chiedono a Dio che riprenda in mano la Storia, ma la Giustizia deve “pazientare”. (In
origine questa parola significa “patire”, sopportare rimandando la propria reazione), è una
qualità della fede ed indica la capacità di accogliere l’incompiutezza.
Da un lato la forza del Male, dall’altro il Bene, che è molto più potente, ma l’Uomo deve
rispondere alla chiamata del sangue dei Martiri e mostrare il suo spirito, la sua qualità di vita,
colmare l’ingiustizia prima che Dio intervenga. La risposta è all’apertura del sesto sigillo:
nel passo, profetico, abbiamo un terremoto, che indica il verificarsi di una situazione di squilibrio
rispetto al compito affidato all’Uomo in origine, quello di custodire il Creato.
Il Cielo si ritira come una pergamena che si arrotola, torna su se stesso; 7 categorie umane, i re
della Terra, i grandi, i generali, i ricchi, i potenti, ogni schiavo ed ogni uomo libero, tutti hanno
paura e si nascondono; siamo chiamati dunque a scegliere. Dio lascia parlare le fragilità mentre
le potenze si ritraggono. A noi, Cristiani, è chiesto di alzare il capo; noi dobbiamo veder rotolare
la pietra del sepolcro, dobbiamo scegliere come poter riscrivere la Storia volgendo il nostro
sguardo alle vittime.

II parte (Ap. 8.1-2)
All’apertura del settimo sigillo si fa un grande silenzio, è quello che precede il grande giorno di
Jahvé e indica un momento di attenzione e di ascolto della preghiera dei Santi, è il breve
intervallo di tempo – circa mezz’ora - che serve a portare fuori il Male.
E dopo?
Citiamo il Salmo 84, “Misericordia e Verità s’incontreranno, Giustizia e Pace si baceranno.
La Verità germoglierà dalla Terra e la Giustizia si affaccerà dal Cielo”

Riflessione conclusiva
I cavalli, queste forze che attraversano la Storia e che ci travolgono sono il potere politico, quello
economico, le malattie, la morte, le guerre sempre più amplificate …
L’uomo è piccolo, inerme ed inadeguato di fronte a giochi più grandi di lui.
Ma dobbiamo capire che la destrutturazione è indispensabile al cambiamento, serve per passare
sull’altra riva avvalendoci della nostra coscienza, del nostro spazio segreto di libertà.
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Lectio Divina
Ap. 7, 1-17
1Dopo questo vidi quattro angeli, che stavano ai quattro angoli della
terra e trattenevano i quattro venti, perché non soffiasse vento sulla
terra, né sul mare, né su alcuna pianta. 2E vidi salire dall'oriente un
altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai
quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il
mare: 3"Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non
avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio". 4E udii
il numero di coloro che furono segnati con il sigillo:
centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli
d'Israele: 5dalla tribù di Giuda, dodicimila segnati con il sigillo; dalla
tribù di Ruben, dodicimila; dalla tribù di Gad, dodicimila; 6dalla tribù
di Aser, dodicimila; dalla tribù di Nèftali, dodicimila; dalla tribù di
Manasse, dodicimila; 7dalla tribù di Simeone, dodicimila; dalla tribù di
Levi, dodicimila; dalla tribù di Ìssacar, dodicimila; 8dalla tribù di
Zàbulon, dodicimila; dalla tribù di Giuseppe, dodicimila; dalla tribù di
Beniamino, dodicimila segnati con il sigillo. 9Dopo queste cose vidi:
ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni
nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e
davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma
nelle loro mani. 10E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al
nostro Dio, seduto sul trono, e all'Agnello". 11E tutti gli angeli stavano
attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si
inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio
dicendo: 12"Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore,
potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen". 13Uno degli
anziani allora si rivolse a me e disse: "Questi, che sono vestiti di
bianco, chi sono e da dove vengono?". 14Gli risposi: "Signore mio, tu lo
sai". E lui: "Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che
hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue
dell'Agnello. 15Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano
servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono
stenderà la sua tenda sopra di loro. 16Non avranno più fame né avranno
più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, 17perché l'Agnello, che
sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle
acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi ".


La moltitudine delle genti – “E udii il numero di coloro che erano segnati”
Il brano si può scomporre in due sezioni: V. 1-8 e V. 9-17; entrambi iniziano con le parole
“dopo ciò…”

I PARTE
Dopo i primi sigilli che limitavano la comprensione, qui abbiamo un sigillo positivo, che
proviene dall’oriente, dove sorge il sole, ci parla dell’origine dell’uomo, lo definisce, non parla
solo della storia. E’ quello di cui abbiamo bisogno, per essere in pace dobbiamo trovare il fine.
Sono in gioco quattro angeli che si trovano ai poli, agli angoli, sono le sentinelle di tutto e
rappresentano la globalità. Trattengono i quattro venti che porteranno devastazione sulla terra:
questo mondo ha necessità di essere sconvolto, senza destrutturazione non è possibile ricostruire,
non bastano gli aggiustamenti, serve radicalità.
Il quinto angelo è invece benefico, porta il sigillo del Dio vivente e salva; viene da dove sorge il
sole; è un riferimento alle nostre origini che continuiamo a cercare, a ciò che ci definisce, non
riuscendo a trovare pace finché non scopriamo il senso, la ragione della nostra esistenza.
L’angelo grida a gran voce “non devastate!” e infatti non tutto sarà distrutto, una quota parte
verrà salvata; ci sarà una tregua fino a che non sarà impresso il sigillo sulla fronte dei servi del
nostro Dio: è un segno di speranza, nella perdita del sistema non tutto è destinato a finire.
Abbiamo l’indicazione di 144mila segnati con il sigillo: sono i giusti del popolo d’Israele, diviso
nelle aggregazioni etniche delle 12 tribù. Esse richiamano la totalità, la perfezione del tutto di cui
siamo diventati parte attraverso il Battesimo.
Il sigillo rappresenta la possibilità di salvezza che è offerta a tutti: il sigillo che esprime il
concetto di qualcosa di riservato a una parte, in realtà è per tutti; é simbolo della signoria di Dio
sul tutto, perché Egli è autore della vita, è anima della storia.
E’ un segno come lo era il marchio impresso dal Signore su Caino per preservarlo ed impedire
che fosse ucciso; allo stesso modo il sangue dell’agnello messo sulla porta, nel libro dell’Esodo
per far passare oltre l’angelo sterminatore, o ancora, il cordone scarlatto appeso alla finestra per
salvarsi nell’assedio di Gerico.
Pensiamo a tutti i segni di cui è piena la nostra vita e che, quando sono negativi costituiscono
uno stigma; spesso assistiamo alla grande e oggettiva fatica di tanti per non essere etichettati, gli
haters dominano…Questi simboli di oggi, i loghi, le griffes costituiscono tutti, segni che non ci
personalizzano, anzi generano confusione culturale, creano un bricolage spirituale, un misto tra
sacro e profano, una fluidità religiosa impropria; non si mette infatti in evidenza che l’unico
segno distintivo per il cristiano è la croce.
Dunque il sigillo di Dio testimonia che qualcuno si prende cura di noi e ci dà valore, segna il
nostro destino e indica appartenenza; arriva un momento prima dello sconvolgimento, nel tempo
di un respiro, come un’ancora di salvataggio, prima della distruzione.

II PARTE
Si apre una speranza davanti a noi; il male non ci sarà più perché l’Agnello sarà il pastore di
questa moltitudine che sarà guidata alla fonte della vita. Non sarà possibile contare di quanti
esseri umani si stia parlando, qua non vale la logica del calcolo, che esclude e preferisce. Qua si
parla di totalità, la salvezza è per tutti; come ha più volte sottolineato il papa: “tutti, tutti…”,
tutti devono essere accolti, indipendentemente dalla razza, dalla nazione, dalla lingua, dall’etnia,
dalla cultura. Eppure oggi, nell’era della globalizzazione facciamo fatica ad essere inclusivi,
spesso andiamo nella direzione della disgregazione anziché verso l’unità.
Questa folla immensa, che proviene da ogni dove, ha una postura eretta; sta dritta in piedi
davanti all’Agnello, non è prostrata; ricordiamo che il verbo della Pasqua è “Alzati!”
Tutte queste persone hanno un abito bianco e palme nelle mani, simbolo di martirio. Gridano a
gran voce affermando con forza che la salvezza appartiene a Dio; Lui non castiga ma salva. Il
loro grido corrisponde e conferma l’Osanna del Salmo 118 “Salvaci!” .
La nostra vita è questo: un grande bisogno di sostegno, di aiuto.
L’Agnello davanti al quale si trova la moltitudine ha sette aspetti, alcuni divini, la sapienza, la
forza e la potenza e altri umani, la lode, la gloria, l’onore e il ringraziamento.
Le tuniche sono oggetto della domanda di uno degli anziani a Giovanni: chiede chi sono le
persone vestite di bianco e da dove vengono; l’interrogativo ci porta quindi ad una riflessione
sulle nostre origini: l’uomo si definisce, in filosofia, non a partire da sé stesso ma dall’altro, che
gli fa da specchio. Per questo Giovanni rimanda la domanda e dice “Tu lo sai”; il senso è che si
tratta di una Rivelazione, non possiamo determinare noi stessi.
La risposta è che quella moltitudine umana ha vissuto la grande tribolazione: è la vita, la via
stretta che dobbiamo percorrere, le nostre battaglie; il sangue dell’agnello rende bianche le vesti
in una sorta di trasfigurazione e la tenda di Dio, la Sua protezione, la Sua salvezza viene stesa su
tutti; tutti insomma diventiamo sede di grazia e non esseri persi nel nulla. Nessuno sarà più
mosso dal bisogno, i limiti saranno superati e sarà ritrovata la felicità.

Interrogativi conclusivi:
- Meglio sogni incerti o segni certi?
- La vita è crisi, ma proprio per questo è scelta; pensiamo ad una rotonda con diverse
uscite: dobbiamo sceglierne una; ciò che ci determina è fare scelte; e la scelta rappresenta
una speranza, una via d’uscita.
- Qual è il tuo destino?
Il cammino ti rende diverso da quello che eri quando sei partito, proprio perché nel
cammino fai delle scelte.

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Lectio Divina
Ap. 10, 1-11
1E vidi un altro angelo, possente, discendere dal cielo, avvolto in una
nube; l'arcobaleno era sul suo capo e il suo volto era come il sole e le
sue gambe come colonne di fuoco. 2Nella mano teneva un piccolo libro
aperto. Avendo posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla
terra, 3gridò a gran voce come leone che ruggisce. E quando ebbe
gridato, i sette tuoni fecero udire la loro voce. 4Dopo che i sette tuoni
ebbero fatto udire la loro voce, io ero pronto a scrivere, quando udii
una voce dal cielo che diceva: "Metti sotto sigillo quello che hanno
detto i sette tuoni e non scriverlo". 5Allora l'angelo, che avevo visto con
un piede sul mare e un piede sulla terra, alzò la destra verso il cielo 6e
giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli, che ha creato cielo, terra,
mare e quanto è in essi: "Non vi sarà più tempo! 7Nei giorni in cui il
settimo angelo farà udire la sua voce e suonerà la tromba, allora si
compirà il mistero di Dio, come egli aveva annunciato ai suoi servi, i
profeti". 8Poi la voce che avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo: "Va',
prendi il libro aperto dalla mano dell'angelo che sta in piedi sul mare e
sulla terra". 9Allora mi avvicinai all'angelo e lo pregai di darmi il
piccolo libro. Ed egli mi disse: "Prendilo e divoralo; ti riempirà di
amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele". 10Presi
quel piccolo libro dalla mano dell'angelo e lo divorai; in bocca lo sentii
dolce come il miele, ma come l'ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere
tutta l'amarezza. 11Allora mi fu detto: "Devi profetizzare ancora su
molti popoli, nazioni, lingue e re".

Il libro aperto – “Io ero pronto a scrivere”

Mentre nei capitoli precedenti si scatenano le forze del male, i capitoli 10 e 11 vedono il
compimento teologico del piano di Dio.
Nel brano si odono sette tuoni e dialogano tre personaggi:
un angelo potente, Giovanni Evangelista e una voce possente.
Anche qui come in Apocalisse in generale, si uniscono passato e futuro nel presente di Dio.
Il Libro è pieno di simboli; anche gli uomini sono animali “simbolici”; il nostro modo di
alimentarci e di vestirci, la nostra gestualità…questi sono tutti simboli di noi stessi.
Non dobbiamo sentirci smarriti di fronte ai simboli dell’Apocalisse, ma accoglierli, interpretarli e
comprenderli; la lettura di Apocalisse è per noi esercizio di pazienza, sia nel senso di capire Dio
che in quello di accettare la nostra vita e di superarne le difficoltà.
Il brano è incentrato su tre quesiti che rimangono aperti:
- l’angelo parla del compimento del mistero di Dio, che però non vediamo e non
comprendiamo;
- viene dato a Giovanni un libricino;
- Giovanni deve continuare a profetizzare.
Distinguiamo due parti: nei versetti da 1 a 7 c’è l’annuncio dell’Angelo; Giovanni vede un
angelo potente che scende dalle nubi; si presenta in modo diverso rispetto al nostro modo di
immaginare un angelo, ha gambe che sembrano due colonne di fuoco ed è portatore del
messaggio di Dio; molti sono i richiami ad altri passaggi delle Scritture:
Mt. 26,64: “…Gesù rispose al sommo sacerdote: Tu l’hai detto; anzi vi dico che da ora in
poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nuvole del
cielo”;
Gn. 9,14: “E quando io radunerò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, allora mi
ricorderò della mia alleanza, che è tra me e voi e ogni essere vivente in qualsiasi carne….
Mt. 17,2: “E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia risplendette come il sole e i suoi
vestiti divennero candidi come la luce.
Ne. 9,19: “…la colonna di fuoco non ha cessato di rischiarare loro la strada su cui
camminavano di notte.”
Os. 11,10: “Essi seguiranno il Signore: egli ruggirà come un leone, si, egli ruggirà e
accorreranno i suoi figli dall’occidente”.

Si sottolinea la diversità rispetto alla profezia contenuta nell’Antico Testamento, secondo la
quale dal Monte degli Ulivi inizieranno a sorgere tutti i morti alla fine dei tempi, per
accogliere il ritorno di Gesù. “In quel giorno i suoi piedi si poseranno sopra il Monte degli
Ulivi…”.
L’altra differenza è che le gambe dell’Angelo sono l’una poggiata sulla terra e l’altra sul
mare. E’ un messaggero cosmico, totale, un garante della parola di Dio, è Gesù glorioso:
E che cos’è il piccolo libro? Non è altro che il Vangelo, la Bibbia senza l’Antico
Testamento; si tratta di un libricino aperto, che si legge facilmente, non è misterioso, è la
storia di Dio.
I tuoni rappresentano il mistero di Dio; erano molto temuti dagli Ebrei ed esprimono, in un
certo senso, la “sigla” di Dio; I sette tuoni, solenni, che si odono dopo che l’angelo ha
gridato a gran voce, sono un messaggio di Dio.
E quando i sette tuoni iniziano a parlare, Giovanni si accinge a scrivere ma una voce dal cielo
chiede di sigillare le cose dette dai sette tuoni e di non metterle per iscritto; esse debbono
restare misteriose.
Ciò a significare che la rivelazione per il cristiano è data unicamente dal Vangelo e
nient’altro.
Le rivelazioni private, che pure ci sono, servono a farci capire meglio il Vangelo e solo in
questo senso vanno intese, perché la sola rivelazione che va seguita é, appunto, il Vangelo.
Il Vangelo è Cristo stesso che scende nel nostro cuore; tant’è che il sacerdote durante la
liturgia bacia il Libro e l’altare, esprimendo proprio in questo modo l’amore verso Cristo e
simboleggiando tutto la cura ed il riguardo con cui la Parola deve essere portata alla bocca.
E su questa lettura rispettosa del Vangelo dobbiamo riflettere: il Cristianesimo non va
manipolato, non devono essere estrapolate frasi per proiettare le nostre idee, per veicolare
ciò che ci fa comodo; non dobbiamo degenerare e adorare il vitello d’oro come gli Ebrei
dell’Antico Testamento.
A questo punto dobbiamo porci delle domande:
e il nostro Cristianesimo com’è?

Devozionismo? È un fatto di educazione? E’ una questione antropologica?
Nei versetti da 8 a 11 c’è il discorso di Dio, la voce dal cielo; viene chiesto a Giovanni di
prendere il Libro dalle mani dell’Angelo, in libertà. Giovanni si avvicina e prega l’Angelo di
dargli il Libretto; ci immedesimiamo nella scena: dobbiamo pregare per avere la Buona
Novella, non possiamo pretenderla, ci viene donata. A Giovanni viene chiesto di divorare il
Libro, cosi come era stato chiesto ad Ezechiele (Ez. 3,1) di mangiare il rotolo scritto prima di
parlare alla casa d’Israele.
Il Libro va desiderato, gustato ed assimilato; esso vive dentro di noi e ci fa crescere; una
volta che lo abbiamo assaporato abbiamo l’obbligo di condividerlo e diffonderlo.
Il Libro, dolce in bocca come miele, perché ricevuto con gioia, diventa amaro nelle viscere..
Questo miele, simbolo di sapienza e resurrezione, una volta assimilato, produce sofferenza ,
è difficile da mettere in pratica: ti obbliga a “porgere l’altra guancia”, ad “andare come
agnelli in mezzo ai lupi”, ti chiede di amare i nemici; anche per Gesù è stato fonte di
grandissima sofferenza e patimento.
Il Libro ci chiede pace, amore, perdono, fiducia anche quando siamo nel Getsemani, il luogo
dove si prospetta la Passione, anche quando abbiamo perso tutto come la vedova di Nain e ci
troviamo nella più grande sofferenza e difficoltà.
Pensiamo a ciò che dice il nostro Papa Francesco, a quante critiche gli vengono mosse per i
suoi discorsi franchi sulle guerre.
A Giovanni viene chiesto di profetizzare e questo causerà amarezza, fatica di vivere, quella
fatica che abilita all’annuncio del Vangelo; è proprio questo il modo in cui deve essere fatta
la testimonianza cristiana.
Del resto se Gesù ha convertito Paolo, tutti, popoli e nazioni, possono essere convertiti; con
il piccolo Libro è possibile e le strade da seguire sono la condivisione, la non violenza, il
dialogo, la giustizia, la pace, la vera libertà, il rispetto delle diversità; tutte strade in salita,
faticose, strade contro-corrente, che ci mettono in gioco, ci costringono a smascherare le
nostre falsità, nulla di facile in questa nostra società dove il valore del denaro prevale su tutto
il resto.
Questa visione apocalittica, non negativa ma orientata alla ricerca, alla speranza che ci sia
rivelato qualcosa, cambia la nostra vita, ci offre ciò che manca, ci dà vita, consolazione, ma
nello stesso tempo ci spinge, ci sollecita, e in un certo senso ci tormenta.
Riflessioni conclusive:
- il contrasto tra la dolcezza e l’amarezza ci ricorda in qualche modo il percorso delle
storie d’amore; anche per un uomo della Parola, la sensazione è che all’inizio le persone
siano attratte ed ascoltino con interesse la novità, poi però subentra il disincanto;
dobbiamo considerare ciò Grazia di Dio e subire questo giudizio; dobbiamo essere capaci
di accettare i due aspetti e riuscire a trovare un equilibrio¸ dobbiamo comprendere che
l’amarezza è occasione di crescita, ci serve per imparare ad amare la verità e non restare
nell’illusione, per capire chi siamo veramente;
- mangiare il Libro è ciò a cui siamo chiamati ogni giorno nell’Eucarestia; non è solo una
questione di parole, dobbiamo trasformare in azione le nostre buone intenzioni, dobbiamo
assumere la Parola e trasformarla in carne, farla diventare parte di noi, non rimanere a
distanza. Nello stesso tempo avviene il processo inverso: la Parola fa di noi un libro
aperto, ci impone trasparenza, assenza di qualsiasi maschera e postura.

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Lectio Divina
Ap. 12, 1-18
1Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna
sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. 2Era incinta, e gridava
per le doglie e il travaglio del parto. 3Allora apparve un altro segno nel cielo:
un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette
diademi; 4la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava
sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo
da divorare il bambino appena lo avesse partorito. 5 Essa partorì un figlio
maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio
fu rapito verso Dio e verso il suo trono. 6La donna invece fuggì nel deserto,
dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per
milleduecentosessanta giorni. 7Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i
suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi
angeli, 8ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. 9E il grande
drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce
tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi
angeli. 10Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: "Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché
è stato precipitato l'accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti
al nostro Dio giorno e notte. 11Ma essi lo hanno vinto grazie al sangue
dell'Agnello e alla parola della loro testimonianza, e non hanno amato la loro
vita fino a morire. 12 Esultate, dunque, o cieli e voi che abitate in essi. Ma guai
a voi, terra e mare, perché il diavolo è disceso sopra di voi pieno di grande
furore, sapendo che gli resta poco tempo". 13 Quando il drago si vide
precipitato sulla terra, si mise a perseguitare la donna che aveva partorito il
figlio maschio. 14Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila,
perché volasse nel deserto verso il proprio rifugio, dove viene nutrita per un
tempo, due tempi e la metà di un tempo, lontano dal serpente. 15Allora il
serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d'acqua dietro alla donna, per
farla travolgere dalle sue acque. 16Ma la terra venne in soccorso alla donna:
aprì la sua bocca e inghiottì il fiume che il drago aveva vomitato dalla propria
bocca. 17Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a fare guerra
contro il resto della sua discendenza, contro quelli che custodiscono i
comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù. 18E si
appostò sulla spiaggia del mare.

Il segno grandioso – “Era incinta e gridava”

Si tratta di una lectio composita, basata sull’intero capitolo 12 dell’Apocalisse, iniziando però da
un passo molto bello, Marco 5, 1-20 dedicato alla guarigione di un uomo posseduto da spiriti
immondi e ambientato nella regione dei Geraseni, in vista delle alture del Golan, oltre Israele,
verso nord-est.
Ma prima ancora ci interessano i motivi dell’azione di Gesù descritti al capitolo 5 di Marco, che
risalgono a tutto ciò che precede: la tempesta sedata nella notte, Gesù che cammina sulle acque,
Gesù che moltiplica i pani, Gesù che spiega ai discepoli, in privato, ogni cosa, mentre essi non
capiscono, Gesù che ragiona sul fatto che Egli si preoccupa di provvedere alla vita dei suoi
ricordando che sono rimaste ancora ben dodici ceste piene di pani e di pesci.
Introduciamo dunque il passo dell’Apocalisse intorno a questi momenti, con una sequenza che
parte da una domanda:
dov’è il male? Ciò perché noi siamo tentati, sempre, di immaginare che il male sia nell’altro,
facciamo tutte le nostre proiezioni per distinguerci dal male, siamo molto bravi a giudicare per
sottrarci ad ogni responsabilità, ma la ragione, ad esempio, per cui abbiamo così paura delle serpi
è dovuta al fatto che esse si insinuano dentro di noi, al di là del nostro controllo e con grande
velocità.
Tutto ciò costituisce un grande cruccio per noi; come dice l’Antico Testamento “il peccato è
accovacciato alla nostra porta”, non è molto distante, fa parte di ciò che siamo chiamati a
combattere e che ci spinge, come dice il nostro Papa Francesco, a non stare fermi sul divano
della Storia; se vogliamo un mondo diverso dobbiamo uscire dalla condizione della comodità e
metterci in gioco.
Nella sequenza del Vangelo di Marco richiamata, succede, ad un certo punto, durante la notte,
sulla barca, che i discepoli, in preda al panico fanno a Gesù, mentre Egli dorme, la domanda che
ci interessa: “Maestro, non ti importa che moriamo?” Gesù si alza, placa il vento e la tempesta
con una parola: “Taci, calmati!”
La domanda dei discepoli è la chiave di soluzione all’ansia presente in quel Vangelo e
nell’Apocalisse, ad essa Gesù risponde che gli importa che l’uomo muoia, che Lui è venuto
proprio perché l’uomo non trovi la morte ma la vita e possa coltivare davanti a sé la speranza di
vivere, non la depressione di chi trova la morte.
L’indemoniato di Gerasa, che Gesù guarisce, è infatti uno che è morto, proprio visivamente è tra
i sepolcri, abita la morte, è nel luogo dove non c’è vita, non è in grado di avere relazioni con gli
altri e con sé stesso, grida, si percuote, non riesce a comunicare, è incapace di contatto e di
amore, è un morto e per questo il sepolcro è la sua dimora.
Negli ultimi giorni Padre Gianni ha inoltrato il video del funerale a Enzo Leone, a Napoli, ed il
parroco dice alla gente: ”il morto non è lui, siete voi!” Siamo noi, i morti che girano per strada.
Gesù guarisce quest’uomo, non tanto per guarire un uomo in più; il suo è un gesto profetico con
il quale ci libera dalla nostra paura originale della morte, la esorcizza.
Tutto ciò che Dio ci dà, fede compresa, è dono; noi non siamo costretti alla morte, Lui è autore
della Vita, e ha potere anche sulla morte, sulle forze ostili che l’uomo non riesce a controllare;
non esiste alcuna forza che possa resistere al Dio della vita, neppure la morte che Egli
sconfiggerà con la sua Resurrezione.
Con questa fede possiamo ora avvicinarci al passo che ci parla dello sconvolgimento che c’è
nella storia, nel cosmo, nel cielo, sulla terra dove vengono precipitate perfino le stelle; alla fine
però la donna prevarrà.
Nella Scrittura è presente un vocabolo con la radice aramaica BRK che ha a che fare con
“benedizione”, “creazione”; incontriamo questa radice tre volte: la prima volta in Genesi quando
si dice che Dio “creò” il cielo e la terra e continua a creare il Sole, le stelle…; la seconda volta
quando ci parla della Resurrezione, e ci dice che Dio fa una cosa nuova, il Figlio è concreatore e
corredentore; la terza volta nel Salmo 50, quello che richiama la Confessione e dice “crea in me,
o Dio, un cuore nuovo”, come dire che la riconciliazione che Dio dona all’uomo è davvero un
rifacimento di ciò che siamo.
Potremmo chiamare questo passo di Apocalisse “L’incarnazione”, perché ha a che fare col
mistero essenziale della nostra fede, il fatto che da quando il Figlio è entrato nella storia e si è
fatto uomo, Dio ha scelto un’altra strada, quella della carne, e lo ha fatto davvero, nel senso che
non esiste Dio senza carne e non esiste una carne senza Dio, senza Infinito.

In un articolo di Denis Edwards sulla “Laudato Sì” e sulla “Laudate Deum” intitolato
“Incarnazione profonda: verso una teologia ecologica” si dice della grande intuizione di Papa
Francesco rivolta al recupero della parte terrena della nostra vita, nel senso che non dobbiamo
preoccuparci soltanto dello spiritualismo, come vorrebbe la cultura moderna, che cerca fantasmi
e non carne, non realtà; quello che ci manca è il quadro globale, la consapevolezza che nella
nostra vita tutto è connesso, soprattutto oggi; ci manca la capacità di vedere che quello che ci sta
davanti è un intero, ci manca la cornice, vediamo solo il dettaglio e ci fermiamo al limite della
spiaggia come accade allo spirito del male, senza vedere l’oltre.
In questa prospettiva in cui c’è la Creazione che continua e la Redenzione che ha portato il
Figlio, attraverso l’Incarnazione che lega questi due Misteri, noi andiamo verso ciò che
l’Apostolo chiama “ricapitolare tutto in Cristo”, verso il compimento, verso la Trasfigurazione;
dovremmo essere capaci oggi, soprattutto dal punto di vista culturale, di non fissarci
sull’antropocentrismo che ha coltivato molta parte della nostra coscienza del reale negli anni
precedenti, ma essere capaci di comprendere il Diocentrismo, in altre parole “l’organismo”, che è
di più dell’individuo, che è questa espressione collettiva della storia e del destino del mondo,
quel mondo in cui “il battito d’ali della farfalla, laggiù in Patagonia, porta conseguenze dall’altra
parte della Terra”.
Il capitolo 12 dell’Apocalisse è diviso in due parti: la prima, versetti da 1 a 6 ragiona dei segni,
messaggi da decifrare; ce ne sono quattro:
la donna, il drago, il figlio e il deserto;
la seconda parte, versetti da 7 a 18, ragiona della lotta; ci sono due lotte, una in cielo – versetti 7-
9 - tra Michele contro il drago e i suoi angeli, e una in terra, versetti 13-16, tra la donna e il
drago; in mezzo c’è un canto di vittoria che conosciamo bene “ora si è compiuta la salvezza..” ,
versetti 10-12, e, alla fine c’è una sorta di esito provvisorio di questo dramma cosmico che
abbiamo davanti.
Ci fermiamo velocemente sui quattro segni:
- la donna, - “segno grandioso” - versetti 1-2; “è vestita di sole” dunque illuminata, ha una
regalità espressa dalla corona con le dodici stelle, riferimento ai dodici apostoli e alle
dodici tribù; è signora della vicenda umana, ha la luna ai suoi piedi ed è variamente
identificata: è il popolo d’Israele, è la Santa Madre Chiesa, è la madre del Figlio, è
portatrice di vita perché incinta, grida, ed è la prima incarnazione;
- il drago – versetti 3-14 – “…apparve un altro segno”; il passo non dice “grandioso”, in
quanto il male c’è, dobbiamo riconoscere che esiste quel male che divora la vita e la
soffoca, ma il male è limitato, è semplicemente un altro segno; anch’esso ha un potere: le
dieci corna (i dieci regni), le sette corone (i sette governi), i sette diademi, espressione di
potenza, di pretesa e soprattutto il drago, precipita con la coda un terzo delle stelle del
cielo, togliendo i riferimenti dati da Dio con la Creazione, a garanzia dall’ansia
dell’incertezza. Con Noè Dio aveva fatto il Patto che il mare non avrebbe superato la
spiaggia e invece qui vengono precipitati i punti di riferimento, si fa il tentativo di
riportare la storia e il cosmo nel caos primordiale;
- il terzo segno è il Figlio “..diede alla luce un figlio maschio…”che il drago vorrebbe
divorare (versetti 4 e 5); il Figlio viene rapito, in alto, rappresenta il compimento della
storia, è destinato a governare tutte le nazioni, con lo scettro di ferro;
- ma intanto (versetto 6) è predisposto questo luogo di prova e di protezione che è il
deserto, per la donna, che è la Chiesa, il popolo santo di Dio. E’ un luogo preparato da
Dio, in cui c’è una salvezza, che ha un tempo, i 1260 giorni che hanno diverse
interpretazioni.
Facciamo attenzione ad un particolare che ci interessa: l’autore dell’Apocalisse prima mette
l’esito e poi racconterà la storia; è come se invece di fare un resoconto dall’inizio, raccontando in
successione i fatti accaduti, arrivassimo subito al dunque e dicessimo che le cose andranno bene.
E però cominciamo a leggere i fatti che stanno accadendo proprio alla luce della prospettiva
dell’esito. E’ esattamente il tema della liturgia di oggi (IV Domenica di Quaresima):
l’innalzamento del serpente vuol dire che c’è una prospettiva, c’è una speranza, e se fossimo
capaci di leggere la storia dal “dopo”, diremmo “grazie” invece di essere nell’angoscia.
Ritorniamo alla seconda parte, la lotta. Prima è in cielo (versetto 7), si sta leggendo in alto ciò
che è in corso in basso e questo movimento dall’alto in basso ci interessa: potremmo sentirci
sperduti soltanto nel dramma della terra ma dobbiamo sempre cercare il riferimento, che non è
tanto “alto” nel senso di superiore, ma nel senso di “prima”; dire che è in alto significa dire che è
indietro, che c’è stata già una lotta e che questa vita trova una sua origine anche in questo.
C’è l’angelo, Michele che esprime il fatto che solo Dio è Dio. Chi è come Dio? E’ protagonista
di una sconfitta che è già avvenuta: “non prevalsero e non ci fu più posto in cielo”. Lo dice in
anticipo, come dire: “Ce la faremo!” che non significa illudere.
Così può esserci il canto di vittoria dei versetti 10-12, che dà conto di questa salvezza, dove tutto
è al plurale “..noi…hanno vinto contro il drago..” e cosa importante, non siamo più soggetti
all’accusa, non dobbiamo dare motivo all’altro di accusarci, l’uomo non è denunciabile, cioè non
può essere messa in discussione la sua salvezza; il martirio di Cristo si fonda e si rende attuale
nella testimonianza dei suoi.

Ultimi due versetti (17-18) evidenziano due cose: da un lato il furore del drago, che non demorde
e va contro la discendenza della donna, lasciando in piedi questa dimensione epica, agonica della
vita, in cui non tutto è scontato e comodo; dall’altro lato il limite per il quale il drago si apposta
sulla spiaggia del mare e non può andare oltre: è un finale aperto, serve ancora un tempo a noi.
Riferimenti di interesse:
Gn. 3, 15 il protovangelo, la donna e il serpente;
Is. 7, 14 il passo tipicamente natalizio, la Madre del Re Messia;
Dn. 10, 13 la battaglia di Michele contro il male;
i Vangeli pasquali, perché la vera nascita non è quella di Betlemme, ma i dolori del parto sono
quelli della Pasqua.
Alcuni pensieri sul nemico, sull’avversario, sul drago, descritto in più modi: il serpente antico
che è stato precipitato, cioè allontanato, ma anche colui che divide, colui che mette in dubbio la
sincerità della fede, perché ciò che è in gioco, anche oggi, è la credibilità; ancora é descritto
come colui che seduce, che inganna, l’accusatore, l’avversario; se ne evidenzia la pericolosità, il
suo esserci provoca la libertà dell’uomo e lo induce all’ingiustizia e alla negatività.
Interessante la promessa di Gesù, le sue ultime parole ai discepoli, sul monte, Mt. 28, quando
dirà “ A me è stata data ogni autorità” a dire non c’è un potere più grande.
Ancora alcuni altri accenni ai protagonisti di questa storia:
1. La storia come un campo di battaglia; il tempo ormai si è fatto breve; Dio offre una via di
salvezza contro il male, che è sempre la stessa per Gesù e per i suoi; è questo ritrovare se
stessi attraverso l’essenziale, nella sobrietà;
2. Le due ali della grande aquila, Dt. 32 “Come un’aquila che veglia sulla sua nidiata, Egli
lo sollevò sulle sue ali”. Le due ali sono facilmente identificabili nella legge e i profeti di
cui all’episodio della Trasfigurazione;
3. La terra in cui si apre la voragine che divora il fiume d’acqua inviato dal drago, richiama
il Mar Rosso o anche gli tsunami, queste ondate di errore, di violenza, d’ingiustizia, che
attraversano la storia degli uomini ma che alla fine vengono assorbite;
4. Il travaglio del parto è questa nuova nascita spirituale alla quale il popolo eletto è
chiamato nelle sue incarnazioni.

Chiudiamo con un racconto, ovvero la lettura di una storia nel tempo e fuori del tempo, dove la
verità del tempo è una donna e dove il popolo viene cacciato nel deserto e non sarà mai
dominante, ma l’esito è quello degli angeli che cantano la vittoria dell’umanità; gli angeli
cantano l’uomo che è più dell’avversario e soprattutto accade che Dio non permette che il suo
popolo sia distrutto e venga meno.
Dunque una parola di garanzia, un orientamento, una direzione: essere capace di leggere gli
eventi é la nostra grande speranza che rimanE.


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Lectio Divina
Ap. 14, 1-13
1E vidi: ecco l'Agnello in piedi sul monte Sion, e insieme a lui
centoquarantaquattromila persone, che recavano scritto sulla fronte il
suo nome e il nome del Padre suo. 2E udii una voce che veniva dal cielo,
come un fragore di grandi acque e come un rimbombo di forte tuono.
La voce che udii era come quella di suonatori di cetra che si
accompagnano nel canto con le loro cetre. 3Essi cantano come un canto
nuovo davanti al trono e davanti ai quattro esseri viventi e agli anziani.
E nessuno poteva comprendere quel canto se non i
centoquarantaquattromila, i redenti della terra. 4Sono coloro che non si
sono contaminati con donne; sono vergini, infatti, e seguono l'Agnello
dovunque vada. Questi sono stati redenti tra gli uomini come primizie
per Dio e per l'Agnello. 5Non fu trovata menzogna sulla loro bocca :
sono senza macchia. 6E vidi un altro angelo che, volando nell'alto del
cielo, recava un vangelo eterno da annunciare agli abitanti della terra e
ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo. 7Egli diceva a gran voce:
"Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l'ora del suo giudizio.
Adorate colui che ha fatto il cielo e la terra, il mare e le sorgenti delle
acque". 8E un altro angelo, il secondo, lo seguì dicendo: "È caduta, è
caduta Babilonia la grande, quella che ha fatto bere a tutte le nazioni il
vino della sua sfrenata prostituzione". 9E un altro angelo, il terzo, li
seguì dicendo a gran voce: "Chiunque adora la bestia e la sua statua, e
ne riceve il marchio sulla fronte o sulla mano, 10anch'egli berrà il vino
dell'ira di Dio, che è versato puro nella coppa della sua ira, e sarà
torturato con fuoco e zolfo al cospetto degli angeli santi e
dell'Agnello. 11Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli, e
non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia e la sua
statua e chiunque riceve il marchio del suo nome". 12Qui sta la
perseveranza dei santi, che custodiscono i comandamenti di Dio e la
fede in Gesù. 13E udii una voce dal cielo che diceva: "Scrivi: d'ora in
poi, beati i morti che muoiono nel Signore. Sì - dice lo Spirito -, essi
riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono".

La compagnia dell’agnello – “E seguono l’agnello ovunque vada”

Intervento introduttivo
Iniziamo con alcune riflessioni di due autori.
Il primo, il sociologo Enzo Pace, nel libro di riferimento “Tra crisi e indifferenza. Un nuovo
paradigma del sacro?” ci parla di come oggi la fede si trasforma, e di come la gente che troviamo
ai nostri giorni in chiesa non è la stessa di dieci anni fa, non ha lo stesso spirito.
L’altro libro è di Maurizio Chiodi, sacerdote bergamasco che insegna Teologia morale
all’Università Gregoriana di Roma; è intitolato “La fragilità e il compimento: desiderio,
relazione, temporalità”. Il sacerdote è stato invitato ad alcuni incontri di aggiornamento per
parlare del tema relativo al paragrafo 231 dell’Evangelii Gaudium – “La realtà è superiore
all’idea”.
E’ stato chiesto al sacerdote come interpreta la situazione delle famiglie, delle parrocchie e del
territorio e lui ha risposto con un’analisi approfondita che così riassumiamo: il grande rischio
della Chiesa, oggi, è quello di non essere una casa ma un albergo, frequentato da persone che non
hanno senso di responsabilità verso le cose di Chiesa.
Il secondo rilievo mosso da Maurizio Chiodi è che viviamo in una stagione “reattiva”, in cui
disegniamo l’avversario a partire da noi stessi, e non lo assumiamo così com’è, nella sua
diversità; se non corrisponde a noi, siamo portati a “bollarlo”. La bollatura serve a definirci;
questa operazione, sui social, indica da che parte stiamo, ed è molto riduttiva, ci impedisce di
accettare l’altro per come è, e rischia di aggregarci in quelle che si definiscono echo-chambers,
facendoci navigare in rete accanto a coloro che la pensano nel nostro stesso modo; anzi, il
sistema mediatico è fatto in modo da trasmetterci ciò che sa leggere come corrispondente a noi,
evitando di metterci di fronte a ciò che è diverso.
La terza considerazione riprende Qohélet 7, 10: “Non ti domandare perché i tempi antichi erano
migliori del presente: tale domanda non è ispirata da saggezza”. Insomma idealizziamo un
passato che non è mai stato come lo sogniamo, non siamo capaci di assumere l’imprevisto e il
diverso se non corrisponde a ciò che ci aspettiamo.

L’ultima nota riguarda il fatto che siamo nella stagione della “centralità del soggetto”, in cui la
persona ha un suo valore; ciò però non è sempre positivo, perché si traduce nell’individualismo,
nell’emotività, nell’affidarsi esageratamente alla tecnologia per superare limiti che rimarranno
invalicabili. La libertà non è fare ciò che si vuole, ma volere ciò che si fa.
Altro rischio del nostro tempo è che ciò che ha a che fare con la coscienza sia relegato
nell’angolino del privato, dell’individuale; ciò che è interiore non ha diritto di ispirare le scelte
sociali, collettive. A volte però privatizzazione vuol dire privazione; ci porta a vivere in un
mondo in cui non c’è posto per un Assoluto, e dove, dunque, si dà spazio soltanto a convinzioni
e opinioni fragili, parziali e frammentate.
La pluralità dei mezzi ci priva dei fini consegnando la nostra vita ad una stagione delle emozioni
come criterio ultimo, in cui non è decisivo ciò che è etico ma ciò che è estetico, nel senso che
tutto si misura con l’immagine di noi stessi che vogliamo promuovere.
Esaminiamo ora la tesi ardita del sociologo Enzo Pace: la fede non è scomparsa ma si trasforma:
passiamo dal credere di prima in cui prevaleva la religione intesa come “religio”, legame,
appartenenza, vincolo, comportamento consequenziale ad una convinzione, alla spiritualità di
oggi, in cui ciascuno coltiva le proprie convinzioni assumendo qua e là ciò che gli interessa e
pensando in questo modo, di avere una fede, di non essere ateo, ecc.
Secondo questa tesi la trasformazione avviene su tre versanti:
- non c’è più un credere per tradizione, nel senso di “traditio”, consegna, trasmissione di
un dono da parte di qualcuno, dei genitori, ecc., ma piuttosto un credere per scelta, per
decisione, e qui però c’è il problema di cosa si sceglie, di cosa si decide.
- Il secondo passaggio riguarda il credere locale, territoriale; da un legame culturale, si
passa ad un credere segnato dalla mobilità; le comunità d’elezione, scelte liberamente
dalle persone, presentano però un aspetto non educativo: qualora si sia messi alla prova,
e per un qualsiasi motivo non ci si trovi bene, si é portati a cambiare con grande facilità.
C’è anche il rischio di seguire il guru di turno o di cadere in forme di dipendenza
religiosa.
- Il terzo passaggio è quello dal credere dogmatico, non nel senso riduttivo del termine, ma
in quello del convincimento che c’è dietro, al credere per esperienza, basato soltanto sul
proprio sentire.
- Infine dalla religione intesa come qualcosa a cui si resta aggrappati anche se non c’è più
tanta convinzione ci si sposta al credere cosiddetto “per reincanto”: per motivazioni,
significazioni, passioni, diverse e altre. Anche qui il rischio è che in assenza di
movimentazione interiore intesa come unica spinta, e unica valenza di realtà riconosciuta,
non ci sia alcun interesse nella fede.

Si riportano alcuni esempi di Enzo Pace:
- siamo una generazione di gente che fa uso del cosiddetto bricolage spirituale, assumiamo
qua e là, dall’Islam, dall’Induismo, dal Cristianesimo, e creiamo un nostro, individuale
orientamento, senza comunità, senza qualcuno che ci confermi nella fede. In questa
stagione di individualismo, da soli, facciamo la nostra ricerca di fede, senza confrontarci
con la Parola, con la comunità, con una prassi sacramentale o solidale;
- emerge una fede segnata dalle figure carismatiche; in America ma ormai anche qui ci
sono TV, spettacoli e convention dedicati a queste figure;
- siamo credenti senza fissa dimora, segnati dalla provvisorietà, che scelgono in base alle
proprie esigenze, senza riferimento alla comunità, senza ritorno, senza abitudine, senza
ritmo;
- il fenomeno religioso si posiziona nella cultura del relativo, come servizio che assolve ai
bisogni, ai desideri delle persone, senza necessità che ci sia una pratica concreta e
soprattutto senza necessità dell’incontro, laddove la fede, dal roveto ardente di Mosè in
poi, è sempre mettersi davanti a una presenza, accorgersi di un esserci. Paradossalmente
si può essere credenti senza che ci sia un Tu; come ci dice Papa Francesco, ed anche
Benedetto XVI ed il Cardinale Ruini, nel convegno “Cristo, nostro contemporaneo”, o
ancora nel documento sulla catechesi “Incontriamo Gesù”, nel momento in cui viene
meno l’avere a che fare con qualcuno, accettiamo qualsiasi cosa, non si tratta più di un
impegno personale, ma semplicemente di un po’ di filosofia.
Ora una considerazione di Maurizio Chiodi sulla famiglia: è il luogo originario delle
esperienze fondamentali, la differenza sessuale, la relazione e il perdono; cose che non si
imparano a scuola ma dai propri genitori;
Infine, un’ultima riflessione sul senso della vita: non siamo padroni del senso; è qualcosa
che ci anticipa, ci precede, ci eccede; siamo soltanto chiamati a scoprirlo. Non siamo noi a
trovare il nostro compito nella vita ma è la vita stessa a darcelo.

LECTIO
Questo Capitolo dell’Apocalisse è particolarmente impegnativo, caratterizzato da immagini
molto forti e simboliche.
Il nostro approfondimento dell’Apocalisse si struttura come una liturgia ed in questo capitolo
abbiamo una nuova scena liturgica in cui al centro troviamo l’Agnello circondato da salvati.
Giovanni ci invita a contemplare la realtà del combattimento in corso per scoprire come la
scena della storia umana è già dominata dalla presenza dell’Agnello; accanto a Lui la
presenza di un popolo fedele. E’ un popolo che resiste ed è già in grado di testimoniare la
vittoria, che completa il Figlio morto e risorto, la sconfitta del drago e la ricapitolazione di
tutta la vicenda, dall’inizio alla fine, in obbedienza all’iniziativa di Dio.
Nei versetti 1 e 5 Giovanni si è fermato sulla riva del mare, lui che ha visto adesso dice:
“Ecco l’Agnello ritto sul monte”. E’ il monte Sion. C’è un respiro pacificante, un respiro di
consolazione. L’immagine si riempie di luce. E’ quello che proviamo quando siamo davanti
al mare e sentiamo la sua profondità.
Qui echeggiano innumerevoli testi dell’Antico Testamento, soprattutto dei profeti minori.
L’agnello, ritto sul monte e insieme, centoquarantaquattromila persone; è il popolo in marcia,
che si accampa, e riparte, muovendosi di deserto in deserto, lungo le tappe della storia
umana, come noi che camminiamo nella nostra vita.
Si tratta di coloro che appartengono a Dio, segnati dall’appartenenza alla Sua opera, Dio che
ha rivelato il Suo mistero di Comunione trinitaria, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Ed ecco che Giovanni guarda e vede questo punto di luce, la cui intensità è crescente e attrae
con una forza e, nello stesso tempo, con una dolcezza tale che non ammette replica. Nel
versetto 2 Giovanni dice: “Guardai e vidi, e udii una voce…”
E’ in corso la celebrazione, Giovanni ne ha parlato più volte; ne proviene una voce come di
suonatori di arpa, essi cantano ed il cantico nuovo è quello della vittoria. Ricordiamo nella
storia della salvezza, Mosè che ha attraversato il mare e che canta, così i Salmi che sono
proclamati come testimonianza di quell’opera di salvezza compiuta da Dio, che merita di
essere celebrata con il canto nuovo.
Il popolo in marcia è la Chiesa, nella sua fisionomia terrestre, la Chiesa che avanza nel
deserto, che obbedisce alla propria missione nella storia degli uomini;
centoquarantaquattromila sono gli accampati, i segnati della Terra, coloro che apprendono
quel cantico che sta in continuità , nella liturgia celeste, con il coro delle voci che proclamano
la vittoria di Dio.
Versetto 4: coloro sono estranei all’idolatria, hanno il segno della verginità e seguono
l’Agnello ovunque vada; si parla di contaminazione con le donne ma si intendono i vari idoli.
L’Agnello li precede e non c’è luogo sulla scena del mondo o momento nello sviluppo della
storia umana che non costituisca opportunità per loro di riconoscere e seguire l’Agnello: è un
itinerario pasquale di morte e resurrezione che si apre per loro, sempre e dappertutto.
Tre immagini per focalizzare le caratteristiche di questa evangelizzazione in corso: dal
versetto 6 fino al 20, la visione di Giovanni diviene per noi un aiuto, come sempre molto
sapiente, pertinente ed efficace; riscontrare queste caratteristiche è per noi un altro modo per
parlare di quel combattimento di cui ci siamo già occupati: il tempo del combattimento, di
momento in momento, nel corso della storia umana,.. è il tempo dell’evangelizzazione.
Nei versetti dal 6 al 13 c’è una sequenza di visioni che ci aiutano a mettere a fuoco forme,
espressioni e dinamiche che rappresentano le sfaccettature del Vangelo, protagonista della
vicenda umana in modo sempre più evidente.
La storia del combattimento è la storia dell’Evangelo e l’evangelizzazione diventa il criterio
decisivo per interpretare il senso di ciò che sta accadendo; tutto sembra far capo a quella
donna che è in viaggio attraverso il deserto. Tutto fa capo a quel settimo squillo di tromba, il
Regno che sta venendo e la donna può rappresentare Maria o la Chiesa.
Le tre immagini di angeli ci aiutano a focalizzare le caratteristiche del Vangelo in corso; sono
contemplate e proposte da Giovanni una di seguito all’altra, e collegate tra loro, in modo da
darci esattamente l’immagine di una corsa che continua nel suo sviluppo; è la corsa
missionaria che il popolo dei redenti affronta; essi sono in continuità, una continuità
articolata, capillare, che assume la fisionomia della presenza, che fa da protagonista.
Gli angeli compaiono in modo continuo, sfaccettature di un’unica realtà in svolgimento; il
primo angelo vola in mezzo al cielo come l’aquila di cui ci siamo già occupati, porta con sé
un Evangelo eterno, da annunziare agli abitanti della Terra, ad ogni nazione, razza, lingua,
popolo. Giovanni vede questa moltitudine: E’ una novità definitiva, universalmente valida.
Qui sono indicati, in modo sommario ma inconfondibile, tutti i tempi, tutti i luoghi, la varietà
degli eventi, la molteplicità delle culture e dei linguaggi.
Nel versetto 7 Giovanni descrive per noi il contenuto del messaggio: “Temete Dio e dategli
gloria”. E’ l’ora della crisi, della scelta, della decisione, del giudizio. L’Evangelo porta con
sé questa critica definitiva della storia, che raccoglie la presenza, la partecipazione
dell’umanità intera, una generazione dopo l’altra, nella molteplicità dei luoghi e degli
ambienti dove la vicenda umana è in corso.
Qui Giovanni ci parla di un’adorazione dedicata a Colui che ha fatto il Cielo e la Terra, il
mare e la sorgente delle acque; ritroviamo esattamente il linguaggio con il quale è impostato
il precetto del Sabato nel Decalogo: Colui che ha fatto il Cielo e la Terra ha operato per sei
giorni e il Sabato si è riposato per compiacersi della bellezza delle Sue creature; proclama
l’avvento del Sabato, Sabato pieno e definitivo.
Al versetto 8 un’altra immagine sembra descrivere l’evangelizzazione in atto; qui l’Evangelo
viene descritto da Giovanni come l’annuncio di una liberazione oramai piena e definitiva che
fa tutt’uno con la caduta di Babilonia, ossia di quella falsa grandezza di cui Babilonia si è
ammantata. L’annuncio viene dato in modo semplice e solenne citando i testi profetici
dell’Antico Testamento; la cultura dell’idolatria ormai sbugiardata e la grande prostituzione
ormai dichiarata nella sua pretesa di contaminazione universale. La grande Babilonia ha
coltivato sentimenti inebrianti nell’animo umano e ora tutta quella ebbrezza viene
sperimentata come inesorabile condanna, ebbrezza di un entusiasmo ritenuto dagli uomini
garanzia di grandezza superlativa ed ecco, provoca uno stordimento inguaribile: Babilonia la
Grande è caduta, un altro risvolto dell’evangelizzazione in corso; dopo l’annuncio
dell’instaurazione del Sabato, in modo corrispondente all’intenzione originaria del Creatore,
adesso l’annuncio dello sgretolamento, dello svuotamento dall’interno di Babilonia, quel
progetto velleitario che infettava la scena del mondo con l’ebbrezza di una capillare idolatria.
Al versetto 9, 10 e 11 un altro angelo; la statua è la seconda bestia, specialista nel far parlare i
fantocci, chi ne riceve il marchio sulla fronte o sulla mano, berrà il vino dell’ira di Dio,
versato puro nella coppa della sua ira e sarà torturato con fuoco e zolfo, al cospetto degli
angeli santi e dell’Agnello. Ma di cosa sta parlando Giovanni? Quest’altro angelo ancora
grida, a suo modo, nel senso che dà voce all’evangelizzazione in corso. Più esattamente,
adesso, l’Evangelo viene descritto come quell’energia che ormai attraversa la scena del
mondo, e c’è di mezzo la donna, il popolo dei redenti, c’è la testimonianza dei discepoli
dell’Agnello, fino al martirio, ebbene, quell’evangelizzazione in corso acquista qui la
caratteristica di una presenza che svela come l’Inferno abbia invaso, occupato la realtà di
questo mondo. Non l’Inferno come una meta ipotetica posta al termine del percorso ma come
condizione nella quale gli uomini si sono rintanati già ora, per il fatto che Babilonia regna,
che la bestia impera, che il drago vuole imporre la sua iniziativa di radicale ribellione
all’iniziativa del Dio vivente. Giovanni ci aiuta a constatare che gli uomini sottoposti al
marchio sono dei tormentati ed il loro tormento brucia, invade, sconvolge, devasta la loro
vita e li rende come condannati a morte in anticipo. Il loro disagio assume aspetti
spettacolari. Il tormento a cui gli uomini sono condannati per il fatto di aver adorato il drago
e di aver assunto il marchio della bestia è la loro condizione infernale nel tempo della storia.
L’Evangelo in atto ci illustra tutto questo, ci fornisce i criteri di comprensione, mette in crisi
ogni cosa: stiamo male, ci troviamo nel tormento; il passaggio nel cielo dell’angelo terzo
spiega tutto questo ed è l’evangelizzazione operante nella storia umana che ci libera da
Babilonia, ci sottrae alla condizione infernale nella quale ci siamo imprigionati da noi stessi.
I versetti 12, 13 fanno da intermezzo; dopo l’immagine dei tre angeli che ci hanno mostrato
gli aspetti dell’evangelizzazione, appare la costanza dei Santi che osservano i comandamenti
di Dio e la fede in Gesù: è l’ora della vita cristiana, del vangelo vissuto, è il momento in cui
si manifesta la pazienza e la fedeltà del popolo di Dio, dall’Antico Testamento fino alla
pienezza della Rivelazione che si è compiuta a nostro vantaggio mediante l’Incarnazione del
Figlio.
Versetto 13: “E udii una voce dal cielo che diceva: “Scrivi, beati i morti che da ora in poi
muoiono nel Signore”; è l’ora della beatitudine, è l’ora nella quale i Cristiani sono in grado di
godere di un riposo pieno, al di là di ogni obiezione, di ogni contestazione, non perché viene
rimossa la prospettiva della morte ma perché la morte è vista come garanzia di piena
comunione con il Signore, assumendo così un valore pacificante, riposante e beatificante.
La lectio si chiude con una domanda quale spunto di riflessione e di impegno, ispirata dalle
immagini degli Angeli:
nella nostra vita, abbiamo sentito la presenza di un angelo, ci siamo accorti di qualcosa di
soprannaturale che ci ha aiutati a superare un problema, a prendere una decisione difficile,
abbiamo trovato un segno che ci ha accompagnato nel cammino?
Intervento conclusivo
Partendo dalla guerra in Medio Oriente e dal processo di riconciliazione che dovrà seguire,
apriamo una meditazione (vds. articolo del Card. Pizzaballa) sul passaggio dalle ferite alle
cicatrici; ci agganciamo al Capitolo della Lectio, traendo ispirazione in particolare da due
versetti del brano.
- versetto 1: le 144.000 persone che portano sulla fronte il nome del Padre
- versetto 9: chiunque adora la Bestia e la sua statua riceve il suo marchio sulla fronte e
sulla mano.
Partiamo dunque dalla differenza tra un nome scritto sulla fronte e un marchio;
Dio ci dona la sua firma ed in questo non c’è alcuna violenza; è come se un bambino
scrivesse con il gesso il nome di un altro bambino che è impossibilitato a farlo da solo; si
tratta quindi, in questo caso, di una cosa intima, dolce e bella. Il dono della firma di Dio è un
segno che ci rende riconoscibili e ci raccomanda, ma è anche un segno di estrema libertà, e
reca in sé il ricordo di tutte le ferite di Cristo.
Il drago invece mette un marchio sulla fronte e sulla mano, similmente alla bestie, creando
così una cicatrice permanente. Non è una carezza, il marchio fa male a chi lo riceve, è una
lacerazione indelebile e fa penetrare il male in noi; attraverso il marchio, dal punto di vista
spirituale, il Maligno entra dentro di noi. E’ un marchio che non rende liberi ma trattiene con
l’inganno. Ricorda i tatuaggi delle bande che indicano ciò che è capace di fare chi li porta;
insomma, il marchio è sicuramente un simbolo di appartenenza negativo.
Tornando alle ferite e al percorso che è necessario intraprendere per guarire sia da quelle
fisiche che da quelle psicologiche, esaminiamo il percorso di guarigione delle ferite
spirituali:
la ferita che la vita ci dà non è solo un impedimento che chiude ma può diventare un incontro
che apre.
In Giappone, a differenza di quello che facciamo noi, quando un oggetto di ceramica si
rompe, i maestri kintsukuroi lo riparano con l’oro lasciando in vista la riparazione in quanto
per loro, l’opera ricostruita si impreziosisce e diventa simbolo di fragilità, forza e bellezza.
Partiamo da questo concetto, quindi, oro nelle ferite, per dare ad esse maggior valore: l’oro
rappresenta il divino, Dio che accetta di entrare in noi per guarire le nostre ferite, dandoci
così un nuovo volto e una nuova luce; in definitiva ci impreziosisce attraverso le nostre ferite,
i nostri punti di imperfezione, che stanno proprio ad indicare che Dio si è chinato su di noi.
In quest’ottica non siamo più pietre scartate ma diventiamo testate d’angolo. A questo punto
andiamo un po’ contro la tesi del Card. Pizzaballa; non è vero che le ferite devono diventare
cicatrici; le cicatrici riguardano il passato, qualcosa che non dà più dolore e che va
dimenticato, sono ormai indurite, invece dobbiamo farci riempire dall’amore di Cristo e
dall’amore degli altri, che con una parola ci hanno sostenuto e ci sono stati vicini nel
momento in cui eravamo feriti.
Ricordiamo che anche le ferite di Cristo sono rimaste aperte e vive. Le nostre ferite dicono
quindi che siamo vicini a Dio e che Lui sta soffrendo insieme a noi, in esse c’è già la
Resurrezione; ogni crisi, ogni dolore ci avvicina alle beatitudini, ogni ferita, invisibile, ci fa
icona di Dio. Dio, quindi con il Suo prezioso essere si amalgama con noi e quando siamo in
pezzi, come dice Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi, e ci sentiamo deboli, proprio in quel
momento siamo forti.
Nella frantumazione e nel dolore, inoltre, siamo più sensibili alle sofferenze degli altri,
attraverso le fessure delle nostre ferite possiamo infatti diventare guaritori degli altri. Da
un’anima ferita può sbocciare una forza assolutamente inaspettata, che ci fa di nuovo sognare
e sperare, rendendo così la ferita una feritoia di luce.
Attraverso la ferita si può ascoltare e far risuonare quella voce antica che canta nei nostri
deserti; quei deserti che attraversiamo nella vita e che ci donano un’identità più profonda,
quando attraverso le ferite incontriamo Dio che ci rimette in gioco e ci fa trovare nuove
motivazioni.
Un’altra forza agisce sulle nostre ferite: il tempo, che, attenzione, non deve farle guarire e
passare completamente perché i ricordi preziosi non devono svanire, altrimenti perderanno
ogni valore; il tempo ci deve aiutare a mantenere anche tutto il bello che abbiamo avuto,
l’angelo che ci è stato vicino; il tempo ci dice anche che ci sarà dato altro, che ci sarà un
seguito, nuove cose preziose; serve quindi a farci immaginare il futuro e a non farci ripiegare
nel passato. Nel percorrere i nostri sentieri del tempo siamo accompagnati, da un lato, da Dio
e dall’altro dal Perdono, l’ultima forza che ci viene donata quando siamo feriti. Insieme alla
fatica il tempo serve ad amalgamare l’oro riversato da Dio con la nostra anima e a farlo
venire alla luce.
In definitiva, quindi il messaggio è che non bisogna cercare di dimenticare e rimuovere in
fretta il dolore causato dalla ferita, cercando che subito cicatrizzi; in questo modo si possono
prendere strade sbagliate. La cicatrice è carne indurita, ferma e immobile che non permette
di essere elastici, di guardare il mondo, insomma un cuore cicatrizzato è un cuore che non
batte più al ritmo della vita: non soffrire significa chiudersi alla vita, accettare la Croce è
aprirsi alla vita; cosa dobbiamo quindi fare?
- Non dobbiamo scappare, ma stare
- Cercare gli altri, non evitarli
- Lasciarci toccare dagli altri, lasciare che ci parlino
- Condividere, in modo da scoprire l’amore degli altri
- Affrontare il presente; Pindaro diceva: “Seguirò il destino presente curandolo come
posso”
- Ricordare che Dio protegge nella sofferenza, non dà la sofferenza
- Correggiamo il nostro sguardo e orientiamolo verso il futuro, con leggerezza
- Trasformare il nostro dolore dandogli un senso e scoprirci nuovi e trasformati, come
Giacobbe che ebbe un nome nuovo dopo la sua lotta
- Far lavorare il dolore dentro di noi e trasformare il nostro fallimento in luce per gli altri,
facendoci comprendere cosa è davvero importante: amare la vita perdonando.
Chiudiamo unendo due diversi messaggi, uno della scrittrice ebrea Etty Hillesum
deportata nei campi di sterminio: “ho imparato che una ferita la si può convertire in bene,
se la si sa sopportare e integrare nella propria vita” e l’altro di Papa Francesco con cui
completiamo la frase precedente: “facendola diventare un foro di luce
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Lectio Divina
 
Ap. 15, 1-8  16,1
 
1E vidi nel cielo un altro segno, grande e meraviglioso: sette angeli che avevano sette flagelli; gli ultimi, poiché con essi è compiuta l'ira di Dio. 2Vidi pure come un mare di cristallo misto a fuoco; coloro che avevano vinto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome, stavano in piedi sul mare di cristallo. Hanno cetre divine e 3cantano il canto di Mosè, il servo di Dio, e il canto dell'Agnello: " Grandi e mirabili sono le tue opere, Signore Dio onnipotente; giuste e vere le tue vie, Re delle genti! 4O Signore, chi non temerà e non darà gloria al tuo nome? Poiché tu solo sei santo, e tutte le genti verranno e si prostreranno davanti a te, perché i tuoi giudizi furono manifestati". 5E vidi aprirsi nel cielo il tempio che contiene la tenda della Testimonianza; 6dal tempio uscirono i sette angeli che avevano i sette flagelli, vestiti di lino puro, splendente, e cinti al petto con fasce d'oro. 7Uno dei quattro esseri viventi diede ai sette angeli sette coppe d'oro, colme dell'ira di Dio, che vive nei secoli dei secoli. 8Il tempio si riempì di fumo, che proveniva dalla gloria di Dio e dalla sua potenza: nessuno poteva entrare nel tempio finché non fossero compiuti i sette flagelli dei sette angeli.
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1E udii dal tempio una voce potente che diceva ai sette angeli: "Andate e versate sulla terra le sette coppe dell'ira di Dio"
La liturgia celeste–“E cantano il canto di Mosè, il servo di Dio

La lectio si apre con la descrizione di uno schema a forma di candelabro a 7 braccia, che ci aiuta ad orizzontarci all’interno della struttura dell’Apocalisse e a comprendere il punto in cui ci troviamo, nell’ambito della nostra narrazione.
L’Apocalisse è una liturgia, e come in una Messa ci possiamo trovare all’inizio, in mezzo o alla fine.
Nel nostro caso ci troviamo  nell’area mediana del candelabro, lo Yom Kippur ed esattamente alla fine dello Yom Kippur, nel braccio a destra di quello centrale, ossia  l’ultimo giorno della festa delle trombe.
Abbiamo anche un altro strumento che ci mostra in modo sinottico le sette trombe e le sette coppe; siamo in questo momento, con il nostro brano,  all’interno dell’ultimo squillo di tromba; in seguito ci apriremo alle 7 coppe.
Lo schema mostra il ripetersi dell’andamento dell’Apocalisse e ci aiuta ad approfondirlo sempre di più.
Abbiamo infine un altro foglio che riporta il Canto di Mosè ed il Canto dell’Agnello, i moltissimi riferimenti biblici del Canto dell’Agnello ed infine lo schema delle 7 visioni; ci troviamo, appunto, nell’ultima  visione di Giovanni.
Il fatto che l’Apocalisse sia sviluppato come un candelabro a 7 braccia ci dice che Giovanni non rinnegava affatto la religione ebraica, ma voleva integrarla con la figura di Cristo.
Il giorno dello Yom Kippur è  detto ancora oggi nell’Ebraismo, dell’Espiazione.
In origine era il giorno in cui il Sommo Sacerdote, entrato con vesti regali  nel Santo dei Santi, compiva un sacrificio: venivano portati due capri, uno bianco ed uno nero. Il capro bianco veniva ucciso sull’Arca dell’Alleanza, suggellando così, con il suo sangue, l’alleanza tra il Dio e il Suo popolo; l’altro capro, quello nero, il cd. capro espiatorio, attraverso le preghiere, prendeva su di sé i  peccati del popolo, era quindi condotto fuori dalle mura di Gerusalemme e abbandonato al suo destino in pieno deserto.
Ci troviamo nel capitolo 15, e secondo lo schema adottato da Giovanni, nell’interludio che precede il settenario delle sette coppe.
Suddividiamo il Capitolo 15 in questo modo:
versetto 1- visione dei sette angeli che hanno i sette flagelli;
versetti 2 e 4 - lode a Dio, ovvero Canto dell’Agnello;
versetti 5 e 8  - visione degli angeli con le sette coppe;
Capitolo  16 versetto  1 – inizio svuotamento delle 7 coppe.
Abbiamo ora il terzo grande segno; il primo grande segno era la donna, il secondo segno, non grande, era il drago e ora i sette flagelli. Come già detto il numero sette che è la chiave dell’Apocalisse, indica la perfezione, propria soltanto di Dio; indica però anche la totalità. Il numero sette, infatti, nasce per gli Ebrei dall’osservazione del Creato: sette sono le fasi lunari, sette i pianeti  conosciuti in quel tempo (5 pianeti più Sole e Luna), sette i toni della musica, sette i colori dell’arcobaleno; il sette però può avere anche una valenza negativa: alle sette richieste presenti nella preghiera del Padre nostro, si contrappongono le sette teste del drago;  alle sette virtù si oppongono i sette vizi capitali.
Si parla qui dell’ ”ira di Dio”, ma non si tratta di violenza: in Romani 1, 18 (…18Infatti l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia…), Paolo ci ricorda  che l’Uomo sceglie liberamente la strada del male e Dio lo lascia  fare; dobbiamo quindi prendere coscienza delle conseguenze del male che è stato fatto. I sette flagelli tenuti in mano dai sette angeli sono ciò che l’Umanità ha scelto per se stessa, come riporta il Salmo 81: “13…l'ho abbandonato alla durezza del suo cuore. Seguano pure i loro progetti!... “.
Riprendiamo la descrizione della visione di Giovanni: siamo in cielo, in una scena splendente di vittoria e  l’ira di Dio giunge a compimento.
In Geremia 25, 15-16 (…”15Così mi disse il Signore, Dio d'Israele: "Prendi dalla mia mano questa coppa di vino della mia ira e falla bere a tutte le nazioni alle quali ti invio, 16perché ne bevano, ne restino inebriate ed escano di senno dinanzi alla spada che manderò in mezzo a loro"…), si descrive tutto il giudizio sulle Nazioni  attraverso i calici dell’ira di Dio.
Ricordiamo che nel Capitolo 14, versetti 19-20,  si parla di un tino colmo dell’ira di Dio; da questo tino vengono raccolti sette calici/coppe e si presentano sette angeli – gli ultimi - con sette flagelli. L’aggettivo “ultimi” ha vari significati: nel pensiero  escatologico, indica il destino finale, es. il travaglio di un parto che si conclude con la nascita, ma indica anche “nuovi”, mai uditi, il Vangelo che porta compimento, che dà cose inedite; i flagelli, di per sé, sono delle autopunizioni, in analogia a quanto facevano i monaci medievali che si fustigavano per le loro colpe. Questa cosa, che a noi sembra barbara, in realtà a loro serviva per ricordare la fustigazione di Gesù. Ricordiamo che Pilato suggerì ai sommi sacerdoti soltanto la  flagellazione di Gesù, mentre essi pretesero che fosse crocifisso, oltre che flagellato.
I monaci, appunto, si flagellavano proprio in ricordo della flagellazione a cui, Cristo, puro, era stato sottoposto. Si tratta quindi di un’automortificazione. Per questa variante, i flagelli portano dunque, non morte, ma vita. Ci ricordano in qualche modo  le piaghe d’Egitto (che erano comunque 10 e non 7), inflitte  non solo per liberare il popolo ma per indurre il Faraone a cambiare il suo cuore.
Nel versetto 2 Giovanni vede un mare di vetro mescolato col fuoco; si tratta dello stesso mare di vetro che avevamo trovato nel Capitolo 4 sotto il trono di Dio. Ricordiamo che per gli Ebrei il mare era simbolo del male, del caos, come in Genesi 1,  quando le forze non erano ordinate; ne avevano timore e non erano infatti un popolo di navigatori.
A conferma di ciò, nel Capitolo 21 è detto: “ 1E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c'era più.Tutto tornerà nell’ordine voluto dalla Potenza di Dio, ma il mare non ci sarà.
Il mare si presenta qui come cristallizzato insieme  al fuoco. Se nel primo giorno della Genesi lo Spirito aleggiava sulle acque, nella seconda creazione queste acque sono diventate di cristallo e si possono dominare: i redenti, i vincenti possono andare di fronte al trono di Dio camminandoci sopra. Mentre  in Esodo 14 Mosè aveva separato il mare mentre erano  inseguiti dal Faraone, simbolo del male, proprio perché gli Ebrei ne avevano paura,  adesso invece non c’è più nulla da temere; il mare è cristallizzato e sorregge, ed inoltre si riconosce Dio faccia a faccia.
Nei versetti 3 e 4 si sente il canto  di vittoria di Mosè, quello dell’attraversamento  del Mar Rosso, ed il Canto di vittoria  dell’Agnello. Accomuna i due canti la gioia della liberazione: il primo canto è quello del popolo d’Israele dopo la fuga dall’Egitto, il secondo è del popolo di Dio, finalmente liberato dal male.
Nel Canto dell’Agnello non si parla più  soltanto del popolo ebraico, ma anche di quello cristiano. Dio viene detto Re delle genti; tutto il mondo, tutto l’universo seguirà Dio con questo canto di gioia. E’ un canto di incoraggiamento per tutti noi che viviamo i momenti faticosi della storia, ma è anche un grande atto di fede che ci mostra un futuro colmo di bene.
E qui un momento di riflessione: ci crediamo noi? E quanto ci crediamo in questo “oltre”? E’ per noi solo una vaga speranza? Crediamo alla resurrezione nella carne del Cristo? O per noi è soltanto qualcosa di vago, nebuloso come un fantasma?
Facciamo riferimento alla liturgia di oggi – Domenica 14 aprile  - Lc. 24, 35-48: 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane. 36Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38Ma egli disse loro: "Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho". 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44Poi disse: "Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni.
In questo momento cruciale si apre una porta di speranza per tutte le nazioni,  i popoli camminano insieme e vanno tutti davanti al trono di Dio; hanno le arpe del culto in mano; ricordiamo che  in Apocalisse   5  i 4 anziani portavano le arpe e l’incenso che rappresentava le preghiere di coloro che erano stati sacrificati per Cristo. Ora i vincitori portano  musica e canti, per loro Dio è diventato soltanto musica.
Il brano prosegue con un’invocazione: “temere Dio e dare gloria al Suo nome”.  “Temere” va inteso nel senso di rispettarlo, certamente non di averne timore, mentre “dare gloria” è da intendersi nel senso di riconoscere ciò che ha creato per noi. Poiché le meraviglie del creato  sono sotto gli occhi di tutti noi, la cosa importante è che  ogni uomo  Lo riconosca come Padre e come Creatore. indipendentemente dalla sua  religione e dal nome che Gli attribuisce.
In Romani 1, 18-23 è detto: “18Infatti l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, 19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. 20Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa 21perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. 22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un'immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
Per coloro ai quali non è giunta la Rivelazione o non è stata creduta,  è sufficiente la conversione di opere di cui parlava Giovanni il Battista e attraverso essa è possibile raggiungere Dio: condividere i beni, non commettere ingiustizie, non rubare, non essere violenti, vivere negli stessi valori dell’Antica Alleanza.
Al Versetto 5, nel cielo  si apre il tempio e al suo interno il Tabernacolo della Testimonianza, esattamente quello che succede nello Yom Kippur; il sacerdote entra nella zona proibita; in seguito il tempio sparirà poiché come si dice in Apocalisse 21, 22, (…22In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio..),  Dio e l’Agnello sono il tempio dell’umanità.  Nella prima Lettera ai  Corinzi Paolo dice che “Dio sarà tutto in tutti.” Il fatto che il tempio si apra è molto importante perché nello Yom Kippur e in generale in tutti i Libri Ebraici il tempio è ben  chiuso, ed entra uno soltanto.
Il tempio aperto, dunque, non può essere un luogo di collera o di castigo, ma è un luogo di misericordia, di vita, nel quale tutti possono entrare, è un tempio della presenza di Dio con l’Uomo, è una tenda, la tenda dell’Alleanza. Dal tempio escono sette angeli che indossano  l’abito usato dal Sommo Sacerdote durante lo Yom Kippur; svolgono  quindi una mediazione sacerdotale e una funzione regale. Escono dal mistero di Dio cosi come ne uscì Zaccaria quando da sacerdote addetto al tempio  gli fu annunciato che avrebbe avuto un figlio. Egli  non credette, divenne muto e pur custodendo nel profondo della sua anima la volontà di Dio, non la poté svelare perché reso muto dall’angelo.
Gli angeli portano agli uomini la volontà di Dio: quella di eliminare il peccato e condurli alla santità.
Nel versetto 7 si parla di una delle quattro creature viventi: esse sono simbolo di tutto ciò che è stato creato da Dio.
In Romani 8 si dice che tutta la creazione soffre le doglie del parto aspettando anch’essa la salvezza; oggi è più che mai importante capire che il Creato dipende dall’uomo; viviamo una gravissima crisi ecologico-ambientale, che pur essendo sotto gli occhi di tutti non trova la giusta sensibilità e il senso di responsabilità che richiederebbe. Si continuano a mandare in orbita satelliti che alimentano la quantità di rottami tecnologici presenti nel cosmo; chi ha molti mezzi può permettersi di fare danni incalcolabili senza curarsi delle conseguenze che ricadono su tutto. Questo purtroppo ci lascia indifferenti e incuranti del nostro dovere di essere custodi del creato, che è stato concepito per la felicità di tutti.
La creatura vivente riempie i calici dal tino dell’ira di Dio ma è tutto il creato che sta chiedendo la fine della sofferenza e della morte. Dio non risponderà soltanto agli uomini ma a tutto il creato.  Le sette coppe che si stanno riempendo sono quindi la risposta al dramma del peccato: i vizi, le infedeltà, le guerre, ma anche le piccole cose malfatte,  ripetute nella storia, sono riposte nel tino. Insomma  il mondo che ha abbandonato Dio, viene a sua volta abbandonato da Dio, ed il male che abbiamo commesso ci torna indietro come un boomerang affinché possiamo renderci conto di quanto  dolore procuri l’allontanamento da Dio.
Chi resisterà a questi flagelli? Chi non si opporrà e riconoscerà le sue colpe troverà la vita e l’amore perfetto, gli altri no. In questo tempo, dominato da stragi sistematiche, istituzionalizzate, e da eco-crisi, questa parola ci fa paura, l’ira di Dio scoppia moltiplicata nelle sette coppe; nello stesso tempo sappiamo che queste sono le ultime coppe e finalmente finiranno i conflitti, i vinti diventeranno vincitori, e coloro che chiedevano giustizia saranno ricompensati.
Al versetto 8 si dice infatti che tutto è compiuto ed il tempio si riempie di fumo così come accade nel giorno dello Yom Kippur, quando viene incensato l’altare fino a riempirsi di fumo ed il sacerdote esce. Il fumo  è qui il segno della presenza di Dio, così come lo era la nube sul monte Tabor; rappresenta però anche il male che crea una  cortina di fumo tra noi e Dio e ci impedisce di vedere il tempio.
Chi sceglie il male scegli quindi il fumo, una cosa inconsistente, qualcosa che esclude la presenza di Dio.
Ma l’uomo, soprattutto l’empio, non può reggere la vista di Dio; tanto che riprendendo da Osea 10, 8         ( “8Le alture dell'iniquità, peccato d'Israele, saranno distrutte, spine e cardi cresceranno sui loro altari; diranno ai monti: "Copriteci" e ai colli: "Cadete su di noi" 9”), Apocalisse 6, 16 dice: “16e dicevano ai monti e alle rupi: " Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, 17perché è venuto il grande giorno della loro ira, e chi può resistervi?" Gli uomini temono l’ira dell’Agnello e chiedono di essere coperti e nascosti al volto di Dio dalle montagne.
A questo punto  dobbiamo farci una domanda: come Dio compirà l’opera della salvezza? Come finirà quest’opera? Sembra tutto chiuso…il tempio è diventato impenetrabile e irraggiungibile, sta nascendo una nuova creazione; il brano ce lo dice con una piccola parola, una semplice congiunzione: “finché”. Questo “finché” ci dice che è possibile entrare nel tempio di Dio ed è la prima volta nella Bibbia che si dice questa cosa. Quando? Quando  saranno state versate le sette coppe dei sette angeli.
Dio compì la sua opera con Genesi 2 e Esodo 40; in altre parole fine del Giudizio: ogni Essere Umano ha ricevuto la sua sentenza, ed il destino di ciascuno è segnato, non si può più tornare indietro. Anche questo fa parte della liturgia del Kippur; infatti l’ultima preghiera del tramonto detta “chiusura”, nel Talmud è associata alla chiusura del tempio celeste, la chiusura del giudizio. Quindi nella tradizione ebraica trascorsi 10 giorni dalla festa delle trombe, la sera,  il giudizio viene sigillato, in quanto tutti sono ormai liberati dai loro peccati  ed il loro saluto é “Buon suggellamento”. In Apocalisse ciò significa il tempo che è finito, è il tempo della Grazia, tutte le decisioni sono prese ed è finito anche l’intervento di Gesù; Egli era il tramite tra noi e Dio e ora non ha più nulla da fare perché non c’è più il conflitto tra il Bene e il Male. Come dice Apocalisse 22, 11 11Il malvagio continui pure a essere malvagio e l'impuro a essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora.
Apocalisse 16, 1: “E udii dal tempio una voce potente”.... E’ la voce di Dio che ordina ai sette angeli di versare le sette coppe su tutto il creato, sul cielo, sul mare, sulla terra, ovunque. Si chiude quindi la storia della salvezza, la Grazia arriva fino a questo punto.
Per noi è molto duro accettare tutto questo: il senso è che l’amore di Dio non è un sentimentalismo astratto, non perde il contatto con la realtà, è un fatto reale, concreto, ha dei limiti e se non fosse così il Cristianesimo sarebbe soltanto un’idea, un’invenzione, niente di più.
Il fatto che Dio metterà un punto finale a chi ha rifiutato il suo amore vuol dire che Dio esiste, non è un’invenzione a cui aggrapparsi per comodità, ma  il Creatore del Tutto e gli uomini sono liberi di determinare il loro destino. E ancora possiamo rifarci al Libro dell’Esodo: l’Angelo  colpisce solo  coloro che non hanno il segno distintivo sulla porta fatto con il sangue dell’Agnello, coloro che hanno scelto il Male.
La fine della Grazia  vuol dire che è finita la storia del peccato; che torniamo a camminare in compagnia di Dio e che lo vedremo faccia a faccia “in piena certezza di fede” Ebrei 10, 19. Concludiamo con questa
frase: “il luogo  santissimo è stato aperto da Gesù Cristo per noi”. Buon suggellamento!

 
Riflessioni conclusive
 Notiamo nella nostra politica una  grande difficoltà nel coniugare il dire e il fare e a portare nella vita concreta l’agire cristiano.  Si dedica attenzione a temi futili, mentre si resta indifferenti alle grandi tragedie del nostro tempo. Dovrebbero essere obbligatori corsi  e test di etica, ciò che anima l’agire, dovrebbero essere imposti a tutti i politici, ed anche ai funzionari statali.   San Paolo, 1^ Corinzi ci dice:  “bisogna che Egli regni finché tutti i suoi nemici sono vinti “; ecco il senso della forte  domanda di giustizia che avvertiamo; il passo che abbiamo letto  ci dice che non dobbiamo più attendere un futuro nel quale ci sarà giustizia, Dio  é già all’opera.
Il significato è che finalmente ci sarà  giustizia, l’ira di Dio è il Suo rigore, la Sua verità; il bene dell’uomo verrà fuori e  la storia umana sarà invasa da una logica diversa,  ma non quella che noi ci aspettiamo.
Zygmunt Bauman diceva che il nostro approccio verso il futuro e verso la Pasqua è “retrologico”; istintivamente quando dobbiamo risistemare le situazioni e pensare che tutto ricominci, immaginiamo che le cose torneranno come prima, ma ahimè non è così!
La grande questione dei Vangeli pasquali che la liturgia ci sta mettendo davanti è il fatto che noi non riusciamo ad immaginare come sarà perché non teniamo conto di  quella piccola cosa che Gesù dice sempre agli apostoli, e cioè che era necessario che il Cristo patisse.  
A noi non va giù che debba esserci la croce. Posso essere sereno domani? Si, ma non riuscirò ad esserlo perché penso a ciò che ho perso  e torno sempre a quello che mi manca. Potrebbe esserci una manifestazione altra per ricomporci alla vita e alla pasqua ma noi continuiamo ad immaginare che tutto debba risistemarsi come prima. Quello che siamo incapaci  di fare è mettere dentro all’evolversi delle vicende, quella parte faticosa che è la croce. Ma la croce c’é.. E sta a significare che posso essere felice lo stesso ed essere pasquale, posso andare verso una vita nuova anche se sono stato crocifisso,  e accettare che non sia più come era. Il nostro  non accettare è il motivo per cui questo passo riesce cosi duro:  dice molto semplicemente che affinché ci sia il bene, prima deve esserci la distruzione del male; prima si destruttura e poi si ristruttura. Il Cristo sta vincendo ma vince con il fuoco che viene giù.   Non ci piace la comodità infranta ..noi vorremmo una salvezza che non ci scomoda, invece il Cristo fa le cose seriamente e cambia tutto, da così a così! Continuerà ad essere così,  come è stato finora in tante vicende della storia umana: tanto  Dio è  creativo quanto l’uomo continua a ripetere il suo schema…
Ci conforta dunque pensare che ci sarà la guerra perché vuol dire che c’é una speranza e che ci sarà la salvezza
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Lectio Divina

Apocalisse 18

 
1Dopo questo, vidi un altro angelo discendere dal cielo con grande potere, e la terra fu illuminata dal suo splendore. 2Gridò a gran voce: "È caduta, è caduta Babilonia la grande, ed è diventata covo di demòni, rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni uccello impuro e rifugio di ogni bestia impura e orrenda. 3Perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con essa e i mercanti della terra si sono arricchiti del suo lusso sfrenato". 4E udii un'altra voce dal cielo: "Uscite, popolo mio, da essa, per non associarvi ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli. 5Perché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità. 6Ripagàtela con la sua stessa moneta, retribuitela con il doppio dei suoi misfatti. Versàtele doppia misura nella coppa in cui beveva. 7Quanto ha speso per la sua gloria e il suo lusso, tanto restituitele in tormento e afflizione. Poiché diceva in cuor suo: "Seggo come regina, vedova non sono e lutto non vedrò". 8Per questo, in un solo giorno, verranno i suoi flagelli: morte, lutto e fame. Sarà bruciata dal fuoco, perché potente Signore è Dio che l'ha condannata". 9I re della terra, che con essa si sono prostituiti e hanno vissuto nel lusso, piangeranno e si lamenteranno a causa sua, quando vedranno il fumo del suo incendio, 10tenendosi a distanza per paura dei suoi tormenti, e diranno: "Guai, guai, città immensa, Babilonia, città possente; in un'ora sola è giunta la tua condanna!". 11Anche i mercanti della terra piangono e si lamentano su di essa, perché nessuno compera più le loro merci: 12i loro carichi d'oro, d'argento e di pietre preziose, di perle, di lino, di porpora, di seta e di scarlatto; legni profumati di ogni specie, oggetti d'avorio, di legno, di bronzo, di ferro, di marmo; 13cinnamòmo, amòmo, profumi, unguento, incenso, vino, olio, fior di farina, frumento, bestiame, greggi, cavalli, carri, schiavi e vite umane. 14"I frutti che ti piacevano tanto si sono allontanati da te; tutto quel lusso e quello splendore per te sono perduti e mai più potranno trovarli". 15I mercanti, divenuti ricchi grazie a essa, si terranno a distanza per timore dei suoi tormenti; piangendo e lamentandosi, diranno: 16"Guai, guai, la grande città, tutta ammantata di lino puro, di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle! 17In un'ora sola tanta ricchezza è andata perduta!". Tutti i comandanti di navi, tutti gli equipaggi, i naviganti e quanti commerciano per mare si tenevano a distanza 18e gridavano, guardando il fumo del suo incendio: "Quale città fu mai simile all'immensa città?". 19Si gettarono la polvere sul capo, e fra pianti e lamenti gridavano: "Guai, guai, città immensa, di cui si arricchirono quanti avevano navi sul mare: in un'ora sola fu ridotta a un deserto! 20Esulta su di essa, o cielo, e voi, santi, apostoli, profeti, perché, condannandola, Dio vi ha reso giustizia!". 21Un angelo possente prese allora una pietra, grande come una màcina, e la gettò nel mare esclamando: "Con questa violenza sarà distrutta Babilonia, la grande città, e nessuno più la troverà. 22Il suono dei musicisti, dei suonatori di cetra, di flauto e di tromba, non si udrà più in te; ogni artigiano di qualsiasi mestiere non si troverà più in te; il rumore della màcina non si udrà più in te; 23la luce della lampada non brillerà più in te; la voce dello sposo e della sposa non si udrà più in te. Perché i tuoi mercanti erano i grandi della terra e tutte le nazioni dalle tue droghe furono sedotte. 24In essa fu trovato il sangue di profeti e di santi e di quanti furono uccisi sulla terra”.
 
 
 
La fine del male – “E’ caduta Babilonia
 
Per comprendere il Libro dell’Apocalisse e darne conto  occorre una  mente che abbia sapienza. Ci sono incarnazioni che ci interessano: i sette re, le dieci corna, si tratta di  ramificazioni del male, che vanno ad individuare il soggetto che ci interessa. Ci chiediamo: perché capitano queste cose? perché c’è un’intenzione del male, c’è un progetto che va contro il bene dell’uomo.
 
Ci sono le acque che rappresentano i popoli, le moltitudini, le nazioni e le lingue. E nel nostro brano c’è la grande prostituta, la grande città, l’impero che incombe: per alcuni potrebbe essere Roma, per altri Gerusalemme,  il mondo pagano, la città che regna sulla terra e che detiene  un potere.
 
Ecco, questa lectio ha a che fare con il potere terreno, altro dal potere di Dio: coloro che sono re su altri, sono schiavi e servi a loro volta;  hanno consegnato sé stessi al male, all’interesse, all’illusione che viene dall’avere, dal possedere,  ed è importante che ad un certo punto questo  male abbia le ore contate; un’ ora soltanto dura ciò che è male per l’uomo e l’ultima parola non è il male (versetti 1-8).
 
Il fatto che Babilonia sia caduta vuol dire che non è invincibile, che può  venir meno; questa è la profezia di Apocalisse, che il divenire della storia è più forte delle ragioni del male e arriva il momento in cui ne spezza l’arroganza. Da questa convinzione  rinasce nel credente, magari perseguitato come chi scrive Apocalisse, la fiducia di farcela.  Vedremo i due imperativi e le due azioni suggerite a coloro che assistono alla caduta di Babilonia. A volte accusiamo Dio di non esserci, temiamo che  il  male si affermi, ma poi arriviamo al  punto decisivo che  interrompe la sequenza del male ed in cui si rivela all’uomo che voleva essere come Dio, che Dio è più forte.
 
Dunque al centro del brano (versetti 9-20) c’è la città. Se torniamo al versetto 4, due particolari parole  ci interessano e riguardano la città. Apocalisse rivolge due imperativi al credente, troviamo 2 verbi, 2 azioni; il primo è “uscite popolo mio,  così non vi assocerete ai suoi peccati e non riceverete  parte dei suoi flagelli!”
 
L’altro verbo si trova al versetto 6: “ripagatela con la sua stessa moneta, retribuitela con il doppio dei suoi risparmi, versatele doppia misura nella coppa in cui bevete!”. Ecco quindi i 2 orizzonti: uno consiste nel fatto che non bisogna stare fermi, che occorre venire fuori, in qualche modo, dal grande mercato, dalla mentalità pagana; bisogna essere nel mondo ma non del mondo. Altrimenti il grande rischio è quello di non accorgersi nemmeno di come siamo abbagliati e ingannati dalla grande città.
 
Il secondo verbo contiene l’invito ad  un atteggiamento reattivo, quasi  di ricambio, la famosa regola di reciprocità per la quale è necessario non aver paura di mettere la grande città di fronte alle sue responsabilità.
 
Arriviamo al punto  (versetti 9-20) in cui ci sono pianti e  lamenti. E’ cambiato qualcosa: Babilonia             è caduta, soltanto Dio è eterno.
 
E’ la grande affermazione del fatto che anche i poteri più forti vengono meno. Pensiamo a cosa accadde nel 1989, la caduta del  muro di Berlino: nessuno immaginava che un sistema così oppressivo, poliziesco e malefico potesse venir meno.
 
Ci troviamo ora e di nuovo ancora, nella stessa situazione: questo sistema non regge e non reggerà. Vediamo le  tre categorie di persone che vivono il disincanto, il rimpianto e l’amarezza : i re, i mercanti e i naviganti che gestiscono la movimentazione all’interno del  sistema, di tutti beni e di tutte le ricchezze, minuziosamente elencate, tantissime,  come nelle nostre città mercato.
 
La lamentazione sul tempo non ha senso, dura solo un’ora la stagione del benessere, ed é già finita; ci addormentiamo volentieri nella comodità ma non è così… c’è  un tempo in cui l’economia va in pezzi e il sistema sociale diventa schizofrenico. Siamo immersi in un’economia idolatra che rende le persone merce spirituale, articoli commerciali. E’ un’economia che alla fine ci porterà a perdere la comodità nella quale ci crogioliamo e che ci fa vivere una vita piena di privilegi, non qualificata in profondità, caratterizzata semplicemente da consumi esteriori.
 
Apriamoci a riflessioni sulle nostre lamentazioni:  sull’atteggiamento di amarezza e sull’illusione di onnipotenza che ci faceva credere di avere potere sulla vita, e che ci fa ritrovare, alla fine. nel deserto, incapaci di seguire i desideri del cuore, e con il nostro modello ormai esaurito.
 
Nei versetti da  21 a 24 risuona sei volte il vuoto del “non ci sarà più..” Con il gesto simbolico della pietra gettata  nel mare il sistema viene meno. Finisce qua la discendenza di Caino,  fondatore di città. Apocalisse passa alla stagione del bene;   ci aiuta così a capire che bisogna chiudere i capitoli e che la storia va avanti nella misura in cui siamo capaci di voltare pagina;  nulla  continua all’infinito; il nostro problema è  che siamo gente che non riesce a dire basta; dovremmo imparare quella cosa detta decrescita.
 
Infine avviamo una grande riflessione intorno al potere totalitario:  assetato di sangue, che declina, muore, riprende, in apparenza mai sconfitto del tutto, che si trasforma e che distrugge;  ad esso siamo messi di fronte e dobbiamo “uscire”, “ ricambiare”, capire che c’è una stagione di “cambio”; la vita non è un susseguirsi di eventi senza scelte, non è possibile farcela “aggiustando” le cose e facendo compromessi che ci rendano immuni dall’ira di Dio, dalla giustizia di Dio. Bisogna imparare a stare nella precarietà ma non nel nostro interesse e nella nostra comodità.
 
 
Riflessioni conclusive su punti chiave che possono contribuire al bene della nostra anima
 
Riducendo il grande confronto della vita a due parti essenziali, mondo e Chiesa, possiamo dire che ognuno segue i suoi modelli: c’è chi segue il modello del Vangelo e chi quello del mondo.
 
Il modello del Vangelo, che nel confronto con il mondo,  nella grande guerra,  apparentemente sembra perdente, alla fine non lo é. Precisiamo che per mondo, Giovanni non intende la realtà sociale ma il substrato di  paganesimo nel quale siamo immersi e che abita in noi.
 
Ricordiamo due udienze nelle quali il Santo Padre ha citato  i passi di Apocalisse che ci interessano. Ci parla di Fine e di Crisi. Nelle riflessioni sulla fine ( 24 nov 2016) il Papa dice che ci sarà una fine, non tutto andrà avanti senza esito;  le due grida: “E’ caduta Babilonia” e l’altra voce potente di adorazione sono forti, sostenute a gran voce.
 
Babilonia rappresenta la corruzione, la strada in cui ti perdi, il dio del benessere che diventa  dio dello sfruttamento e della comodità, del proprio interesse; uscire da questa condizione significa finire nel deserto,  come accade al visionario, ma il deserto è la salvezza, il luogo dell’essenzialità e  della sobrietà.
 
Il Papa cita un passo di Luca  (Lc. 21, 20-28) secondo il quale  “quando accadranno queste cose sconvolgenti, la distruzione della superbia e della vanità, risollevatevi e alzate il capo perché  la vostra salvezza è vicina”.
 
Paradossalmente quindi, perché  ci sia una liberazione deve esserci una distruzione, una fine.
 
Nell’udienza del 29 novembre 2018 il Santo Padre ragiona sulla crisi, sulla  paganizzazione del mondo. Fa una riflessione  sul motivo per il quale  siamo immersi nella seduzione del mondo e nella mondanità dei perdenti, che rischiano di essere, non profezia di una vita diversa, ma semplici bevitori della bevanda che trovano in giro.
 
Dice molto serenamente che non c’é bisogno di temere la distruzione di cui ci parla Apocalisse; già c’è ed é nel modello in cui viviamo, perché questo sistema di interesse ci penalizza, questa qualità della vita distrugge le persone;  di tutto ciò si vedono i segni con molta chiarezza.
 
Infine il Papa ci dice che ci sarà un'altra possibilità, che una storia  ricomincerà; noi siamo chiamati a credere che ci sarà un orizzonte di speranza
proprio nel momento in cui vediamo i segni di una fine, fino a che i tempi dei pagani saranno compiuti
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Apocalisse 19, 1-10

1Dopo questo, udii come una voce potente di folla immensa nel cielo che diceva: "Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, 2perché veri e giusti sono i suoi giudizi. Egli ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!". 3E per la seconda volta dissero: "Alleluia! Il suo fumo sale nei secoli dei secoli!". 4Allora i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi si prostrarono e adorarono Dio, seduto sul trono, dicendo: "Amen, alleluia". 5Dal trono venne una voce che diceva: "Lodate il nostro Dio, voi tutti, suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi!". 6Udii poi come una voce di una folla immensa, simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano: "Alleluia! Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l'Onnipotente. 7Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché sono giunte le nozze dell'Agnello; la sua sposa è pronta: 8le fu data una veste di lino puro e splendente". La veste di lino sono le opere giuste dei santi. 9Allora l'angelo mi disse: "Scrivi: Beati gli invitati al banchetto di nozze dell'Agnello!". Poi aggiunse: "Queste parole di Dio sono vere". 10Allora mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo, ma egli mi disse: "Guàrdati bene dal farlo! Io sono servo con te e i tuoi fratelli, che custodiscono la testimonianza di Gesù. È Dio che devi adorare. Infatti la testimonianza di Gesù è lo Spirito di profezia".


Canto di gratitudine – “Perché sono giunte le nozze dell’Agnello”
Con riferimento al capitolo 18 partiamo dalla definizione di città e dal giudizio alle  città cattive per arrivare  alla promessa di una città nuova, buona, una città celeste, la nuova Gerusalemme, nella quale sentirsi felici. Per il nostro Profeta quindi, la Chiesa non è una casa familiare, ma è una città nuova che viene costruita pian piano.
Nel capitolo 18 Giovanni piange sulle città che sono spente, senza vita e amore, senza unione, e usa parole molto belle per descriverle. Dice: “non c’è più la musica che evoca il riposo, non ci sono i rumori del martello e della macina che gira, non c’è lavoro in queste città, non c’è il canto nuziale, cioè la gioia di stare insieme, non c’è più la lampada che si accende quando ci si ritrova la sera…”;  manca tutto questo nelle città cattive. E ciò a causa di tre poteri, il primo è l’economia che strangola la gente, il secondo è la falsa religione che inganna e porta alla morte anziché alla vita e infine la violenza politica che uccide la dignità e il rispetto delle persone, il loro diritto di esistere. Queste tre grandi forze sono presenti in ogni città e contro di esse Giovanni combatte.
Nel Capitolo 19 Giovanni dà voce al sogno dell’uomo di un bene assoluto, di pace, di serenità… descrive le meraviglie di una situazione che però è in divenire, che è iniziata con Cristo ma non è ancora finita; ci presenta quindi ciò che ogni uomo deve portare nel cuore, il trionfo di Cristo con il Canto della Lode. L’inno di oggi riassume tutti gli inni che si trovano nell’Apocalisse; è quello che troviamo cantato ai Vespri della domenica in tutto il periodo di Pasqua e si accumuna ai Salmi dell’Hallel che esprimevano la gioia degli Ebrei  nel deserto e dava loro forza nei momenti di sconfitta o di vittoria. Il canto ha quindi le stesse caratteristiche: vuole dare forza e gioia a chi rimane a combattere contro il Male.
Nei versetti 1-3 troviamo due eventi straordinari: uno scoppio di gioia in cielo ed un grande coro scandito da quattro Alleluia ed eseguito da una folla immensa. Il coro ripete tutte le meraviglie e dice una cosa fondamentale:  le meraviglie vengono solo da Dio e da nessun’altro. Isaia 44, 23: “23Esultate, cieli, perché il Signore ha agito; giubilate, profondità della terra! Gridate di gioia, o monti, o selve con tutti i vostri alberi, perché il Signore ha riscattato Giacobbe, in Israele ha manifestato la sua gloria”. Nel Nuovo testamento l’Alleluia si trova soltanto nell’Apocalisse.
Nei versetti 4-5 abbiamo i ventiquattro vegliardi e i quattro esseri viventi che simboleggiano tutti i redenti dell’Antico e del Nuovo Testamento, anche noi oggi. Nei versetti 6-8 si ripete il canto di questa folla immensa che  è invitata alle nozze; infine negli  ultimi versetti ritroviamo la quarta delle sette beatitudini dell’Apocalisse.
Il versetto 1 inizia con “dopo questo”, l’intervento di Dio che condanna Babilonia, la falsa Chiesa,  prostituta nel senso che è scesa a patto con l’ideologia umana; dopo questa condanna si alza un inno di Alleluia, sottofondo di tutto il canto, che vuol dire Hallel, termine ebraico che sta per lodate Yahweh, Dio, perché e caduto il male; é caduta Babilonia.
Secondo Sant’Agostino nel  tempo presente in cui siamo pellegrini sulla terra cantiamo l’Alleluia come consolazione per essere fortificati lungo la via; l’Alleluia è quindi  il canto del viandante che lungo la via faticosa tende alla patria in cui ci sarà riposo; il luogo in cui, scomparse tutte le faccende che ora ci impegnano, rimarrà soltanto il canto dell’Alleluia. Questo inno è cantato da una moltitudine che ringrazia per la promessa certa di una nuova città costruita da tutti i salvati della storia; coinvolge anche noi, che siamo chiamati a fare la nostra parte.
Non c’è solo l’Alleluia, c’è anche l’Amen, il cui significato é “ciò che è stato detto è degno di fiducia”, “è proprio così”. E’ l’atteggiamento che deve avere il credente di fronte alle azioni di Dio: devono essere accolte, tutte, incondizionatamente e con grande disponibilità nei confronti del disegno di Dio.
Ci sono tanti Amen che scandiscono questo Libro; il primo, già  al capitolo 1 è nella reazione della testimonianza per il Cristo morto e risorto; il secondo Amen è al capitolo 5, 14, ed è la certezza che solo Cristo può aprire i sigilli; al capitolo 7, 12 come sorpresa degli uomini che sono salvati; e ora al versetto 4 per l’approvazione del castigo di Babilonia e del giudizio di Dio su di essa. Lo troveremo ancora in Apocalisse 22, 21 come certezza impaziente che Dio ritornerà e che il Regno è in arrivo.
Il versetto 6 ripete il versetto 1 e fa da spartiacque tra la prima e la seconda parte di questo inno; ci sono le voci di una folla immensa, tutti parlano con una voce sola, tutti parlano come Dio; al versetto 6 infatti si aggiunge che si sente fragore di acque e rombo di tuono, manifestazioni tipiche di Dio; è come se la folla si stesse trasformando in Dio.
A questo punto facciamoci due semplici domande:
-          il nostro Alleluia è veramente una lode che scaturisce dal cuore, indipendentemente dalle situazioni della vita, o invece, in profondità, è solo una richiesta di aiuto?
-          Il nostro Amen è veramente accoglienza del disegno di Dio su di noi, qualunque esso sia?
Solo se rispondiamo “sì” possiamo entrare nel coro degli eletti, attraverso gioia ed esultanza.
Le parole del canto sono un’esortazione a tutti i servi, piccoli e grandi e a chi teme Dio; il canto è un’esortazione a dare un giusto riconoscimento a Dio perché è a Lui che va la gloria, la potenza, il vero giudizio. Pensiamo al fatto che anche il dragone fa i suoi giudizi, ma essi non sono veritieri, sono subdoli, al contrario di quelli di Dio che sono sempre molto giusti e veri.
Chi sono i servi piccoli e grandi che  temono Dio? Sono tutte le creature al servizio di Dio, e che collaborano con Lui. Non dobbiamo intendere la parola “servi” nella sua accezione negativa, qui i servi sono appunto collaboratori che non temono la Bestia e il Dragone e che affrontano la Storia con la passione di Cristo, intesa come slancio, vigore, gioia, nell’affrontare questa vita; tutte cose  che anche noi dobbiamo avere.
Nei versetti 6-7 c’è un’attesa che non è ancora terminata; è venuto il castigo della meretrice ma bisogna ancora sconfiggere la Bestia e il Drago; si tratta di un’attesa positiva nell’avvento di una nuova creazione: “ha preso possesso del Regno il nostro Dio”, “sono giunte le nozze dell’Agnello”; rallegriamoci ed esultiamo.
Entriamo ora nella seconda parte del brano: siamo tutti invitati alle nozze, cioè ad uno stato di comunione intima, perfetta e sicura in Cristo. Per comprendere  il testo è necessario sapere come si svolgono le nozze per gli Ebrei:
prima di tutto c’è il fidanzamento davanti ai genitori e ai testimoni e si tratta di un atto  molto vincolante, simile al matrimonio, ed in cui però, i due promessi non vanno a vivere insieme. Durante la cerimonia vengono stipulati dei patti a cui bisognerà essere fedeli. Segue un intervallo di tempo in cui i patti sono adempiuti ed in cui il futuro sposo predispone la dote concordata che dovrà essere consegnata al padre della sposa;  prepara inoltre la casa che dovrà accogliere la sposa. Nella festa nuziale lo sposo arriva accompagnato da un corteo di amici e parenti, prende la sposa e la porta nella nuova casa. La festa dura tra i sette e i quattordici giorni ed è ricca di  pranzi e festeggiamenti.
Tutto questo spiega perché Giovanni vede Cristo come lo sposo che sta preparando la casa in cielo, che ha portato in dote la sua morte e resurrezione per riscattare la sposa, e perché parla di “festa in cielo” , una festa che dura sette giorni, o sette per due,  come dire che è infinita. E’, questa seconda fase della festa nuziale, quella in cui troviamo noi, il nostro mondo; siamo nel tempo dell’attesa, in cui Gesù ci sta preparando la casa in cui ci accoglierà, la festa nuziale. Ed é soltanto dopo la fine della prostituta che può esserci la gioia della donna e delle nozze. La comunione con Dio è dunque una festa nuziale e non è un’imposizione dittatoriale, come avviene per la Bestia.
Ecco quindi, come ci ricorda la parabola delle dieci vergini, che dobbiamo essere  pronti ad essere chiamati alla casa del cielo. Una sottolineatura interessante: per Giovanni non esiste genere maschile o femminile; Cristo non è maschio e la Chiesa non è femmina; in tutti c’è positivo e negativo e nei due generi c’è l’umano; la prostituta non agisce in quanto donna, ma tramite la Bestia; i mercanti, i re della terra sono i corruttori, fanno parte dell’umanità perversa e sono sia maschi che femmine; in ogni caso non si può andare alle nozze se non si ha fiducia nella gratuità e nel dono reciproco. La sposa rappresenta tutti i salvati che vivono senza la violenza, senza la morte, coloro che condividono la propria vita offrendola agli altri, soprattutto ai corrotti, come testimonianza. La vecchia umanità ha fatto con Dio un contratto di menzogna, la nuova fa invece un contratto di amore, perché la sposa è sia celeste che umana e appartiene alla nuova città. Quindi uomini, donne, Agnello e sposa, se amiamo, costruiamo; se non amiamo distruggiamo.
Versetto 8: “le fu data una veste di lino puro e splendente”. E’ un abito sacerdotale donato da Dio stesso. In Genesi, dopo il peccato Dio donò due pelli, per coprire le nudità, le imperfezioni dell’uomo. Esse erano l’abito da lavoro, visto che oramai tutto era stato rovinato. Ora invece abbiamo un abito nuziale, esso dona bellezza e dignità alla sposa che viene innalzata alla vita eterna.
Secondo l’ uso orientale l’abito é donato dagli sposi  a tutti gli invitati. Ricordiamo la parabola nella quale l’uomo che si presenta alla festa senza l’abito nuziale viene cacciato via, a dire che l’abito è importante,  è l’abito della giustizia che Dio ci dona, la stessa giustizia che ha dato a Suo Figlio. Il lino rappresenta la giustizia dei santi; secondo Giovanni siamo salvati per fede e senza le opere, ma siamo salvati perché compiamo le opere buone, questo è il motivo per cui siamo salvati; quindi le opere non salvano ma sono la conseguenza naturale di una fede che salva la vita. Le opere sono dovute allo Spirito Santo che Cristo invia dopo di Lui affinché ci accompagni in questo tempo dell’attesa. La trama del vestito che ci viene donato da Dio è quindi costituita dalle opere di tutti i Santi e ognuno di noi, naturalmente, deve contribuire a fare l’ordito di questo vestito. Cinque anni fa, è stato fatto per la Madonna del Santuario di Oropa, un manto lunghissimo, molto bello, cucito dalle suore con pezzettini di stoffa piccoli come francobolli, provenienti da tutto il mondo; così sarà il nostro vestito, intessuto di tutte le opere buone compiute nel mondo nei secoli.
Nei versetti 9 e 10 troviamo un dialogo con un angelo, in realtà si tratta di un servo, è come noi ma è già con Dio, solo per questo è più di noi, ma anche noi saremo come angeli; ha il compito di assicurare che le visioni di Giovanni siano vere e non frutto della sua fantasia, non sogni dell’uomo ma verità. L’angelo dice: “Scrivi” in tono imperativo, “beati gli invitati alle nozze dell’agnello” (quarta delle sette beatitudini); beati perché mangiano amore e sono tutti insieme, nella felicità e nella condivisione.
L’angelo è un testimone come i Profeti e non vuole quindi che Giovanni si inchini a lui. Il Canto ci presenta quindi la vita che ci attende ma che è già iniziata e di questo dobbiamo fare lode a Dio, dobbiamo custodire con gli angeli la testimonianza attraverso lo Spirito Santo, la profezia che dà realtà alle visioni. Compito del profeta è testimoniare Gesù fino a dare la vita.

Riflessioni conclusive
Don Gianni ci racconta  che nella mattinata di oggi,  riflettendo sulla comunione, diceva ai genitori che noi rischiamo di non vivere ciò che pure siamo chiamati a vivere: e riporta l’esempio  delle accurate istruzioni che sono impartite dalle hostess prima che l’aereo decolli e che servono in caso di emergenza; di solito nessuno è attento per cui semmai dovesse capitare l’emergenza nessuno saprà cosa fare. In realtà si tratta dello stesso atteggiamento superficiale che abbiamo oggi per tutte le cose.
Ci ricorda la sua attenzione e il suo studio al momento dell’uscita della prima versione word per il pc, allo scopo di acquisire competenza; è un approccio ripetuto anche per le medicine che si devono prendere, per il manuale del nuovo orologio smart, con la consapevolezza però che oggi l’eccesso di informazione rende impossibile questa attenzione; spesso poi, c’è come una nube, un fumo, che ci impedisce di capire perché in realtà siamo noi che non vogliamo. Ebbene, tornando all’Eucarestia si diceva che è un contratto, un patto d’amore  che non vogliamo fare.
Siamo invitati alle nozze ma forse questa cosa non ci interessa, preferiamo avere le mani libere; ci rendiamo conto, sempre di più che  la gente viene in chiesa, ascolta la predica e non c’è molto altro. L’appartenenza al di là della messa riguarda pochi intimi; sono pochissime le persone che, per esempio, si fanno coinvolgere in una catechesi del parroco.
E’ proprio la crisi della partecipazione  ciò di cui la Chiesa di oggi sta ragionando. In questi giorni  il Cardinale Zuppi e Monsignor Crociata scrivono una lettera all’Europa sull’importanza del voto per le elezioni europee. Si riflette sul fatto che la Russia sta attaccando e su questo purtroppo si giocheranno  le elezioni.
Concludiamo dunque con questa riflessione: “ Ci credo al fatto che sono invitato, che sono una sposa? Trasciniamo i nostri giorni o ci crediamo a un progetto, a un’alleanza?” Alla fine molto si gioca sulla gioia di una promessa a cui riesce difficile credere; nello stesso tempo la desideriamo ed essa potrà realizzarsi soltanto nella misura in cui la desideriamo.
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Lectio Divina
Apocalisse 21


 
1E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c'era più. 2E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: "Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. 4E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate". 5E Colui che sedeva sul trono disse: "Eco, io faccio nuove tutte le cose". E soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e vere". 6E mi disse: "Ecco, sono compiute! Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell'acqua della vita. 7Chi sarà vincitore erediterà questi beni; io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio. 8Ma per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i maghi, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. Questa è la seconda morte". 9Poi venne uno dei sette angeli, che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli, e mi parlò: "Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell'Agnello". 10L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. 11Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. 12È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. 13A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. 14Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello. 15Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura. 16La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono uguali. 17Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo. 18Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. 19I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose. Il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, 20il quinto di sardonice, il sesto di cornalina, il settimo di crisolito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. 21E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. 22In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. 23La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello. 24Le nazioni cammineranno alla sua luce, e i re della terra a lei porteranno il loro splendore. 25Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, perché non vi sarà più notte. 26E porteranno a lei la gloria e l'onore delle nazioni. 27Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette orrori o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello.
 
 
Geografia del cielo – “E vidi un cielo nuovo

La nostra lectio è lectio della Parola Divina, ma anche lectio dei tempi e del mondo in cui viviamo, e ciò per cercare di viverci dentro con fede e illuminazione. I capitoli 21 e 22 che chiudono Apocalisse ci aprono alla prospettiva del mondo nuovo, della vita “altra” che ci viene promessa; ci interessano quindi come tutto ciò che ha a che fare con l’inizio e con la fine.
Tra le sue letture di storia, geografia, geografia del cosmo e fisica,  don Gianni cita un  dossier in cui si parla dell’Inizio, di ciò che c’era prima di tutto, al tempo della cosiddetta  inflazione cosmica, la grande stagione di espansione dell’universo di miliardi di anni fa che ha portato al Big Bang descritto dalla scienza;  interessante il collegamento con Apocalisse 21 e 22, che narra proprio di un Big Bang cioè di un mondo che finisce (come abbiamo visto nei capitoli 18, 19 e 20), e di un mondo che ricomincia. La verità che ci suggerisce il capitolo 21 è che non c’è stato un inizio, un “prima” del Dio Creatore come pensavamo noi, così come non ci sarà una fine, perché la vita è uno scorrere: c’è piuttosto una Pasqua, un passaggio, e più che una fine c’è una meta, un’indicazione di orizzonte; anche se vogliamo che ci sia una fine perché questo mondo così com’è, non ci piace,  la Parola ci dice qualcosa di diverso.  
Ci fermeremo sulle seguenti parti del capitolo 21:
-          i versetti 1-8 in cui si ragiona della città di Dio e si riconosce che le cose sono compiute;
-       i versetti 9-27 in cui la fine diventa inizio, la città delle porte, delle fondamenta, delle pietre preziose, ed in cui c’è una misura; non ci sono  più l’Agnello ed il Tempio, perché siamo noi il Tempio e l’Agnello.

Riflessioni iniziali
Prima di entrare nel commento dei versetti si suggeriscono alcune prospettive:
- la prima è che la fede è sempre giocata sul rapporto tra la salvezza eterna, la promessa di una vita migliore, e il nostro tentativo di anticiparla, perché, in realtà,  a noi interessa una salvezza immediata, quella storica, per intenderci. Il libro di cui prima si parlava, “Accelerazione e alienazione” di Hartmut Rosa, ci racconta come sia cambiata la prospettiva anche di chi, oggi, è religioso; in realtà non ci interessa la salvezza eterna, nemmeno se promessa da Gesù con la Pasqua e la Resurrezione; ciò che più ci preme è la contiguità di una vita che si gioca sull’aumento delle opzioni; non ci interessa quel che sarà ma piuttosto che ci siano tante possibilità. La tecnologia ci aiuta in questo, ma ahimè fallisce miseramente, perché alla fine, quello che promette, non lo mantiene. Questa prospettiva,  salvezza eterna e salvezza storica, è oggi importante, perché c’è molta gente che non crede più in Dio in quanto cerca non la salvezza eterna ma quella di ora e qua, senza comprendere che la Promessa ha a che fare con un “già” e un “non ancora”; che non ci sarà mai una pienezza ma ci sarà sempre una meta, un oltre. A questa, aggiungiamo un’altra considerazione che interessa la città. Noi viviamo un orizzonte sempre più “civico”: non viviamo nel bosco ma in mezzo alle case della gente; se c’è un modello di riferimento,  una misura, una canna che faccia da metro della nostra vicenda terrena,  esso può essere ben rappresentato dalla città, della quale noi in realtà non siamo partecipi,  perché in fondo ci rendiamo conto che i giochi sono più grandi di noi,  e ciò  anche se ci troviamo nel paesino; ma è sicuro che se abbiamo una possibilità di incidere sulla storia, questa si troverà anzitutto nell’ambiente in cui viviamo.
- seconda riflessione:  come i criceti dentro la ruota, non facciamo altro che correre e non riusciamo a fermarci, non perché non possiamo, ma semplicemente perché la ruota gira; finché non facciamo il gesto di saltare fuori dalla ruota, tutto continua a non funzionare, le cose non cambiano e ce ne lamentiamo anche…La questione è che per scendere dalla ruota dobbiamo fare per prima, una cosa che l’Apocalisse ci esorta spesso a fare e che è indicata anche all’inizio di questo passo: “E vidi…”. Bisogna “vedere”. Non c’è altro modo! “…Mi portò su un monte alto e mi disse: vieni, ti mostrerò la sposa dell’Agnello”. Se non vedo non ho speranza.
Versetti 1-8
Cominciamo la lectio con una domanda: come immagino io quello che ci sarà? Proviamo a essere creativi e a immaginare; anche se non c’è una fine,  qual è la meta e verso cosa stiamo correndo.
Più volte il testo ci ripete una parola: “nuovo”, le cose vecchie sono passate… In Corinzi 2 si dice  di azioni diverse, riferite al futuro e  che ancora non ci sono; esse  rappresentano una sfida al presente: ci mostrano che Dio parla in ogni tempo e che non c’è soltanto la stagione storica dell’autore dell’Apocalisse, ma ci sono tanti altri tempi in cui Apocalisse è  significativo.  Dunque ogni volta sorge l’aurora e nasce il giorno atteso di un mondo migliore: noi non siamo per forza schiavi di un destino di morte.  Ricordiamo al riguardo la seconda  lettura di oggi (Rm 8, 14-17) “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura…”; il senso è che non dobbiamo  farci morire da noi stessi,  non dobbiamo spegnerci.
Questa citta  santa, Gerusalemme nuova, scende dal Cielo; è dono, è orizzonte “altro” che ci è dato, non costruzione babelica, è il segno di un avvicinamento, come Gesù  nel vangelo di oggi (Mt. 28, 16-20) “18Gesù si avvicinò…” è segno di una prossimità; come dirà anche Paolo in Efesini 2 “19Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio”.
Tenda, tabernacolo, città, città dalle porte aperte.. come dice Giovanni in 1, 14 “pose la sua tenda in mezzo a noi”, nel senso che c’è una presenza, una dimora, una consolazione, che Dio che non ci abbandona,  cura l’uomo e gli asciuga le lacrime, la morte non ci sarà più. Per questa ragione avremo cieli e  terra nuovi,  non si ricorderà più il passato e tutti saranno parte del libro della vita, tranne i menzogneri ossia idolatri.
Versetti 9-27
La città che viene dall’alto, rinata, non è costruzione nostra, è la tenda dell’incontro, lo spazio in cui si costruisce la vita, è visibile nella misura in cui c’è qualcuno che mi trasporta sul monte, in alto, mi aiuta a vivere quella cosa che nella storia della salvezza si definisce teofania, il riconoscimento della manifestazione del Signore; in altri termini è necessario un punto di vista diverso, più elevato per scorgere la speranza. Occorre che qualcuno mi porti e che io mi lasci guidare; interessante il fatto che  in tutto questo non c’è il mare e ciò  perché nel linguaggio di quella cultura il mare viene inteso come “male”. Significa che nella città nuova troviamo la sicurezza e l’intimità, le mura e il focolare, non c’è spazio per il pericolo.
La città viene “misurata” secondo il metro umano, ma l’obiettivo della misura è comprendere che c’è un disegno di perfezione, di totalità; le cose non sono nel caos come all’inizio della creazione; questa è una città ordinata, Dio sta ancora operando e le cose che aveva promesso sono compiute; c'è una realizzazione, non viviamo semplicemente nella cifra dell’imperfezione: Dio è qui, ora, procede. E questa economia nuova, questa città “due” è messa idealmente in parallelo con Babilonia, con la città “uno”. Ricordiamo Gesù che  dice: ”distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”, è il segno che c’è un “esserci “ nuovo, che è possibile e non è soltanto la nostra illusione.
La forma della città è quella del quadrato, o meglio del cubo, immagine di perfezione e ricorda la Kaaba alla Mecca; la gente va intorno a quest’arca che è segno del mistero di Dio; Dio come principio dell’esistenza è l’immagine della città. E’ una città aperta, non è una storia di porte chiuse: il concetto è che  noi non possiamo essere altro che inclusivi se vogliamo essere costruttori, non possiamo vivere di barriere; i muri servono per creare sicurezza, non per chiudere. Questa è una cosa importante: tutte le nazioni sono coinvolte, tutti diventano popolo di Dio, non soltanto Israele, che ahimè ha ancora la mentalità del popolo eletto, unico.  Bisogna invece darsi conto che c’è di più e per ciascuno, che se c’è un posto per me, c’è anche per l’altro.
E ancora, in questo ambito c’è un messaggio essenziale e di non facile comprensione che di seguito introduciamo. Nella nostra mentalità abbiamo la pretesa che tutto debba diventare religione; per anni abbiamo visto la Chiesa come il centro del villaggio,  che va ad  estendersi nei luoghi in cui la fede non arriva. Ma non siamo più in questa stagione e la prospettiva non è quella della restaurazione del tempio; il tempio non ci sarà più. Ciò rappresenta una conversione, un cambio di mentalità, e  deve farci comprendere che non c’è più il tempio e l’Agnello, che non c’è più la sacramentalità della Chiesa, essa non è più  strumento di salvezza, né lo sono i suoi luoghi fisici (Benedetto XVI diceva: “faremo piccole isole, qua e là”..); tutto questo non ci piace e non ci convince, facciamo resistenza, ma in realtà Apocalisse dice che non ci sarà più la mediazione, il fatto di essere immagine di qualcos’altro, e non perché non ci sarà più la Presenza, ma proprio perché la Presenza sarà in tutto e in tutti; saremo noi la Presenza. Non c’è bisogno che venga il Messia a cambiare il mondo, siamo noi i diretti responsabili di un esserci “nuovo e diverso”.
Questa comunione di resistenti, di gente che non viene meno, che non si demoralizza, che sa che la Parola si mantiene e viene compiuta, ci dà il valore dell’istante, dell’evento, di tutto ciò che accade: ogni realtà è segno, ma poi il segno passa e deve rimanere l’estasi, la Presenza; questo cambia la nostra fede carismatica, legata a figure, a eventi, alla spiritualità delle emozioni. Dobbiamo sforzarci di andare avanti  in ogni caso, e per noi, che viviamo sempre nell’attesa, questa cosa è difficile da comprendere.
Alcune domande-suggestioni finali:
-          non c’è la fine del mondo; Apocalisse non è il libro della fine, è il libro della meta, dell’orizzonte, e opportunamente, alla fine, al capitolo 21, mette in connessione l’inizio e la promessa compiuta;
-          qual è la meta, allora? La meta è la bellezza, l’armonia, la città perfetta, la totalità, è dove non c’è il parziale, dove vediamo che ogni cosa prende il suo posto e tutto ha un senso. La meta è Koinonia, l’Oikos, la casa comune, il mondo per tutti, la vita che è offerta.
Apocalisse è l’utopia più bella che qualcuno abbia coltivato, l’oppio dei popoli,  il più grande sogno rivoluzionario, perché anche storicamente avversa il potere storico e rivendica che al di là della storia c’è sempre un’altra possibilità ed è dato un orizzonte. Paradossalmente, proprio quando l’uomo è sconfitto, è a terra e quando ha perso ogni altra battaglia, nessuno gli toglie la promessa di una Pasqua.
La città è spazio d’incontro, mura sicure, è quello che abbiamo sempre cercato e rimane lì come possibilità di un amore completo, compiuto e sarà, come descritto al capitolo 22, la prospettiva; ritorna ciò che Dio aveva pensato nel Big Bang.
-          Ora l’invito è a ragionare sul numero 12, il numero della pienezza, sull’Alfa e l’Omega, Cristo come alfabeto della lingua della storia, sull’apertura delle porte, che, per esempio, in questa stagione di sovranismo, ci dice la flessibilità della prospettiva dell’Apocalisse.
In Sicilia, la prima terra che ha a che fare con i migranti, si dice dell’Europa quello che noi dovremmo   capire, e cioè che essa è l’orizzonte per l’Africa. Mentre noi siamo legati ad un’ idea burocratica dell’Europa, pensiamo a  come  i bambini africani arrivati in Italia, rappresentano a scuola l’Europa,   nei loro disegni: sognano le barche che attraversano il mare,  perché per loro qua c’è il futuro.
Riflessioni conclusive
-          La prima riflessione ci dice che abbiamo percorso  un tratto di strada nel quale Apocalisse ci ha aiutato, forse più di altri libri, a fare una lectio divino-umana, a renderci capaci di leggere la Bibbia.
Apocalisse, infatti, ha a che fare col mondo, nel senso che non riguarda soltanto chi amministra sacramenti e dice Messa, ma ha, come dice il Concilio, una vocazione prevalentemente secolare e riguarda  tutte le persone, soprattutto i laici,  che in qualche forma sono chiamate ad esercitare una responsabilità, la coppia che rispetta la sua promessa con dedizione e amore, il singolo che si impegna nella vita, ogni persona insomma che  fa la sua parte..
-          Un secondo pensiero, apparentemente semplicissimo, riguarda il fatto che, per poter bere, deve esserci una precondizione essenziale, bisogna avere sete;  il movente per ricevere, insomma, è che le cose ci prendano, nel senso che non si va alla cannella d’acqua soltanto per il semplice fatto  di voler  bere; come dice Agostino, la sorgente non esaurisce mai la sua fonte.
Il problema è che nel mondo di oggi si è verificata una dissociazione che era espressa molto chiaramente dal Cardinale Ruini il quale diceva: “da quando abbiamo scisso la fertilità dai comportamenti e non c’è più congruenza tra l’universo del sentimento e quello della vita, succede che siamo schizofrenici e le cose non scorrono come dovrebbero, e paradossalmente, non c’è solo la Chiesa che chiude ma c’è anche il mondo che rifiuta e questo fa pensare..
-          Il terzo pensiero va alla storia di Israele e alle ragioni per le quali il popolo palestinese si trova in una condizione così dura e perché questa situazione, apparentemente, sembra destinata a non avere fine. Interroghiamoci su questa vicenda e sulle ragioni che la determinano. Anche per la guerra in Ucraina ci troviamo in una condizione nella quale ci arriva soltanto una cronaca superficiale dei fatti.  
Tutto questo per dire che Dio ha un modo originale  di mandare avanti la storia e di aiutarci a fare Apocalisse; il Suo modo  tiene conto degli umani, di come essi si muovono; lavora dall’interno, senza venir meno,  senza fuggire dalla realtà, pur se spiacevole, della situazione; essendo capace di non illudersi di città migliori e mondi alieni, ma stando sul pezzo con realismo.
Pensiamo a Papa Francesco che ha scelto il nome di Francesco per seguire le orme del Santo che in un’altra stagione storica, riformò la Chiesa dall’interno. Il papa sa  di avere il compito di cambiare la Chiesa, e di trovarsi in un mondo che cambia; si tratta di una riforma radicale perché, come si dice,  ci troviamo in un cambiamento di epoca e non in una semplice epoca  di cambiamento. Anche Chiara d’Assisi accettò  la regola bollata perché era quello l’unico modo per farla passare mentre in realtà fu fedele soltanto alla “sua” regola.
-          L’ultimo pensiero è rivolto alla cosa che più ci sorprende: se non  c’è una fine vuol dire che il nostro paradiso è questo; adesso ci stiamo giocando la possibilità di una qualità della vita,  non dobbiamo attendere,  è con noi, non con altri. Dio ci ha dato un pezzo di strada da fare “insieme” non ciascuno per i fatti suoi. Il nostro problema è che in questo mondo che cambia, abbiamo bisogno di fermarci, e siamo in difficoltà, non possiamo permetterci di perdere il ritmo, o di non essere efficienti e competitivi.
Riflettiamo su questo.
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